6 Settembre 2022

Opposizione a decreto ingiuntivo e onere di contestazione specifica

di Valentina Scappini, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, terza sez., sentenza del 27 giugno 2022, n. 20597; Pres. Rubino; Rel. Rossi.

Massima: “Nell’ambito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, l’opponente (sostanziale convenuto), a fronte di una allegazione da parte dell’opposto (attore sostanziale) chiara e articolata in punto di fatto, ha l’onere ex art. 167 c.p.c. di prendere posizione in modo analitico sulle circostanze di cui intenda contestare la veridicità e, se non lo fa, i fatti dedotti dall’opposto-attore debbono ritenersi non contestati, per i fini di cui all’art. 115 c.p.c.”

CASO

La Guess Italia s.r.l. proponeva un ricorso monitorio contro M.A. avanti il Giudice di Pace di Firenze, il quale concedeva il decreto ingiuntivo per € 3.372,08, oltre accessori, dovuti quale residuo prezzo non versato di fornitura di capi di abbigliamento.

Proposta opposizione da parte di M.A., il Giudice di Pace l’accoglieva e revocava il decreto ingiuntivo.

Il Tribunale di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava l’opposizione a decreto ingiuntivo, accogliendo l’appello della Guess Italia s.r.l., che, con il secondo motivo di impugnazione, aveva rilevato la mancata contestazione, da parte di M.A., dell’avvenuta consegna delle merci di cui alle fatture commerciali, tutte relative all’anno 2007, poste a base del ricorso monitorio.

M.A. ha ricorso per cassazione affidandosi a quattro motivi. Ha resistito con controricorso la società.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, condannando M.A., oltre che alle spese del giudizio di legittimità, anche al versamento del doppio del contributo unificato.

QUESTIONI

Con il primo motivo M.A. ha dedotto la violazione e la falsa applicazione dell’art. 345, co. 2, c.p.c., perché, secondo il ricorrente, il Tribunale di Firenze avrebbe omesso di dichiarare l’inammissibilità del secondo motivo d’appello, con cui la società creditrice aveva dedotto l’implicito riconoscimento, da parte dell’opponente, “delle fatture richiamate nelle note di credito di cui all’estratto conto analitico”.

Secondo M.A., tale allegazione avrebbe concretato un’eccezione in senso proprio, come tale non ammessa se dedotta per la prima volta in appello, in quanto comportante l’introduzione nel thema decidendum di un fatto storico precedentemente non dedotto.

La Corte di Cassazione ha ritenuto tale doglianza infondata.

Da una parte, infatti, sulla questione della novità del motivo di appello, il Tribunale si è implicitamente pronunciato, ritenendo l’eccezione infondata.

Dall’altra parte, l’allegazione della mancata contestazione delle fatture non costituisce un’eccezione in senso proprio, ma rappresenta una mera argomentazione difensiva, volta a suggerire un criterio di valutazione di un fatto processuale (il comportamento dell’opponente in relazione a determinati documenti prodotti in lite) e altresì a dedurre la rilevanza di tale fatto ai fini della dimostrazione dell’esistenza del credito oggetto di controversia.

Anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso, esaminati congiuntamente dalla Suprema Corte, sono ritenuti dalla stessa infondati.

Con essi il ricorrente ha dedotto la violazione e la falsa applicazione:

– degli artt. 2697 c.c., 115 e 167 c.p.c. da parte del Giudice di merito, il quale avrebbe indebitamente invertito l’onere della prova, trascurato le contestazioni stragiudiziali del credito e quelle dedotte in atti, nonché ritenuto fonte del riconoscimento delle fatture la mancata specifica contestazione, alla luce di una (presunta) allegazione dei fatti da parte dell’ingiungente né specifica né puntuale;

– degli artt. 2721 e 2729 c.c., per avere, il Tribunale, basato la propria decisione di ritenere le fatture non contestate su elementi privi del carattere della gravità, precisione e concordanza tipico delle presunzioni.

Come anticipato, entrambi i motivi sono dichiarati infondati dalla Corte di Cassazione, che coglie l’occasione di ribadire alcuni approdi pacifici in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, prova del credito e principio di non contestazione.

Anzitutto, gli Ermellini ricordano che l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice deve accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’opposto, che assume la posizione sostanziale di attore, mentre l’opponente, che assume la posizione sostanziale di convenuto, ha l’onere di contestare il diritto azionato con il ricorso, facendo valere l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l’esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto (per tutte, Cass., 3 febbraio 2006, n. 2421).

La prova del fatto costitutivo del credito grava, dunque, sul creditore opposto (Cass., 19 ottobre 2015, n. 21101), il quale può avvalersi di tutti i mezzi di prova (Cass., 11 marzo 2011, n. 5915 e 3 marzo 2009, n. 5071), compresa la mancata contestazione, in tutto o in parte, ad opera dell’opponente (convenuto sostanziale) del fatto invocato dal primo a sostegno della pretesa azionata.

Mentre è onere dell’opponente-convenuto prendere posizione sui fatti posti a fondamento della domanda: dal mancato assolvimento di tale onere discende che i fatti non contestati si ritengono non controversi e non richiedenti specifiche dimostrazioni (Cass., 16 dicembre 2010, n. 25516), essendo tuttavia necessario, a tal fine, che il fatto sia esplicitamente ammesso ovvero che la difesa dell’opponente sia stata impostata su circostanze incompatibili con il disconoscimento (Cass., 17 novembre 2003, n. 17371).

Cosicché la non contestazione del convenuto costituisce un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e dovrà, perciò, ritenerlo sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti (fra le tante, di recente, Cass. 23 marzo 2022, n. 9439).

Quest’ultima sentenza ha stabilito, invero, che “il convenuto, a fronte di una allegazione da parte dell’attore chiara e articolata in punto di fatto, ha l’onere ex art. 167 c.p.c. di prendere posizione in modo analitico sulle circostanze di cui intenda contestare la veridicità e, se non lo fa, i fatti dedotti dall’attore debbono ritenersi non contestati, per i fini di cui all’art. 115 c.p.c.” (Cass. 23 marzo 2022, n. 9439, cit.).

Il Tribunale di Firenze ha posto la mancata contestazione, ad opera dell’opponente M.A., in ordine alla consegna delle merci di cui alle fatture commerciali (tutte concernenti l’anno 2007) poste a base dell’istanza monitoria (“quella che sembra emergere è dunque una contestazione relativa soltanto al periodo dal gennaio al giugno 2006, il che esclude dunque qualsivoglia contestazione in merito all’avvenuta consegna delle merci di cui alle successive fatture azionate in monitorio”).

Questo il fulcro della motivazione che sorregge il dictum reso dalla sentenza impugnata, motivazione corredata da altre considerazioni, seppur superflue, afferenti la genericità e la inverosimiglianza delle rimostranze mosse in ordine alle modalità di svolgimento del rapporto commerciale nel primo semestre 2006 (estraneo all’oggetto del contendere).

La decisione ha fatto buongoverno dei suesposti principi e, pertanto, è esente da censure. Ad essa restano evidentemente estranee le presunte interferenze presuntive denunciate dal ricorrente.

Infine, il quarto motivo di ricorso, che ha censurato la supposta insufficienza della motivazione, è dichiarato inammissibile, essendo stato formulato secondo la vecchia dizione dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.

Al riguardo, la Suprema Corte ricorda il vizio motivazionale di cui al vigente art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c. va inteso come riduzione al minimo del sindacato di legittimità sulla motivazione, per cui denunciabile in cassazione è l’anomalia che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, e che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (per tutte, Cass., S.U., 22 settembre 2014, n. 19881 e 7 aprile 2014, n. 8053).

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