Opposizione a decreto ingiuntivo per contributi condominiali e vizi della delibera: la nullità è rilevabile su eccezione di parte o anche d’ufficio; l’annullabilità va fatta valere mediante domanda riconvenzionale
di Stefania Volonterio, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, Sezioni Unite, sent. 11 aprile 2021, n. 9839, Pres. Curzio, Est. Lombardo
Opposizione a decreto ingiuntivo – impugnazione della delibera condominiale – domanda riconvenzionale – necessità (Cod. Proc. Civ., artt. 645, 167; Cod. Civ., artt. 1226, 1337, 63 disp. att.)
[I] Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità, dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio, della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest’ultima sia dedotta in via di azione – mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell’atto di citazione in opposizione – ai sensi dell’art. 1137, comma 2, c.c., nel termine perentorio ivi previsto, e non in via di eccezione.
[II] Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, l’eccezione con la quale l’opponente deduca l’annullabilità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, senza chiedere una pronuncia di annullamento di tale deliberazione, è inammissibile e tale inammissibilità va rilevata e dichiarata d’ufficio dal giudice
CASO
Due condomini, destinatari di decreti ingiuntivi ottenuti dal condominio per il pagamento di spese deliberate in assemblea, proponevano distinte opposizioni ex art. 645 c.p.c. che, riunite dal tribunale per connessione oggettiva, venivano rigettate in quanto, in estrema sintesi, il giudice di primo grado riteneva, contrariamente a quanto sostenuto dagli opponenti, che nelle delibera assembleare posta a base del decreto ingiuntivo fossero stati rispettati i criteri di riparto delle spese di cui all’art. 1226 c.c..
Gli opponenti impugnavano la sentenza di primo grado, che veniva però confermata dalla corte di appello, la quale precisava, in motivazione, che la delibera assembleare de qua non era stata tempestivamente impugnata, sicché la sua validità non poteva essere oggetto dell’esame del giudice dell’opposizione.
I condòmini opponenti adivano quindi la Suprema Corte per una serie di motivi, tra i quali, per quanto qui rileva, la lamentata violazione degli artt. 1117, 1123 e 1126 c.c., in relazione agli artt. 633 c.c. e 63 disp. att c.c., per avere la corte di appello “ritenuto che la dedotta invalidità della deliberazione di ripartizione delle spese, per violazione dei criteri prescritti dalla legge, non potesse essere delibata nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo – … – trattandosi di questione che avrebbe dovuto essere oggetto di separata impugnativa avverso la deliberazione assembleare”.
Il ricorso veniva assegnato alla Seconda Sezione Civile della Suprema Corte, la quale, nell’esaminare la doglianza poc’anzi riportata (oggetto del terzo e del quarto motivo di impugnazione), rilevava l’esistenza di alcune questioni “di massima di particolare importanza” meritevoli di un esame delle Sezioni Unite volto a comporre il contrasto sulle stesse creatosi dinanzi alle Sezioni semplici.
Secondo la Sezione remittente, infatti, esisteva un contrasto sulle seguenti questioni:
- se una delibera condominiale, che ripartisce le spese in violazione degli artt. 1223 ss. c.c. o di apposita convenzione, sia sempre affetta da nullità oppure se lo sia solo laddove con tale delibera l’assemblea abbia inteso modificare i criteri legali di riparto in modo stabile, dovendosi invece ritenere tale delibera, in caso diverso, solo annullabile;
- se in un procedimento di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal condominio per il recupero delle spese deliberate dall’assemblea il giudice possa sindacare sulla dedotta nullità della delibera oppure se tale valutazione sia di esclusiva competenza del giudice dinanzi al quale tale delibera è stata (o avrebbe dovuto essere) impugnata ex art. 1137 c.c.;
- infine, se il rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo sia idoneo a dar vita ad un giudicato implicito sull’assenza di cause di nullità della delibera assembleare.
SOLUZIONE
Le Sezioni Unite prendono preliminarmente atto dell’esistenza di un contrasto tra le Sezioni che hanno ritenuto preclusa al giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo, in un caso come quello in esame, ogni indagine sulla validità della delibera assembleare posta a base del decreto ingiuntivo (potendo il giudice dell’opposizione, al più, verificare che tale delibera sia ancora esistente ed efficace perché, ad esempio, non revocata o impugnata vittoriosamente in altra autonoma sede); e le Sezioni che, al contrario, hanno ritenuto che la nullità della delibera assembleare sia invece sempre rilevabile anche d’ufficio, implicando essa la possibile inesistenza di un elemento costitutivo della domanda di ingiunzione.
Le Sezioni Unite compongono il contrasto aderendo al secondo orientamento e riconoscendo “al giudice dell’opposizione il potere di sindacare non solo l’eventuale nullità di tale deliberazione, ma anche la sua annullabilità, ove dedotta nelle forme e nei tempi prescritti dalla legge”.
Ritiene il Supremo Collegio che, anche per evitare una moltiplicazione di giudizi contraria a ragioni di economia processuale, non è possibile sostenere che un decreto ingiuntivo possa essere confermato, e quindi rigettata la relativa opposizione, senza che il giudice possa verificare la validità del titolo che ne rappresenta il necessario fondamento, e ciò ove tale accertamento sia “richiesto o dovuto”.
Prosegue infatti la Corte precisando che, mentre la nullità della delibera assembleare può essere anche rilevata d’ufficio (attenendo, come detto sopra, all’esistenza di un elemento costitutivo della pretesa condominiale), la sua annullabilità, per la quale la legge non prevede alcuna riserva a favore di un apposito ed autonomo giudizio, deve essere dedotta dall’opponente mediante domanda riconvenzionale che tuttavia, precisa ulteriormente la Corte, può essere proposta “sempreché il termine per l’esercizio dell’azione di annullamento non sia perento” e solo, appunto, in via di azione e non di mera eccezione, poiché l’accertamento dell’annullabilità deve avere efficacia nei confronti di tutti i condomini e non solo nei confronti del singolo condomino eccipiente.
Ancora, la Corte precisa, da un lato, che la domanda di annullamento della delibera deve allora essere proposta, a pena di decadenza rilevabile d’ufficio, con l’atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo, e che, dall’altro lato, l’opponente non deve essere incorso nella decadenza dall’impugnazione per decorso del termine perentorio di cui all’art. 1137 c.c., decadenza, questa seconda, che non può però essere rilevata d’ufficio ma può essere solo oggetto di tempestava eccezione di parte.
Per completezza, infine, si dà brevemente conto del fatto che la Suprema Corte, nel prosieguo della motivazione, compone anche il contrasto esistente sulla questione “se le delibere assembleari che ripartiscono le spese condominiali in violazione dei criteri stabiliti dalla legge o dal regolamento contrattuale configurino o meno una delle ipotesi di nullità” classificate dalla stessa Suprema Corte, stabilendo che queste delibere “sono nulle per ‘impossibilità giuridica’ dell’oggetto ove l’assemblea, esulando dalle proprie attribuzioni, modifichi i criteri di ripartizione delle spese stabiliti dalla legge o in via convenzionale da tutti i condomini, da valere – oltre che per il caso oggetto della delibera – anche per il futuro; mentre sono semplicemente annullabili nel caso in cui i suddetti criteri vengano soltanto violati o disattesi nel singolo caso deliberato”.
In esito, tornando al caso concreto portato all’attenzione della Suprema Corte, il ricorso viene rigettato perché, alla luce dei sopra esposti principi, pur lamentando gli opponenti un vizio riconducibile all’annullabilità e non alla nullità della delibera assembleare, la relativa impugnazione non è stata proposta nelle forme corrette (azione e non eccezione) e nei tempi previsti dall’art. 1137 c.c.
QUESTIONI
La vicenda sottoposta all’attenzione delle Sezioni Unite fa emergere importanti principi processuali in una materia ad alto tasso di litigiosità come quella relativa alla ripartizione delle spese condominiali e al contrasto alle relative ingiunzioni ottenute ex art. 63 disp. att. c.c.
È noto che l’opponente a decreto ingiuntivo può proporre con l’opposizione, rivestendo la sostanziale posizione di convenuto, una domanda riconvenzionale, peraltro anche deducendo un titolo non strettamente connesso a quello posto dalla controparte alla base della richiesta di ingiunzione. Questa domanda, tuttavia, dovrà essere necessariamente proposta con l’atto introduttivo dell’opposizione, che assume la funzione di primo atto difensivo del convenuto, al pari della comparsa di costituzione e risposta ex art. 167 c.p.c.
Che, in caso di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal condominio per le spese deliberate in assemblea, oggetto di tale domanda riconvenzionale non potesse essere l’accertamento della invalidità della delibera era frutto di un orientamento giurisprudenziale che onerava irragionevolmente il condomino a instaurare due distinti giudizi, uno per l’impugnazione della delibera e uno per l’opposizione al decreto ingiuntivo. E ciò, come oggi rilevato dalle Sezioni Unite, dando così vita ad uno “ius singulare per la materia condominiale” in assenza di una previsione normativa e senza che dall’art. 1137 c.c. potesse e possa desumersi, anche solo in via interpretativa, una “riserva” a favore di un tale giudizio autonomo di impugnazione.
Questa conclusione viene poi coordinata dalla Suprema Corte con il fatto che la materia condominiale, ed in particolare quella della impugnazione delle delibere, uno ius singulare comunque ce l’ha, sicché alla valutazione di tempestività nella proposizione dell’impugnazione in forma di domanda riconvenzionale con l’atto di citazione in opposizione e non con un atto successivo dello stesso procedimento (il che potrà essere oggetto di rilievo d’ufficio), dovrà aggiungersi la valutazione della tempestività di questa forma di impugnazione rispetto al termine perentorio di trenta giorni fissato dall’art. 1137 c.c. (che potrà invece essere oggetto solo di eccezione di parte).
Non solo. La Corte, nel rilevare che il citato art. 1137 c.c. “costituisce ‘norma speciale di ordine pubblico’ posta a tutela dell’interesse pubblico al funzionamento della collettività condominiale”, onera la parte opponente a far valere i vizi della delibera mediante la proposizione di una vera e propria domanda (in forma riconvenzionale), perché solo in via di azione si può ottenere una pronuncia efficace nei confronti tutti i condomini, come efficace nei confronti di tutti i condomini è la delibera assembleare che viene impugnata, mentre con una mera eccezione la delibera perderebbe validità ed efficacia solo nei confronti del condomino impugnante, e ciò “in contrasto con le esigenze di funzionamento del condominio, fatte proprie dal legislatore”.
Il Supremo Collegio opera quindi un condivisibile bilanciamento tra principi generali e speciali, anche se non ci si può non chiedere, in ultimo, quali e quante applicazioni pratiche avranno questi principi: al di fuori dell’ipotesi del condomino assente dall’assemblea e al quale non è mai stata comunicata la delibera, saranno davvero rari i casi nei quali il condomino potrà attendere di essere raggiunto dall’ingiunzione per il pagamento delle spese condominiali prima di poter impugnare tempestivamente la delibera, visto che, nel ridottissimo termine dell’art. 1137 c.c., si dubita possa maturare una morosità da giustificare la richiesta di un decreto ingiuntivo (che, peraltro, ha a sua volta dei tempi spesso non brevi per essere ottenuto).
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