Opposizione a decreto ingiuntivo e mediazione: l’ultima parola della Suprema Corte
di Francesca Ferrari Scarica in PDFCass. 3 dicembre 2015, n. 24629
Decreto ingiuntivo – Opposizione – mediazione obbligatoria – interpretazione costituzionalmente conforme al canone della ragionevole durata del processo e dell’efficienza processuale – interesse al giudizio – opponente. (C.p.c. artt. 633 ss.; D.leg. 28/2010 art. 5)
[1] Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo una volta che il giudice si sia pronunciato sulla provvisoria esecuzione, l’onere, a pena di improcedibilità, di attivare la procedura di mediazione, nelle materie in cui è obbligatoria, incombe sul debitore opponente.
CASO
[1] La Corte di Cassazione afferma che l’onere di attivare la mediazione deve allocarsi «presso la parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziare il processo».
Nel procedimento per decreto ingiuntivo, cui segue l’opposizione, la difficoltà di individuare il soggetto gravato deriva dal fatto che si verifica un’inversione logica tra rapporto sostanziale e rapporto processuale.
Tuttavia, il criterio ermeneutico guida dell’interesse e del potere di introdurre il giudizio di cognizione deve essere correttamente declinato anche nel caso di specie. In base a tale criterio è l’opponente la parte che ha il potere e l’interesse ad introdurre il giudizio di opposizione e su cui pertanto deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria.
In caso di mancata attivazione del procedimento di mediazione l’opposizione sarà improcedibile.
SOLUZIONE
La Cassazione muove dalla considerazione che l’onere di esperire il tentativo di mediazione obbligatoria incombe sulla parte processuale che ha interesse ad attivare un giudizio di cognizione e, quindi, l’interesse ad accertare nel merito i termini del rapporto sostanziale che lega le parti con le garanzie proprie dell’ordinario processo di cognizione. Il criterio ermeneutico dell’interesse al processo quale parametro guida ai fini della individuazione della parte gravata è conseguenza logica di una interpretazione dell’art. 5 d. leg. 28/2010 conforme alla sua ratio deflattiva e al canone costituzionale della ragionevole durata del processo.
Nel caso del procedimento per decreto ingiuntivo si delinea una particolarità: ad una prima fase, introdotta dal creditore del rapporto obbligatorio, che si conclude con la pronuncia di un decreto ingiuntivo, segue – solo in via eventuale – l’instaurazione del giudizio di cognizione, volto a vagliare funditus la pretesa del creditore.
In particolare in siffatto procedimento speciale si delinea una inversione logica tra rapporto sostanziale e rapporto processuale, nel senso che il creditore del rapporto sostanziale diventa il convenuto nel giudizio di cognizione.
Assumendo quale criterio ermeneutico guida nella soluzione del problema quello della efficienza e della ragionevole durata del processo, la Corte osserva che attraverso il decreto ingiuntivo, l’attore ha scelto una linea deflattiva coerente con la logica dell’efficienza processuale. È invece l’opponente la parte processuale che intende precludere la via breve (del decreto ingiuntivo) per percorrere la via più lunga (del giudizio di cognizione/opposizione).
La soluzione di far gravare l’obbligo di esperire il tentativo di mediazione sul creditore sostanziale/opposto in sede processuale, appare a giudizio della Corte peraltro del tutto irrazionale nonché frutto di un errato automatismo logico.
Come noto, sussiste da tempo un contrasto tra i giudici di merito in ordine all’esatta individuazione della parte processuale onerata nel procedimento per ingiunzione dall’attivazione della procedura di mediazione, nei casi in cui questa è prescritta obbligatoriamente dalla legge.
L’art. 5 del d.leg. 28/2010 prevede per le materie espressamente indicate che «l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale».
Ai sensi del comma 4 lett a) la citata disposizione non trova tuttavia applicazione nel procedimento per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione ex artt. 648 e 649 c.p.c. (il Consiglio nazionale forense a suo tempo aveva sostenuto che l’esclusione di cui alla norma citata avrebbe dovuto razionalmente applicarsi all’intero procedimento di ingiunzione, inclusa l’opposizione; in tal senso pare esprimersi anche A. Tedoldi, sub art. 652 c.p.c., in Commentario del codice di procedura civile, dir da L.P. Comoglio, C. Consolo, B. Sassani, R. Vaccarella, vol. VII, t. 1, Milano, 882).
La corretta individuazione della parte gravata dall’onere della mediazione implica, come evidente, rilevanti e significative conseguenze sulla sorte del decreto ingiuntivo nel caso di mancata attivazione della procedura in parola.
Ad avviso di alcuni Tribunali (esemplare in tal senso Trib. Varese, ord., 18 maggio 2012, Giur. it., 2012, 2620, con nota adesiva di A. Tedoldi), l’improcedibilità della causa per mancato assolvimento dell’onere di esperire la mediazione, che grava sul creditore-opposto nella sua qualità di attore sostanziale sarebbe di per sé idonea a travolgere anche il decreto ingiuntivo già emesso (nello stesso senso cfr. anche A, Tedoldi, sub art. 652 c.p.c., cit., 885)
Viceversa, altri Tribunali (così Trib. Firenze, 30 ottobre 2014; Tribunale di Rimini, 5 agosto 2014; Trib. Firenze, 21 aprile 2015; Trib. Nola 24 febbraio 2015; Trib. Bologna 20 maggio 2015) avevano sostenuto che, gravando l’onere della mediazione sull’opponente (in tal senso in dottrina Garbagnati, Il procedimento di ingiunzione, a cura di A. Romano, 2012, Milano, 245), il decreto ingiuntivo – in caso di improcedibilità della causa – sarebbe comunque idoneo ad acquistare efficacia esecutiva ed autorità di cosa giudicata, posto che l’omissione dell’attivazione del procedimento di mediazione «al di là della terminologia utilizzata dal Legislatore e della sanzione prevista (improcedibilità della domanda giudiziale, anche in appello), altro non è se non una forma qualificata di inattività delle parti per avere le stesse omesso di dare esecuzione all’ordine del giudice. E’ noto che secondo la legge processuale l’inattività delle parti rispetto a specifici adempimenti comporta, di regola, l’estinzione del processo» e che, ove questa si verifichi con riferimento al giudizio di opposizione, il decreto ingiuntivo ex art. 653 c.p.c. che non ne sia già munito acquista efficacia esecutiva. La tesi opposta conduce poi – secondo i sostenitori di questa posizione – inevitabilmente a configurare una sorta di improcedibilità postuma del decreto ingiuntivo del tutto estranea all’ordinamento (in tal senso cfr. Lupoi, Rapporti tra procedimento di mediazione e processo civile, in www.judicium.it).
In dottrina si è per la verità profilata anche una tesi per così dire intermedia, secondo la quale l’individuazione della parte onerata di instaurare il procedimento di mediazione dovrebbe variare a seconda che la necessità di attivare il procedimento medesimo sia determinata dall’ordinanza di sospensione dell’esecuzione provvisoria del decreto (imponendo in questo caso l’onere sull’opposto) oppure dalla concessione dell’esecuzione provvisoria ex art. 648 c.p.c., prevedendo in questo caso che sia onerato l’opponente (cfr. G. Minelli, sub art. 5. Condizioni di procedibilità e rapporti con il processo, in La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali, a cura di M. Bove, Padova, 2011, 191). La soluzione da ultimo citata peraltro lascia insoluto il problema in tutti i casi in cui manchino le pronunce ex artt. 648 o 649 c.p.c., ipotesi questa nella quale si ritiene che in ogni caso il giudice debba disporre la mediazione cd. delegata (cfr. in tal senso A. Tedoldi, sub art. 652 c.p.c., cit., 883; Garbagnati, Il procedimento di ingiunzione, cit., 244).
La Corte di cassazione, con la pronuncia in commento, pone dunque fine al dibattito, peraltro con argomentazioni condividibili in termini di efficienza del processo civile e deflazione del carico contenzioso.
I termini del dibattito, a giudizio della Corte, vanno infatti ricostruiti avendo riguardo al criterio informatore della parte cui spetta l’impulso processuale e che ha interesse ad incardinare il giudizio di merito. La peculiarità del procedimento per ingiunzione fa sì, infatti, che l’impulso processuale faccia capo all’attore formale (ossia al debitore opponente) nel giudizio di opposizione. Soltanto quando l’opposizione sia dichiarata procedibile riprendono le normali posizioni delle parti ai fini dell’istruzione probatoria, ma nella fase che precede il giudizio, è il solo debitore opponente il soggetto che vanta un interesse a dare impluso al giudizio di cognizione.
Sebbene la Corte non si esprima expressis verbis sul punto, si può ragionevolmente dedurre che in difetto di assolvimento di tale onere, la causa debba essere dichiarata improcedibile e, che per l’effetto, il decreto ingiuntivo si consolidi acquistando carattere definitivo.
Peraltro ove si sposasse la tesi contraria, secondo la quale alla dichiarazione di improcedibilità seguirebbe non già la definitività del decreto ingiunto, bensì la sua revoca e lo scopo deflattivo perseguito dall’art. 5 d. leg. 28/2010 sarebbe totalmente disatteso. In tale ipotesi, inoltre il creditore sarebbe legittimato a riproporre la medesima domanda, con ogni conseguenza rispetto al principio della ragione durata del processo.
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