5 Novembre 2024

Oneri probatori nell’impugnazione del testamento per dolo

di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDF

Cass. Civ., Sez. 2, Ordinanza n. 26519 dell’11/10/2024

Successioni mortis causa – Successione testamentaria – Vizi della volontà del testatore – Dolo (captazione) – Uso di elementi fraudolenti – Condizioni del testatore – Prova –

* Al fine di poter affermare che una disposizione testamentaria sia affetta da dolo, non è sufficiente dimostrare una qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore, se del caso mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni; occorre, invece, la prova dell’avvenuto impiego di veri e propri mezzi fraudolenti idonei a trarre in inganno il testatore, avuto riguardo alla sua età, allo stato di salute, alle sue condizioni di spirito, così da suscitare in lui false rappresentazioni ed orientare la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata.

* Massima non ufficiale

Disposizioni applicate

Codice Civile, articoli 428, 591 e 624

[1] Caio e Sempronio convenivano in giudizio il fratello, Mevio, la madre, Tizia, e lo zio paterno, Filano, per fare dichiarare la nullità, o l’inefficacia, o per fare annullare il testamento olografo del padre, Tizio, in quanto incapace di intendere e di volere al momento della redazione, o per fare annullare tale testamento per dolo, per fare dichiarare l’indegnità a succedere di Filano, e per fare accertare che quest’ultimo non era beneficiario dell’usufrutto generale sui beni mobili ed immobili del de cuius.

Costituendosi in giudizio, Mevio proponeva a sua volta le stesse domande, deducendo a supporto dell’asserita incapacità di intendere e di volere e del dolo, lo stato di salute in cui versava il padre (afflitto da malattia tumorale che di lì a poco ne avrebbe obbligato il ricovero presso una struttura per malati terminali) al momento di redazione del testamento nonché evidenziando il comportamento dello zio Filano, che avrebbe taciuto lo stato di salute del defunto agli altri parenti e che, in occasione del funerale di Tizio, avrebbe significato che il fratello non aveva voluto lasciare alcun testamento, volendo che tutti i suoi beni andassero alla ex moglie ed ai figli mentre a distanza di oltre sette mesi dopo la morte del fratello aveva comunicato di aver rinvenuto casualmente il testamento (olografo) del fratello sul quale, tra l’altro, era presente, dopo la sottoscrizione del testatore, una attestazione di un amico del defunto (Terzo) che certificava che la firma era quella di Tizio. Precisava Mevio che Terzo aveva riferito agli attori che allorché si era recato a trovare nella Casa di Cura l’amico Tizio vi aveva incontrato Filano, il quale aveva estratto da una cartellina un foglio dicendogli che conteneva le ultime volontà di Tizio, e gli aveva chiesto di apporvi una dichiarazione a sua firma per attestare che la sottoscrizione che su di esso figurava era di Tizio.

Nel giudizio di primo grado si costituiva Filano che, per quanto qui di interesse, chiedeva di accertare la legittimità del testamento olografo di Tizio.

Veniva, quindi, disposta CTU per accertare l’incapacità di intendere e di volere del de cuius, agli esiti della quale il Giudice di primo grado respingeva le domande di accertamento della nullità, o inefficacia, ovvero annullamento del testamento olografo di Tizio, riconoscendo Filano quale erede testamentario.

La Corte d’Appello, adita da Mevio, confermava la pronuncia di primo grado che, sulla scorta della CTU e della documentazione medica acquisita, aveva ritenuto dimostrata solo un’anomalia o un’alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, dovuta alla sua malattia ed al trattamento farmacologico antidolorifico con morfina a basso dosaggio, ma non una sua assoluta incapacità d’intendere e di volere al momento della redazione del testamento olografo impugnato.

[2] Avverso la sentenza d’appello Mevio proponeva ricorso in Cassazione, fonandolo su cinque motivi. Sin d’ora è opportuno evidenziare come la Suprema Corte abbia ritenuto i motivi inammissibili “per “doppia conforme” del lamentato vizio dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. in base al disposto dell’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., nonché per “limiti di prospettabilità della violazione dell’art. 116 c.p.c., nella specie non invocabile per ottenere una diversa valutazione del materiale probatorio”.

Gli Ermellini, tuttavia, si premurano di ribadire alcuni principi già espressi in materia di captazione testamentaria ed impugnazione per dolo del negozio testamentario.

In particolare, nel respingere il quarto motivo di impugnativa, il giudice di legittimità evidenzia come il ricorrente non abbia contestato la nozione di dolo quale causa di annullamento del testamento olografo impugnato utilizzata dalla Corte d’Appello di Venezia, ma abbia inammissibilmente contrapposto la propria tesi, secondo la quale le circostanze di fatto da lui prospettate sarebbero state idonee a dimostrare la captazione della volontà del de cuius. Sottolinea la Suprema Corte come, in ordine alle circostanze allegate dal ricorrente a supporto della tesi della captazione della volontà del de cuius e del dolo, la Corte d’Appello di Venezia avesse ritenuto le stesse inidonee a provare che Filano avesse impiegato mezzi fraudolenti per ingannare il de cuius e che avesse effettivamente influito sulla volontà testamentaria del de cuius determinandolo a disporre dell’usufrutto sui suoi beni in favore del predetto, ben potendosi spiegare tale disposizione di favore con la riconoscenza del de cuius verso il fratello, unico parente che gli era stato vicino nel periodo della malattia e del ricovero, e non essendo sufficienti a dimostrare la manipolazione della volontà del de cuius pur nelle scadute condizioni di salute e psichiche dello stesso, le circostanze che Filano verosimilmente gli avesse procurato il foglio protocollo usato per scrivere le ultime volontà e che si fosse premurato di fare attestare dal conoscente Terzo, recatosi a trovare il de cuius ricoverato, l’autenticità della sottoscrizione dello stesso sul testamento impugnato. Nemmeno poteva darsi rilievo probante al fatto che Filano avesse avvertito con ritardo l’ex moglie ed i figli del de cuius, coi quali non aveva rapporti da trenta anni, delle gravissime condizioni di salute del de cuius, posto che se avesse voluto, quest’ultimo avrebbe potuto avvisare l’ex moglie ed i figli tramite il personale della clinica e poi dell’Istituto per malati terminali in cui era stato ricoverato.

Al riguardo, il giudice di legittimità si premura di precisare come la sentenza impugnata si fosse uniformata all’insegnamento della Suprema Corte, secondo il quale “al fine di poter affermare che una disposizione testamentaria sia affetta da dolo, non è sufficiente dimostrare una qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore, se del caso mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni; occorre, invece, la prova dell’avvenuto impiego di veri e propri mezzi fraudolenti idonei a trarre in inganno il testatore, avuto riguardo alla sua età, allo stato di salute, alle sue condizioni di spirito, così da suscitare in lui false rappresentazioni ed orientare la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata“.[1]

Sottolinea, poi, la pronuncia in commento come “la prova della captazione, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l’attività di condizionamento e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore[2], mentre nel caso di specie tutti i capitoli di prova testimoniale riproposti dal ricorrente, e ritenuti dalla Corte d’Appello di Venezia inidonei a provare la captazione della volontà del de cuius da parte di Filano, non avrebbero consentito di identificare e ricostruire attività specifiche di condizionamento della volontà del testatore ad opera del fratello Filano, difettando quindi della necessaria decisività”.

[3] L’ordinanza epigrafata fornisce l’occasione per ripercorrere l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in ordine all’impugnazione del testamento per c.d. captazione testamentaria, termine che, in materia testamentaria, va a qualificare la fattispecie genericamente individuata, in ambito contrattuale, come dolo.[3] Nella giurisprudenza di legittimità, come visto, è costante la considerazione che, per potersi rinvenire tale vizio, non basti “una qualsiasi influenza esercitata sul testatore per mezzo di sollecitazioni, consigli, blandizie e promesse, ma è necessario il concorso di mezzi fraudolenti, che siano da ritenersi idonei ad ingannare il testatore e ad indurlo a disporre in modo difforme da come avrebbe deciso se il suo libero orientamento non fosse stato artificialmente e subdolamente deviato”.[4]

Occorre precisare come, nell’ambito delle disposizioni testamentarie, il ruolo preminente della volontà del de cuius porti alla non applicazione del principio di affidamento di cui all’art. 1439 c.c.. Anche qualora i raggiri fossero stati attuati da un terzo, infatti, si prescinderebbe da qualsiasi valutazione in ordine alla effettiva conoscenza da parte del soggetto che si sia avvantaggiato dal disporre in quel modo.

Il profilo maggiormente discusso rimane, senza dubbio, quello probatorio. Posto che l’onere della prova grava su colui che invoca lo stato di incapacità, il suo assolvimento non sarà semplice, soprattutto qualora si dovesse ritenere necessaria la produzione di prove dirette. Si è, dunque, precisato che la prova possa essere desunta in via presuntiva da una serie di elementi quali una modifica del comportamento del testatore che porta all’attribuzione dei propri beni in una via del tutto incomprensibile in base al pregresso comportamento, ovvero all’isolamento dello stesso dai propri affetti da parte di colui che realizza la circonvenzione o, ancora, l’immotivata e improvvisa diffidenza verso i parenti più stretti.[5]

La Suprema Corte, al riguardo afferma che “poiché (…) la captazione, costituendo una forma di dolo, non si concreta in una qualsiasi influenza psicologica esercitata sul testatore attraverso blandizie, sollecitazioni e consigli ma consiste in veri e propri raggiri o altre manifestazioni fraudolente che, ingenerando una falsa rappresentazione della realtà, siano in grado di ingannare il testatore, la prova, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire la attività captatoria e la influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore che altrimenti si sarebbe indirizzata in modo diverso”.[6]

[1] Cass. Civ. n. 25521 del 31/08/2023; Cass. Civ. n. 30424 del 17/10/2022, ricorda come, ai sensi dell’art. 624 c.c., il testamento “possa essere annullato quando sia l’effetto di violenza, dolo o errore, ed anche di errore sul motivo se risulti che sia stato l’unico ad aver determinato il testatore. In particolare, in tema di dolo o violenza, occorre la prova che i fatti di induzione in errore o di violenza abbiano indirizzato la volontà del testatore in modo diverso da come essa avrebbe potuto normalmente determinarsi. Il dolo può consistere anche nella cosiddetta captazione, che non si concreta in una qualsiasi influenza esercitata sul testatore, ancorché attraverso blandizie, richieste e suggerimenti, sia pure interessati, ma deve consistere in veri e propri artifizi o raggiri o in altri mezzi fraudolenti che, avuto riguardo all’età, allo stato di salute e alle condizioni di spirito del testatore, siano stati idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso verso il quale non si sarebbe spontaneamente indirizzata”. Si veda anche Cass. Civ. n. 4653 del 28/02/2018

[2] Cass. Civ. n. 25521 del 31/08/2023; Cass. Civ. n. 30424 del 17/10/2022

[3] In tal senso si esprime Cas. Civ., Sez.2, n. 8047/2001 cit.: “Per ritenere la sussistenza della captazione, la quale deve essere configurata come il dolus malus causam dans trasferito dal campo contrattuale a quello testamentario, non basta una qualsiasi influenza esercitata sul testatore per mezzo di sollecitazioni, consigli, blandizie o promesse, ma è necessario il concorso di mezzi fraudolenti che siano da ritenersi idonei a ingannare il testatore e a indurlo a disporre in modo difforme da come avrebbe deciso se il suo libero orientamento non fosse stato artificialmente e subdolamente deviato. Tali mezzi fraudolenti sono tali anche in relazione, all’età, allo stato di salute e alle condizioni psichiche del de cuius che influiscono sulla valutazione da attribuire al dolo e alla rilevanza di esso nella libera determinazione del testatore”. Nello stesso senso, Cass. Civ., Sez. 2, n. 2122 del 27/02/1991.

Non può sottacersi come, a fronte di una sovrapposizione delle due figure da parte della giurisprudenza e della dottrina maggioritarie, vi sia una corrente dottrinale che ritiene la captazione una “figura attenuata di dolo, che invalida il testamento proprio per la sua capacità di sviare la volontà del testatore o di dominarla, senza che questi lo avverta; mentre non sono sufficienti (…) le mere blandizie o preghiere”: così Corapi, L’annullabilità del testamento, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni diretto da G. Bonilini, Tomo II – La successione testamentaria, Milano, 2009, pag. 1600, ove, in nota si riportano gli altri autori a sostegno della tesi esposta.

[4] Così Cass. Civ. 2122/1991 cit., nonché le pronunce di cui alla precedente nota 1.

[5] Cass. Civ., Sez. 2, n. 4939 del 18/08/1981

[6] Cass. Civ., Sez. 2, n. 6396 del 22/04/2003; si veda anche Cass. Civ., Sez. 2, n. 19836 del 23/07/2019

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