Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza: oneri a carico degli amministratori e illeciti penali connessi alla mancata adozione degli adeguati assetti organizzativi
di Davide Giuseppe Giugno, Avvocato Scarica in PDFNella prima uscita, dedicata al Diritto Penale dell’Impresa, abbiamo accennato alla straordinaria incidenza sull’attività d’Impresa, in generale, e dell’Imprenditore, in particolare, dell’entrata in vigore del “Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D. Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, in GURI il 14 febbraio 2019); in questa seconda pubblicazione analizzeremo gli aspetti maggiormente impattanti con la gestione dell’Impresa.
E’, certamente, l’art. 375 del CCI a rappresentare una svolta epocale, sotto il profilo della responsabilità gestoria, per gli Amministratori delle Società. La richiamata norma introduce nell’art. 2086 c.c. il dovere per l’imprenditore di “… istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale …”.
La norma sembrerebbe duplicare quanto già stabilito dall’art. 2381 c.c. in relazione alla gestione delle S.p.A.. Invero, il suo inserimento sistematico tra le norme relative alla “Gestione dell’Impresa” ne estende l’applicabilità anche alle S.r.l. ed alle Società di persone. Infatti, l’art. 377 del CCI, nel modificare gli artt. 2257 (Società di persone), 2380-bis e 2409-novies (Società per Azioni) e 2475 (Società a responsabilità limitata) c.c., ha disposto un esplicito rinvio al secondo comma dell’art. 2086 c.c., così impegnando gli Amministratori di qualsiasi tipo di Società nell’adozione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili.
In quest’ottica, il novellato art. 2477 c.c. impone a carico delle S.r.l. l’obbligo di nominare un organo di controllo o revisore.
In estrema sintesi diremo che gli assetti societari potranno ritenersi adeguati nel caso in cui consentano di:
- rilevare tempestivamente eventuali squilibri patrimoniali o economico-finanziari;
- accertare, in una prognosi di 12 mesi, la non sostenibilità delle passività, in considerazioni dei parametri indicati dal comma 4 dell’art. 2086 c.c.;
- acquisire tutte le informazioni necessarie per attenersi alla check list ed effettuare il test di verifica della perseguibilità del risanamento.
Orbene, al dovere degli Amministratori di dotare la Società di adeguanti assetti non può che essere applicata la c.d. business judgement rule che, com’è noto, rende, più o meno, insindacabili le scelte gestorie in senso stretto e non quelle organizzative. Tra esse rientra, all’evidenza, il dovere afferente all’adozione degli “adeguati assetti”. La questione non è di poco momento. Infatti, dalla violazione dell’art. 2086 co. 2 c.c. può discendere il verificarsi di fatti aventi rilevanza penale. La Governance, nella sua posizione di garanzia, potrebbe essere chiamata a rispondere per qualsivoglia illecito penale in qualche modo verificatosi a causa della mancata attivazione dei poteri impeditivi e, tra essi, di quelli rappresentati, proprio, dagli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili. Basterebbe pensare alla mancata tempestiva attivazione delle procedure volte alla salvaguardia della continuità aziendale a causa della mancata adozione degli adeguati assetti o della loro inutilità funzionale. Sicché, gli Amministratori verrebbero chiamati a rispondere ex art. 110 c.p. per tutti quei reati verificatisi anche solo per omissione, a prescindere che si tratti di reato omissivo proprio o improprio. Va sempre ricordato, tra l’altro, il dovere dell’agire informati sancito nel disposto dell’art. 2381 c.c. L’Amministratore è, in astratto, responsabile, in concorso, con chi ha materialmente posto in essere la condotta delittuosa, tutte quelle volte in cui l’inadeguatezza degli assetti organizzativi sia scaturita dalla mancata adozione dei correttivi emergenti dalle informazioni che l’Amministratore avrebbe avuto l’obbligo di assumere.
Certa dottrina[1] ha ritenuto di poter estendere la discrezionalità nell’individuazione degli obiettivi e delle strategie da adottare per perseguirli, anche all’individuazione, da parte dell’Amministratore, della più adeguata struttura organizzativa per lo svolgimento dell’attività economica. Questa posizione scaturirebbe dall’aspecificità dell’obbligo sancito nell’art. 2086 c.c. L’Imprenditore sarebbe libero di individuare i migliori assetti organizzativi, amministrativi e contabili ed andare esente da responsabilità quand’anche si rivelassero inadeguati allo scopo, purchè, in caso di contestazione, riesca a fornire la prova che nell’adozione degli assetti organizzativi abbia proceduto ad individuare le figure aziendali deputate ad occuparsi dei vari processi atti ad accertare preventivamente lo stato di crisi.
Non riteniamo di poter condividere una così benevola interpretazione, rilevando, piuttosto, che la norma espone l’Imprenditore a pericolose insidie connesse, principalmente, all’accertamento giudiziario dell’adeguatezza delle scelte dell’Imprenditore in relazione ai modelli adottati.
A tal proposito basterebbe avere a mente l’intervento valutativo dell’Autorità Giudiziaria, sia in caso di azione di responsabilità promossa contro gli Amministratori, sia nell’ipotesi di denuncia ex art. 2409 c.c..
Analogamente potrebbe accadere che l’inadeguatezza degli assetti adottati (se adottati) non consenta un immediato intervento atto a neutralizzare condotte volte alla consumazione dei reati in ambito societario, di qualsiasi tipologia essi siano (reati societari in senso stretto, tributari, in materia di sicurezza sul lavoro, fallimentari, in materia ambientale, etc.). E pur tuttavia, ci sentiamo di mitigare la nostra preoccupazione, rilevando che la norma in esame (art. 2086 c.c.) limita la finalità dell’adozione degli adeguati assetti alla sola tempestiva emersione della crisi dell’impresa, così escludendo l’ipotesi della responsabilità concorsuale in tutti quei fatti illeciti, realizzabili nella gestione della società, non costituenti causa dello stato di crisi. Resta fermo il principio di causalità necessaria, anche se nella sua declinazione omissiva. È chiaro, pertanto, che l’Amministratore, in relazione alla violazione del dovere di cui all’art. 2086 c.c., potrà rispondere penalmente di quei soli reati etiologicamente connessi al mancato o tempestivo rilevamento della crisi dell’impresa. Concludendo, riteniamo di poter annoverare tra i reati che, fermi i limiti di imputabilità previsti dall’art. 40 c.p., potrebbero travolgere la responsabilità concorsuale dell’Amministratore, quelli contemplati dal titolo IX del CCI. In relazione alle altre condotte illecite, l’Amministratore potrà essere attinto dalla responsabilità, esclusiva o concorsuale, solo in relazione all’incidenza causale della propria condotta, commissiva o omissiva, specificamente orientata alla realizzazione del reato.
[1] G. CIAN, Crisi dell’impresa e doveri degli amministratori: i principi riformati e il loro possibile impatto, in Nuove leggi civ. comm., 2019, 1160 ss.; S. Fortunato, Codice della crisi e Codice civile: impresa, assetti organizzativi e responsabilità, Riv. Società, 952 ss.; P. Montalenti, Assetti organizzativi e organizzazione dell’impresa tra principi di corretta amministrazione e business judgment rule: una questione di sistema, in Nuovo dir. soc., 2021, I, 11 ss.; V. Calandra Bonaura, Corretta amministrazione e adeguatezza degli assetti organizzativi nella società per azioni, in Giur. comm., 2020, I, 439 ss.; M. Fabiani, Dai finanziamenti alla adeguatezza dell’assetto finanziario della società, in Fallimento, 2021, 1312 ss.; S. Leuzzi, La scommessa dell’allerta: inquadramento, regole, criticità, in M. Fabiani e S. Leuzzi, La tutela dei creditori tra allerta precoce e responsabilità, in Foro italiano, Speciali 2/2021, 27 ss.; F. Macario, La riforma dell’art. 2086 c.c. nel contesto del codice della crisi e dell’insolvenza e i suoi riflessi sul sistema della responsabilità degli organi sociali, in www.dirittodellacrisi.it; V. De Sensi, Adeguati assetti e business judgment rule in www.dirittodellacrisi.it. ; De Sensi, Adeguati assetti e business judgment rule, cit. .
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Contributo curato dall’ Avv. Davide Giuseppe Giugno.
Laureato in Giurisprudenza presso la Facoltà di Legge dell’Università degli studi di Catania Tirocinio presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato – Catania
Master di II livello, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano in “Diritto Penale dell’Impresa”
Master presso la Esneca Business School in “Trattamento e depurazione delle acque”
Componente del Nucleo Indipendente di Valutazione presso Enti Locali
Presidente del Consiglio di Gestione di Società per Azioni
Dal 1996 svolge la professione forense ed è abilitato al patrocinio innanzi alle Magistrature Superiori
Titolare dello “Studio Giugno Avvocati” con sedi a Catania e Piacenza
Settori di consulenza, assistenza e rappresentanza processuale: penale dell’impresa, penale tributario, penale societario, gambling e betting regulation, penale dell’ambiente
E’ stato moderatore e relatore in convegni aventi ad oggetto i reati ambientali, le responsabilità penali connesse al GDPR 2016/679, la responsabilità penale dei medici e degli operatori sanitari, le condotte penalmente rilevanti alla luce del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza.
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