L’onere di specificità dei motivi alla luce dell’art. 360 bis c.p.c.
di Enrico Picozzi Scarica in PDFCass., sez. VI, 2 marzo 2018, n. 5001, Pres. Manna – Est. Lombardo
Impugnazioni civili – Ricorso per cassazione – Dedotta violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto – Relazione tra principio di specificità dei motivi e filtro in cassazione – Sussistenza (Cod. proc. civ., artt. 360, 360 bis, n. 1, 366, comma 1, n. 4)
[1] Quando, con il ricorso per cassazione, sia denunciata una violazione o falsa applicazione di una norma giuridica sostanziale o processuale, l’onere di specificità dei motivi di cui all’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. deve essere letto ed interpretato alla luce della previsione di cui all’art. 360 bis, n. 1, c.p.c.
CASO
[1] Caia conveniva in giudizio una società, titolare di un complesso alberghiero, chiedendone la condanna al risarcimento del danno patito per una sopraelevazione abusiva realizzata da quest’ultima. La domanda attrice trovava accoglimento nella sentenza di prime cure, che veniva successivamente confermata in fase di gravame. La società soccombente, pertanto, proponeva ricorso per cassazione, denunciando, tra le altre cose, la violazione della regola relativa alla liquidazione equitativa del danno di cui all’art. 1226 c.c.
SOLUZIONE
La Suprema Corte, dopo aver dichiarato l’inammissibilità dei primi tre motivi di ricorso, difettando gli stessi del requisito di specificità oppure risolvendosi in inammissibili censure di merito, si sofferma più dettagliatamente all’esame del quarto motivo di impugnazione. Quest’ultimo, infatti, sottopone al giudice di legittimità una delicata questione di natura processuale, che può riassumersi nei termini che seguono: come deve essere assolta la prescrizione di specificità del motivo di impugnazione in riferimento a quanto preteso e previsto dall’art. 360 bis, n. 1, c.p.c.? Al quesito, il Supremo Collegio risponde, richiamando anzitutto l’insegnamento di Cass., sez. un., 21 marzo 2017, n. 7155, che ha ricondotto la pronuncia di cui all’art. 360 bis c.p.c., ad una peculiare forma di inammissibilità meritale (da intendersi come manifesta infondatezza). Tale inquadramento sistematico – a parere della Sesta Sezione – non esclude che possa prefigurarsi, accanto, o in termini ancor più corretti, prima della succitata inammissibilità meritale, una valutazione concernente l’ordinaria inammissibilità processuale per difetto di specificità dei motivi, proprio in relazione a quanto preteso dal n. 1 dell’art. 360 bis. A sostegno di questa tesi, si afferma che lo stesso art. 366, co. 1, n. 4, c.p.c., (recante la regola – seppur non espressa – di specificità dei motivi), a seguito dell’abrogazione del quesito di diritto, e quindi dell’art. 366 bis c.p.c., cui la prima disposizione si riferiva, dovrebbe essere applicato e reinterpretato in funzione della norma che ne ha sostanzialmente preso il suo posto, ossia l’art. 360 bis. Sulla scorta di questa premessa, quindi, la Corte procede ad enucleare gli elementi di forma-contenuto, che ciascun motivo di ricorso deve possedere per poter essere considerato specifico ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 366, co. 1, n. 4 e 360 bis, n. 1, c.p.c.: 1) anzitutto, il motivo di impugnazione dovrà indicare la norma di diritto sostanziale e/o processuale, così come risulta interpretata e/o applicata dalla giurisprudenza della Suprema Corte e di cui si denuncia la violazione; 2) successivamente, il ricorrente dovrà chiarire per quali ragioni la sentenza impugnata si ponga in contrasto con l’orientamento di legittimità. Nel caso in cui viceversa, la stessa risulti conforme alla giurisprudenza della Suprema Corte, il motivo di impugnazione dovrà, altresì, illustrare gli argomenti che possono sollecitare un mutamento di orientamento (indicazioni ricalcanti quanto già anticipato dalla dottrina in sede di primo commento all’art. 360 bis: cfr. R. Poli, in Riv. dir. proc., 2010, 368-369)
QUESTIONI
L’insegnamento espresso dalla sentenza in commento (per una prima analisi, v. G. Ghiurghi, Brevi note sulla ordinanza n. 5001/2018, in www.judicium.it) va necessariamente letto e coordinato – valutandone anche le eventuali incongruenze – con il recente revirement delle Sezioni Unite (cfr. Cass., 7155/2017, cit., annotata da D. Castagno, in Giur. it., 2017, 1584 e ss.; e da M. Russo, in questa Rivista) concernente la natura della c.d. pronuncia-filtro. Dalla congiunta lettura di entrambi i provvedimenti, infatti, sembrerebbe doversi ricavare che l’apposita sezione di cui all’art. 376 c.p.c. sia chiamata a svolgere un duplice sindacato di ammissibilità: l’uno, di natura processuale e riguardante la specificità dei motivi in relazione alle prescrizioni di cui all’art. 360 bis, n. 1; l’altro, invece, di natura sostanziale e riguardante la manifesta infondatezza dei medesimi motivi, alla stregua di quella peculiare figura di inammissibilità meritale, ideata, come già ricordato, dalle menzionate Sezioni Unite.
Più precisamente, queste ultime, pur prendendo le distanze dall’immediato precedente in argomento (cfr. Cass., sez. un., 6 settembre 2010, n. 19051, annota da A. Caratta, in Giur. it., 2011, 886 e ss.), hanno tuttavia ribadito che la valutazione concernente la c.d. inammissibilità meritale debba avvenire avendo come referente temporale lo stato della giurisprudenza al momento della decisione del ricorso, cosicché possano ben darsi ipotesi di ammissibilità (rectius fondatezza) sopravvenuta dell’impugnazione interposta. A tal riguardo ed in via esemplificativa, basti pensare al caso in cui il ricorrente, sebbene non abbia offerto elementi per mutare l’orientamento a cui ha aderito la decisione di merito, ciò nondimeno potrebbe vedersi dichiarare ammissibile l’impugnazione proposta allorché, medio tempore, (ossia nel periodo intercorrente tra la proposizione del ricorso e la sua decisione), quell’orientamento sia divenuto oggetto di revisione.
Ora proprio questa eventualità, e quindi l’ipotesi che il mutamento sopravvenuto di giurisprudenza possa incidere (positivamente) sulle sorti del ricorso, sancendone dunque la sua sopravvenuta ammissibilità, sembra entrare in collisione con le rigide indicazioni di forma-contenuto espresse dalla VI Sezione con la pronuncia in commento. Infatti, nella situazione più sopra indicata, se il ricorrente non avesse specificato gli elementi idonei a sollecitare un ripensamento dell’orientamento a cui ha aderito la pronuncia gravata, il suo ricorso (o il suo singolo motivo) sarebbe fin da subito incorso nella sanzione di inammissibilità per violazione dell’art. 366, co. 1, n. 4, letto alla luce dell’art. 360 bis, n. 1, a prescindere dal fatto che la sentenza impugnata, nel frattempo, non risulti più conforme all’orientamento della Suprema Corte. In altre parole, la violazione dei dettami processuali in tema di specificità dei motivi rende sostanzialmente irrilevante l’eventuale mutamento di giurisprudenza sopraggiunto, in thesi, favorevole al ricorrente. Diversamente opinando, infatti, si finirebbe con l’ammettere una sanatoria di un vizio processuale, di per sé insanabile, qual è, per l’appunto, il difetto di specificità dei motivi, prefigurando una peculiare figura di inammissibilità rebus sic stantibus (su tale aspetto, v. Cass., sez. VI-2, 26 luglio 2016, n. 15513), ovverosia fondata sulla persistenza dell’orientamento rispetto al quale il ricorrente non ha offerto elementi per il suo mutamento.
Da quanto appena rilevato, sembra dunque emergere una incompatibilità di fondo fra l’arresto delle Sezioni Unite e la pronuncia qui commentata, ancorché quest’ultima muova, apertis verbis, dai principi e dalle conclusioni espresse dalla prima. A ben vedere, infatti, la c.d. inammissibilità meritale, di cui discorrono le Sezioni Unite, sembra assorbita dalla più generale e tradizionale categoria dell’inammissibilità processuale: una volta infatti valutata, positivamente la congruità del motivo alla luce del combinato disposto di cui agli art. 360 bis, n. 1 e 366, co. 1, n. 4, la funzione di filtro assegnata alla prima disposizione può ritenersi sostanzialmente esaurita. In questa direzione, allora, non sembrano esservi dubbi sul fatto che l’effettiva novità della sentenza in epigrafe è quella di aver correttamente sussunto fattispecie in precedenza determinanti la manifesta infondatezza del ricorso (cfr. ad esempio Cass., sez. VI, 8 febbraio 2011, n. 3142 e Cass., Sez. VI, 19 aprile 2011, n. 8923, entrambe annotate da F. Ferraris, in Riv. dir. proc., 2012, 491 e ss.) nella più adeguata categoria dell’inammissibilità in rito. Evenienza che potrebbe indurre un più ampio ripensamento sulla presunta natura (meritale) della declaratoria di cui all’art. 360 bis c.p.c.