Onere di impugnazione incidentale (e insufficienza della riproposizione ex art. 346 c.p.c.) in materia di cumulo alternativo sul piano soggettivo
di Marco Russo, Avvocato Scarica in PDFCass., sez. un., 4 dicembre 2024, n. 31136 Pres. D’Ascola, Rel. Scarpa
Cumulo di domande – Domande alternative sul piano soggettivo – Titolarità del lato passivo del rapporto – Sentenza – Appello – Cause inscindibili – Onere di riproposizione – Impugnazione incidentale (C.p.c. artt. 33, 331, 342, 343, 346)
Massima: “Nel caso di domande avvinte da un nesso di cumulo alternativo soggettivo sostanziale per incompatibilità, proposte dall’attore nei confronti di due diversi convenuti, la sentenza di primo grado che condanna colui che sia individuato come effettivo obbligato contiene una statuizione di fondatezza della rispettiva pretesa e una statuizione di rigetto nel merito della pretesa alternativa incompatibile. Il nesso di dipendenza implicato dal cumulo alternativo comporta in sede di impugnazione l’applicazione dell’art. 331 c.p.c. e la riforma del capo della sentenza inerente alla titolarità passiva del rapporto dedotto in lite, conseguente all’accoglimento dell’appello formulato dal convenuto alternativo rimasto soccombente in primo grado, ha effetto anche sul capo dipendente recante l’enunciazione espressa, o anche indiretta, ma comunque chiara ed inequivoca, di infondatezza della pretesa azionata dall’attore verso l’altro convenuto. Affinché il giudice d’appello, adito in via principale sul punto dal convenuto soccombente, possa altresì accogliere la pretesa azionata verso il litisconsorte alternativo assolto in primo grado e perciò condannare quest’ultimo, l’attore non può limitarsi a riproporre ex art. 346 c.p.c. la rispettiva domanda, esaminata e respinta nella sentenza impugnata, ma deve avanzare appello incidentale condizionato.”
CASO
In primo grado il lavoratore cita la Regione, il Comune e l’ente previdenziale per ottenere la condanna in via alternativa di uno dei tre resistenti al pagamento di differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori.
Il tribunale accoglie la domanda nei confronti dell’istituto con sentenza impugnata in via principale dal soccombente, in via incidentale (per la sola compensazione delle spese di lite) dall’originario ricorrente e, in via condizionata, dal Comune quanto alla prescrizione dei crediti azionati.
La corte d’appello accoglie l’impugnazione principale affermando che il lavoratore aveva svolto in regime di comando presso l’istituto mansioni legate alla concessione delle prestazioni assistenziali di invalidità civile per conto dapprima del Comune e successivamente della Regione, sicché nulla era dovuto dall’ente previdenziale; e osservando che lo stesso lavoratore, nel costituirsi in appello, aveva concluso per il rigetto dell’impugnazione principale e per la riforma della sentenza limitatamente al capo sulle spese di lite, senza spiegare appello incidentale nei confronti del Comune e della Regione, e dunque in ordine a queste ultime “non poteva esserci pronuncia nel giudizio di impugnazione”, anche in considerazione del fatto che la formulazione di gravame incidentale sul solo capo attinente alle spese attestava al contrario “l’accettazione della sentenza del Tribunale nelle parti relative al rigetto delle domande verso gli altri convenuti”.
La sentenza d’appello è oggetto di impugnazione da parte del lavoratore, che con il primo motivo ex art. 360 c.p.c. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 343 e 346 c.p.c. per avere la sentenza impugnata ritenuto la necessità di proporre appello incidentale condizionato al fine di ottenere il riesame e l’eventuale accoglimento delle pretese verso il Comune e la Regione.
La Sezione lavoro, cui il ricorso era inizialmente assegnato, rimette la causa al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite, sulla base della particolare importanza della questione di massima inerente alla necessità che, in caso di cumulo soggettivo passivo alternativo di domande articolate in primo grado, l’appellato vincitore, destinatario di impugnazione principale formulata del convenuto soccombente, presenti appello incidentale, eventualmente condizionato, o riproponga ex art. 346 c.p.c. le domande non accolte dal primo giudice, al fine di impedire il passaggio in giudicato della parte della decisione relativa alla posizione degli altri convenuti risultati non soccombenti.
La Procura Generale concludeva nel senso della sufficienza dell’onere di riproposizione, sulla base del seguente (poi non accolto dalla Corte) principio di diritto: “in caso di domanda proposta, alternativamente, nei confronti di due o più convenuti, che sia stata accolta nei confronti di uno, l’appello introdotto dal soccombente non determina ex se la devoluzione al giudice di secondo grado anche della cognizione sulla pretesa dell’attore nei confronti degli altri titolari passivi alternativamente citati in giudizio, poiché, pur trattandosi di unico rapporto sostanziale dedotto in lite, con titolare passivo incerto, risultano azionate due o più distinte formali pretese, con unicità del “petitum” e diversità dei soggetti passivi, con la conseguenza che, contestata dall’appellante la relativa pretesa, l’attore – appellato, per il caso di assorbimento implicito delle domande nei confronti degli altri soggetti passivi alternativi, ha l’onere di riproporle, ai sensi dell’art. 346 c.p.c.”.
SOLUZIONE
Le Sezioni unite affermano il diverso principio riportato in epigrafe, con cui in sintesi ritengono che la sentenza emessa a seguito di domanda proposta, per lo stesso petitum mediato, alternativamente nei confronti di più convenuti contenga una implicita pronuncia di rigetto nei confronti del convenuto assolto dalle domande attoree.
Da ciò la Corte ricava, sul piano delle impugnazioni, la qualificazione in termini di cause inscindibili e la conseguente applicabilità dell’art. 331 c.p.c., da cui discende a catena che la riforma del capo della sentenza inerente alla titolarità passiva del rapporto dedotto in lite, conseguente all’accoglimento dell’appello principale del convenuto soccombente in primo grado, spiega i propri effetti anche sul capo dipendente fondato sulla “enunciazione espressa, o anche indiretta, ma comunque chiara ed inequivoca”, di “infondatezza della pretesa azionata dall’attore verso l’altro convenuto”.
Il giudice di secondo grado, adito in via principale sul punto dal convenuto soccombente, può dunque accogliere la pretesa azionata verso il litisconsorte alternativo assolto in primo grado e perciò condannare quest’ultimo solo se l’appellato, originario attore, propone appello incidentale condizionato e non si limita alla riproposizione, con le forme dell’art. 346 c.p.c., della domanda (più o meno esplicitamente, con i problemi interpretativi che ne derivano) rigettata dal primo giudice.
QUESTIONE
La Corte ha accolto il primo motivo di ricorso interrogandosi sulla migliore soluzione tra le tre astrattamente in campo, ossia la necessità dell’impugnazione incidentale condizionata avverso i convenuti assolti in primo grado, la sufficienza della riproposizione ex art. 346 c.p.c. e infine l’assenza di particolari oneri processuali, laddove in quest’ultimo caso si ritenga che l’appello principale proposto dal convenuto riconosciuto titolare del lato passivo del rapporto basti di per sé a rimettere in discussione per intero, in appello, la determinazione dell’effettivo debitore.
La scelta delle Sezioni Unite, privilegiando la prima delle tre opzioni, si pone in consapevole contrasto con precedente orientamento espresso da S.U. 29 luglio 2002, n. 11202 del 2002, secondo cui nel caso di domanda proposta alternativamente nei confronti di due diversi convenuti, che venga accolta nei confronti di uno solo di questi ultimi e rigettata nei confronti dell’altro, l’appello del soccombente non basta a devolvere al giudice dell’impugnazione anche la cognizione circa la pretesa dell’attore nei confronti del convenuto alternativo, “posto che l’unicità del rapporto sostanziale, con titolare passivo incerto, non toglie che due e distinte siano le formali pretese, caratterizzate – pur nell’unità del “petitum” – dalla diversità dei soggetti convenuti (“personae”) e in parte dei fatti e degli argomenti di sostegno (“causae petendi”)”, il ché escludeva, già nell’opinione espressa nel 2002 la terza delle soluzioni sopra proposte.
In quell’occasione le Sezioni unite adottarono la più morbida (per l’appellato) soluzione che sancisce la sufficienza della riproposizione della pretesa respinta.
Come già dubitato dall’ordinanza interlocutoria della Sezione lavoro, tale orientamento non appare più coerente con la più rigida posizione assunta, sempre dalle Sezioni unite, con la decisione 19 aprile 2016. n. 7700, che, sia pure nel diverso ambito della chiamata di garanzia, aveva escluso la sufficienza dello strumento di cui all’art. 346 c.p.c. affermando che qualora il giudice di primo grado abbia rigettato la domanda principale e non abbia deciso sulla domanda di chiamata in garanzia (e sulle implicazioni, quali la rivalsa), atteso che la decisione su di essa era stata condizionata all’accoglimento della domanda principale e non era stata chiesta né dal convenuto (preteso garantito) né dal terzo chiamato (preteso garante) indipendentemente dal tenore della decisione sulla domanda principale, “ove l’attore appelli la decisione di rigetto della domanda principale (impugnazione da rivolgersi necessariamente sia contro il convenuto sia contro il terzo), ai fini della devoluzione al giudice d’appello della cognizione della domanda di garanzia per il caso di accoglimento dell’appello (ovvero di riconoscimento della fondatezza della domanda principale), non è necessaria la proposizione da parte del convenuto appellato di un appello incidentale (condizionato all’accoglimento dell’appello principale), ma è sufficiente la mera riproposizione della domanda di garanzia ai sensi dell’art. 346 c.p.c.”.
A ben vedere, sia pure in obiter dictum, la motivazione della decisione da ultimo richiamata conteneva effettivamente un (lungo) passaggio inerente allo specifico tema in esame, ossia la domanda alternativa sul piano soggettivo, e a quella diversa ipotesi riconosceva la necessità dell’impugnazione incidentale.
A questa ricostruzione “storica” le Sezioni unite nella pronuncia in commento aggiungono la lucida osservazione che, in realtà, entrambe le soluzioni residue (esclusa la sola assenza di qualsiasi onere in capo all’appellato) presentano un inconveniente teorico ineliminabile, e ciò implica la necessità di abbandonare l’obiettivo di una pronuncia che contemperi le diverse esigenze in gioco.
Da un lato infatti la tesi che impone l’appello incidentale è sì coerente con l’osservazione che la condanna di uno dei convenuti alternativi resa in primo grado configura una decisione implicita di rigetto della pretesa avanzata nei confronti degli altri, ma si espone alla critica che l’attore, per effetto della condanna di uno dei convenuti alternativi, è comunque integralmente vincitore ed ha ottenuto il bene della vita domandato.
Dall’altro, la ricostruzione che si accontenta della riproposizione è in linea con la tesi che tali domande non siano state, in realtà, decise nel merito, essendo rimaste assorbite, oppure definite in rito, ma si scontra con la constatazione che la domanda contro i convenuti assolti risulta, in realtà, respinta nel merito, previo accertamento della identità dell’effettivo debitore, il ché conduce lontano dall’alveo dell’art. 346 c.p.c.
In questo delicato equilibrio, l’apporto innovativo della sentenza consiste nell’individuazione di alcuni profili che, ribadita l’astratta legittimità delle due tesi in contrasto, spostano l’asticella verso il polo dell’impugnazione incidentale.
Il primo è la scarsa attinenza del “precedente” rappresentato dalle Sezioni Unite del 2016, almeno nella loro ratio decidendi fondata sul caso della domanda di garanzia: nel nostro caso invece è proprio la natura delle domande proposte dall’attore, laddove egli sin dall’atto introduttivo in primo grado abbia “esposto in modo chiaro e specifico le ragioni della propria domanda verso i due convenuti nei termini di un cumulo alternativo sostanziale incondizionato, articolato, pertanto, mediante due pretese tra loro incompatibili”, a far sì che il giudice rispetti la regola di corrispondenza tra richiesto e pronunciato affermando espressamente la responsabilità di uno dei convenuti (sempre ipotizzando l’accoglimento della pretesa attorea) e al contempo, quand’anche solo implicitamente, escludendo la responsabilità dell’altro (o degli altri, laddove i convenuti originari siano più di due).
Il secondo è l’irrilevanza, ai fini che ci occupano, del profilo inerente al litisconsorzio c.d. unitario, o necessario processuale, originato dall’impugnazione principale: esso garantisce infatti l’integrità del contraddittorio, ma non ne determina ipso iure l’ampiezza, questa dipendendo dalle specifiche iniziative dei singoli litisconsorti in relazione all’ambito oggettivo di quanto è devoluto – con forme, appello incidentale o riproposizione, ancora da individuarsi – al giudice del gravame.
Più rilevante è invece il richiamo a Cass., S.U., 27 ottobre 2016, n. 21691, per cui il capo dipendente di sentenza recante l’enunciazione espressa o anche indiretta, ma comunque chiara ed inequivoca, di infondatezza della pretesa azionata dall’attore verso il convenuto alternativo rispetto a quello condannato, subisce l’effetto espansivo interno della riforma derivante dall’accoglimento del gravame principale e, dunque, non passa in giudicato, sicché dall’accoglimento dell’appello principale non discende una duplice soccombenza dell’attore stesso.
La sentenza in epigrafe si prende carico, infine, di una delle critiche mosse alla tesi che predica la sufficienza della riproposizione.
Secondo la Corte non appare infatti contraria alle esigenze del giusto processo e della ragionevole durata la conclusione che la mera caducazione ex art. 336, comma 1 c.p.c. del capo dipendente della sentenza di primo grado, contenente il rigetto della pretesa dell’attore verso il convenuto alternativo assolto, non comporti il passaggio in giudicato, sicché la rispettiva pretesa può poi essere devoluta in un nuovo processo.
Ai fini della “completezza del sistema delle garanzie apprestate dall’art. 111, comma 2 Cost.,”, i cui “valori non possono entrare in comparazione”, deve infatti apprezzarsi anche l’interesse del convenuto alternativo, vincitore in primo grado, alla stabilizzazione della decisione o, altrimenti, ad essere posto a conoscenza, in modo chiaro e leale, della circostanza che sia stata proposta un’impugnazione diretta nei suoi confronti, per poter così “allertare i propri poteri difensivi”.
Sulla base dei principi sopra esposti, la Corte giunge dunque a dirimere il contrasto interpretativo affermando che il cumulo alternativo soggettivo sostanziale per incompatibilità sotteso alle domande dell’attore in primo grado nei confronti di più convenuti comporta di per sé che la sentenza, laddove accolga una delle domande e dunque effettivamente condanni evidentemente uno solo dei convenuti, contenga non solo l’esplicita statuizione di fondatezza della pretesa formulata nei confronti del convenuto infine condannati, ma anche una statuizione (ancorché non motivata) di rigetto della pretesa alternativa incompatibile, o delle più pretese incompatibili in caso di più convenuti assolti.
Lo stesso cumulo alternativo origina un nesso di dipendenza inquadrabile nella disciplina di cui all’art. 331 c.p.c., da cui discende che la riforma del capo della sentenza inerente alla titolarità passiva del rapporto dedotto in lite, conseguente all’accoglimento dell’appello formulato dal convenuto alternativo rimasto soccombente in primo grado, ha effetto anche sul capo dipendente recante l’enunciazione espressa, o come si è detto anche semplicemente indiretta, di infondatezza della pretesa azionata dall’attore verso l’altro convenuto: affinché il giudice d’appello, adito in via principale sul punto dal convenuto soccombente, possa altresì accogliere la pretesa azionata verso il litisconsorte alternativo assolto in primo grado e perciò condannare quest’ultimo, l’attore non può dunque limitarsi a riproporre la domanda ex art. 346 c.p.c. (in quanto essa non è stata fisiologicamente assorbita dal diverso iter logico- giuridico adottato in sentenza, bensì è stata almeno indirettamente esaminata e respinta) e deve invece proporre l’impugnazione incidentale condizionata, vòlta ad evidenziare al secondo giudice l’implicito errore insito nel rigetto delle ragioni esposte in primo grado a sostegno della domanda avverso il convenuto assolto.
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia