Omessa specificazione nel precetto della quota millesimale del debito: nel giudizio di opposizione all’esecuzione spetta al condomino la prova della relativa misura
di Giulia Bovenzi Scarica in PDFCass., Sez. III, 18 luglio 2017, n. 22856 – Pres. Vivaldi – rel. Tatangelo
Condominio – Singoli condomini – Obbligazioni solidali – Obbligazioni pro quota – Esecuzione forzata – Opposizione a precetto – Onere della prova (artt. 268, 474, 615 c.p.c.; artt. 1131, 2697 c.c.)
[1] Laddove il creditore del condominio proceda per il totale dell’importo portato dal titolo nei confronti di un solo condomino od ometta di specificare qual è la quota del debito spettante al condomino, implicitamente allegando una responsabilità dell’intimato per l’intero ammontare dell’obbligazione, quest’ultimo potrà opporsi all’esecuzione contestando di non essere affatto condomino, ovvero eccependo che la sua quota millesimale è inferiore a quella esplicitamente o implicitamente allegata dal creditore; nel primo caso, l’onere di provare il fatto costitutivo di detta qualità spetterà al creditore procedente, ed in mancanza il precetto dovrà essere dichiarato inefficace per l’intero; nel secondo caso sarà lo stesso opponente a dover dimostrare l’effettiva misura della propria quota condominiale; se tale dimostrazione venga fornita, l’atto di precetto dovrà essere dichiarato inefficace per l’eccedenza, ma resterà valido per la minor quota parte dell’obbligazione effettivamente gravante sul singolo condomino; in mancanza di tale dimostrazione, l’opposizione non potrà invece essere accolta, l’atto di precetto non potrà essere dichiarato inefficace e resterà quindi efficace per l’intera quota di cui il creditore ha intimato il pagamento.
CASO
[1] Proposta opposizione da due condòmini avverso l’atto di precetto di pagamento in forza di decreto ingiuntivo formatosi nei confronti del relativo condominio, sia il giudice di prime cure che quello di secondo grado si pronunciavano per il suo accoglimento. In particolare, la Corte di appello escludeva che la responsabilità dei condomini potesse estendersi all’intera obbligazione del condominio, ritenendola proporzionale alla quota di partecipazione di ciascuno, per cui concludeva stabilendo che spettasse al creditore intimante provare l’entità di ciascuna quota, pena l’inefficacia del precetto opposto. Avverso la pronuncia della Corte territoriale, veniva proposto ricorso in cassazione.
SOLUZIONE
[1] La S.C. ribadisce che l’esecuzione nei confronti di un singolo condomino ben può essere svolta sulla base di un titolo esecutivo ottenuto nei confronti del condominio, pur se nei limiti della sua quota millesimale, che il creditore può limitarsi ad allegare. Qualora il creditore ometta tale specificazione oppure proceda nei confronti del condomino esecutato per il totale dell’importo indicato nel titolo, quest’ultimo può opporsi all’esecuzione o contestando la propria partecipazione al condominio o deducendo che la sua quota millesimale è inferiore a quella allegata dal creditore. Nel primo caso, l’onere di provare il fatto costitutivo della qualità di condominio spetta al creditore procedente, pena l’inefficacia del precetto per l’intero; nel secondo caso, invece, è lo stesso opponente a dover dimostrare l’effettiva misura della propria quota condominiale, in quanto “fatto modificativo o parzialmente impeditivo” della legittimazione passiva all’azione esecutiva del singolo condominio. Fornita tale dimostrazione, il precetto dovrà essere dichiarato inefficace per l’eccedenza, restando valido per la minor quota parte dell’obbligazione effettivamente gravante sul singolo condominio; in caso contrario, l’opposizione non può essere accolta e l’atto di precetto resta valido ed efficace per l’intera quota di cui il creditore abbia intimato il pagamento.
QUESTIONI
[1] La decisione suscita non pochi dubbi.
Come è noto, se in un primo tempo la giurisprudenza di legittimità era approdata alla tesi secondo cui la sentenza recante condanna del condominio per un credito vantato da chi abbia contratto con l’amministratore equivale a condanna e, quindi, a titolo esecutivo nei confronti dei singoli condomini (Cass., SS.UU., 8 aprile 2008, n. 9148; Cass. 14 ottobre 2004, n. 20304; Cass. 14 dicembre 1982, n. 6866; Cass. 11 novembre 1971, n. 32359), con la sentenza 18 settembre 2014, n. 19663, la S.C. ha stabilito che il singolo condomino non assume le vesti di parte del giudizio promosso nei confronti dell’amministratore finché non si costituisca formalmente in esso, con la conseguenza che non è possibile considerare la sentenza resa nei confronti dell’amministratore efficace anche nei confronti dei singoli condomini. Viene, dunque, “ribaltato” il tradizionale orientamento giurisprudenziale secondo cui nelle cause in cui l’amministratore rappresenta il condominio, ai sensi dell’art. 1131 c.c., automaticamente tutti i condomini devono ritenersi parti già costituite, potendo di conseguenza decidere autonomamente di proporre impugnazione contro la sentenza di condanna pronunciata in danno dell’amministratore o, ancora, intervenire in un giudizio a sostegno dello stesso, senza soggiacere alle preclusioni processuali che incombono, invece, sui “terzi” interventori.
Più di recente, la Suprema Corte ha anche chiarito che in caso di decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti del condominio in persona dell’amministratore è necessaria la notifica del titolo al singolo condomino, ove il creditore voglia poi procedere in suo danno, quale obbligato pro quota; ciò in quanto “il Condominio è soggetto distinto da ognuno dei singoli condomini, ancorché si tratti di soggetto non dotato di autonomia patrimoniale perfetta”, e la deroga di cui all’art. 654, comma 2, è da ritenere applicabile “solo al soggetto nei confronti del quale il decreto ingiuntivo sia stato emesso ed al quale sia stato ritualmente notificato” (Cass. 29 marzo 2017, n. 8150).
Alla luce di queste statuizioni e dei consolidati principi in tema di esecuzione, pare a chi scrive che la decisione in commento non possa essere condivisa. In primo luogo, è noto che nel giudizio di opposizione ex art. 615 c.p.c. sia sempre il creditore procedente a dover provare l’esistenza del titolo per cui si procede e la somma intimata (Cass. 16 giugno 2016, n. 12415), persino nell’ipotesi in cui non sia stato esattamente quantificato il credito vantato, nel qual caso il creditore dovrà comunque provare l’esattezza degli importi intimati (Cass. 19 novembre 2014, n. 24699). Il titolo esecutivo, infatti, costituisce il presupposto irrinunciabile del diritto ad agire in esecuzione, per cui il giudice, in sede di opposizione a precetto ex art. 615 c.p.c., dovrà pur sempre verificare l’esattezza della quantificazione operata dal creditore, anche in assenza di specifiche censure sul punto (Cass. 28 luglio 2011, n. 16610).
Invece, per il S.C., la facoltà riconosciuta dalla legge al creditore di avvalersi del titolo esecutivo formatosi nei confronti del condominio per promuovere l’esecuzione forzata contro i singoli condomini fa sì che al creditore procedente spetti solo dimostrare la legittimazione passiva, sul piano esecutivo, dei condomini aggrediti, e cioè la loro qualità di condomini, mentre per il profilo della misura della quota millesimale deve ritenersi bastante la mera affermazione della entità della quota, così imponendo al condominio l’onere di provare l’esistenza e il quantum del proprio debito.
Ora, tutto ciò premesso e considerato che: 1)- si tratta di un’esecuzione che poggia su di un titolo esecutivo giudiziale e che i singoli condomini che contestano la sussistenza del proprio obbligo rispetto al titolo esecutivo ottenuto nei confronti del condominio in persona dell’amministratore o la sua non proporzionalità rispetto alla propria quota condominiale, in realtà mettono in discussione l’esistenza del titolo esecutivo; 2)- il potere rappresentativo sostanziale e processuale dell’amministratore può vincolare il singolo condomino solo in proporzione alle rispettive quote millesimali (Cass. 9 giugno 2017, n. 14530; Cass., SS.UU., 8 aprile 2008, n. 9148), credo che l’affermazione di essere condomino per una quota millesimale inferiore a quella “allegata” dal creditore non possa essere qualificata quale fatto modificativo o parzialmente impeditivo della legittimazione passiva all’azione esecutiva del singolo condomino, spettando al creditore l’onere di allegare (e conseguentemente provare) oltre che l’esistenza, anche il quantum del debito spettante al singolo condomino.
A dispetto di quanto affermato dalla S.C., inoltre, non sembra che possa essere invocato il principio della vicinanza della prova, giacché detto principio va applicato in ipotesi marginali nelle quali la rigida applicazione della regola dell’onere della prova condurrebbe a risultati incompatibili con l’articolo 24 Cost. (Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Bari, 108). In altre parole, detto principio può essere applicato soltanto laddove la prova sia eccessivamente difficoltosa per la parte che ne sarebbe naturalmente onerata, circostanza che non pare ricorrere nel caso in esame, come del resto ammette anche il Supremo Collegio.
In definitiva, la pronuncia in esame sembra aver invertito il regime dell’onere della prova, così come dettato dall’art. 2697 c.c. che distingue tra fatti costitutivi, modificativi ed estintivi, rimettendo al singolo condomino l’onere di provare l’esattezza dell’importo intimato in precetto, come proporzionato alla sua quota millesimale.