Omessa pronuncia sulle spese e correzione dell’errore materiale
di Fabio Cossignani Scarica in PDFLe Sezioni Unite (Cass., sez. un., 21 giugno 2018, n. 16415) risolvono il contrasto rilevato da Cass., sez. II, 11 settembre 2017, n. 21048 in merito al mezzo utile (impugnazione o correzione dell’errore materiale) per integrare la sentenza che difetti, nel dispositivo, della liquidazione delle spese, nonostante la parte motiva sia stata chiara nell’addossarle a una delle parti. La Corte opta ragionevolmente per la correzione dell’errore materiale.
Il caso concreto
La sentenza impugnata, in motivazione, poneva le spese del giudizio a carico della parte soccombente.
Tuttavia, nel dispositivo veniva omessa la liquidazione di tali spese. In particolare, erano lasciate in bianco le parti predisposte per tale liquidazione.
La sezione seconda (Cass., sez. II, 11 settembre 2017, n. 21048) evidenziava un contrasto nella giurisprudenza della Corte e la decisione passava quindi nelle mani delle Sezioni Unite (sull’ordinanza di rimessione, v. funditus Picozzi, Sui rimedi esperibili in caso di omessa liquidazione delle spese nel dispositivo).
Il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto esprimendo il seguente principio di diritto: «A fronte della mancata liquidazione delle spese nel dispositivo della sentenza, anche emessa ex art. 429 c.p.c., sebbene in parte motiva il giudice abbia espresso la propria volontà di porle a carico della parte soccombente, la parte interessata deve fare ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e ss. c.p.c. per ottenerne la quantificazione».
Gli argomenti utilizzati
La Corte, tracciando una linea di continuità con la giurisprudenza più recente (v. infra), adotta una nozione di errore materiale più ampia rispetto a quella “classica”.
Infatti, gli insegnamenti più risalenti distinguono l’errore materiale dalla nullità sulla base dell’elemento volitivo della sentenza: l’errore avrebbe riguardo alla mera manifestazione di una volontà già formata; la nullità, invece, alla sua formazione.
Sulla base dell’approccio tradizionale, quindi, la mancata liquidazione si presta ad essere identificata con la nullità in quanto la discrezionalità del giudice, anche se chiara sotto il profilo della individuazione della parte gravata, non può dirsi individuata per i restanti profili (ad esempio, in ordine al quantum da liquidare, specie sotto la vigente normativa).
Gli equilibri hanno cominciato a mutare grazie a un precedente delle Sezioni Unite penali, secondo cui «la omissione di una statuizione obbligatoria di natura accessoria e a contenuto predeterminato non determina nullità e non attiene a una componente essenziale dell’atto, onde ad essa può porsi rimedio con la procedura di correzione di cui all’art. 130 c.p.p.» (enfasi nostre) (Cass. pen., sez. un., 21 febbraio 2008, n. 7945).
Tuttavia, fermo e pacifico il carattere obbligatorio e officioso della decisione sulle spese, risultava opinabile l’affermazione perentoria secondo cui essa è “a contenuto predeterminato”.
Il passaggio successivo è stato così compiuto da Cass., sez. un., 7 luglio 2010, n. 16037 – pronunciata in tema di omessa distrazione delle spese in favore del difensore – secondo cui rientra nell’errore materiale la «statuizione obbligatoria di carattere accessorio anche se a contenuto discrezionale» (enfasi nostra).
In questa maniera viene sminuita l’importanza della pronuncia sulle spese, in quanto i vizi o la omissione della stessa finiscono per ricevere un trattamento almeno in parte diverso rispetto agli omologhi vizi che potrebbero interessare le statuizioni principali (ad es., la condanna al risarcimento dei danni priva della determinazione del quantum).
Vanno tuttavia considerati anche i vantaggi della nuova prospettiva. In primo luogo, la soluzione appare più armonica con il principio di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.). Inoltre, essa elimina il problema dell’omessa pronuncia in sede di legittimità, non essendo configurabile un mezzo di impugnazione utile della decisione (cfr. artt. 391 bis e 391 ter c.p.c.).
Limiti di applicabilità del principio
Secondo quanto affermano le stesse Sezioni Unite, il procedimento per la correzione degli errori materiali non è sempre percorribile: «Al fine di evitare ulteriori dubbi, giova precisare che la parte motiva della sentenza deve contenere la statuizione che pone le spese a carico del soccombente, perché solo in tal caso la divergenza fra la motivazione, che regola il carico delle spese fra le parti, ed il dispositivo, in cui è stata omessa la liquidazione delle stesse, rientra nella statuizione principale, e la divergenza non dà luogo a contrasto insanabile fra motivazione e dispositivo» (enfasi nostra).
La precisazione potrebbe essere foriera di dubbi interpretativi e di delusioni, almeno per chi auspichi un più ampio margine di utilizzo dello snello procedimento di correzione.
In particolare, occorre chiarire quali siano i mezzi esperibili là dove, specie in caso di soccombenza totale di una parte:
- a) né la motivazione né il dispositivo esprimano la volontà di applicare il principio della soccombenza ovvero, al contrario, di attuare la compensazione delle spese, ovvero
- b) la determinazione espressa contenuta nella motivazione (es.: principio di soccombenza) sia contraddittoria rispetto a quella contenuta nel dispositivo (es.: compensazione).
Stando a quanto affermato dalle Sezioni Unite («…solo…»), essendo entrambi i casi diversi da quello deciso, l’omissione e il contrasto dovrebbero considerarsi insanabili, con conseguente nullità della decisione e relativo onere di impugnazione ovvero, in caso di statuizione di legittimità, possibilità di opporsi alla stessa in sede esecutiva.
La perentorietà della tesi espressa dalle Sezioni Unite se, da un lato, definisce in maniera puntuale l’ambito di applicazione di ciascun rimedio con riferimento alla pronuncia sulle spese, dall’altro sembra contrastare con l’insegnamento generale – dai confini più incerti – secondo cui il contrasto tra motivazione e dispositivo può sempre, in thesi, reputarsi “sanabile” ed essere denunciato con il procedimento di errore materiale (v. Cass., sez. VI, 10 maggio 2011, n. 10305). Ad esempio, la fattispecie sub a) potrebbe intendersi come contrasto apparente e, quindi sanabile mediante il ricorso all’applicazione del principio generale della soccombenza (cfr. Consolo, Porta aperta – sì, ma in ogni grado? – alla correggibilità della sentenza che ometta/dimentichi di statuire sulle spese in dispositivo, in Corr. giur., 2014, 679 ss.) (il ragionamento si rovescia ove, nel merito, vi sia stata una soccombenza reciproca, con ulteriore complicazione del contrasto nel caso in cui la reciproche soccombenze risultino diseguali sotto il profilo quantitativo).
Inoltre, ancora con riferimento all’ipotesi sub a), onerare sempre e comunque la parte vittoriosa nel merito alla proposizione dell’impugnazione significa riconoscere che la doppia omissione equivalga, nella sostanza, all’implicita compensazione delle spese, idonea al giudicato e, soprattutto, sottratta ad ogni censura se relativa a una decisione di rigetto della Cassazione.
Analoghi problemi sorgono anche con riferimento all’ipotesi sub b), ai fini dell’individuazione della parte onerata all’impugnazione: la parte che voglia dolersi della motivazione o quella che voglia dolersi del dispositivo? Al riguardo, prevale l’idea che il giudicato si formi sul dispositivo e che, quindi, l’onere incomba sulla parte soccombente rispetto ad esso (Cass., sez. VI, 27 giugno 2012, n. 10747). Anche in tal caso tutto si complica qualora la decisione viziata sia stata pronunciata dalla Cassazione.