Omessa pronuncia, pronuncia implicita e omessa o insufficiente motivazione: alcuni chiarimenti
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass., sez. V, 2 aprile 2020, n. 7662, Pres. Crucitti – Est. Fracanzani
[1] Rigetto implicito – Condizioni – Insussistenza del vizio – Sufficienza della motivazione – Esame delle questioni giustificatrici del convincimento – Sufficienza (artt. 112, 360 c.p.c.).
Non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata, in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, non occorrendo una specifica argomentazione in proposito. È quindi sufficiente quella motivazione che fornisce una spiegazione logica ed adeguata della decisione adottata, evidenziando le prove ritenute idonee a suffragarla, ovvero la carenza di esse, senza che sia necessaria l’analitica confutazione delle tesi non accolte o la disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi. (massima ufficiale)
CASO
[1] Nei confronti di una società dichiarata fallita veniva chiuso un processo verbale di contestazione poi sfociato in un avviso di accertamento con ripresa a tassazione per l’anno 2003 di maggiori ricavi e costi indeducibili, induttivamente ricostruiti in base ad alcuni movimenti bancari (nella specie, prelievi non giustificati e versamenti in contante o assegni circolari).
Entrambi i gradi di merito si concludevano sfavorevolmente per la contribuente la quale, allora, ricorreva per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Firenze.
Con il ricorso, articolato in due motivi, la ricorrente lamentava: a) ai sensi dell’art. 360, n. 4), c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. (principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato), nella parte in cui la sentenza di secondo grado aveva preso in considerazione esclusivamente due motivi di gravame, omettendo di pronunciarsi sugli altri quattro; b) ai sensi dell’art. 360, n. 5), c.p.c., l’omessa o insufficiente motivazione posta a corredo della pronuncia di seconde cure, non avendo il giudice del gravame dato adeguatamente conto del proprio convincimento.
SOLUZIONE
[1] Entrambi i motivi di ricorso vengono giudicati infondati dalla Cassazione, con conseguente rigetto dell’impugnazione.
Con riguardo al primo motivo, in particolare, la Suprema Corte ha ricordato alcuni precedenti secondo i quali non ricorre vizio di omessa pronuncia quando la soluzione negativa data a una domanda della parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con l’accoglimento di detta domanda (Cass., 18 maggio 1973, n. 1433; Cass., 28 giugno 1969, n. 2355), ossia, in altri termini, quando la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione sul punto (Cass., 21 ottobre 1972, n. 3190; Cass., 17 marzo 1971, n. 748; Cass, 23 giugno 1967, n. 1537). Le pronuncia ricorda, inoltre, la più recente Cass. 9 marzo 2011, n. 5583, secondo cui non sarebbe richiesto al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica e adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse.
In relazione al secondo motivo di ricorso (omessa o insufficiente motivazione), il provvedimento in commento, dopo aver delimitato i propri poteri di fronte alla denuncia di siffatto vizio – concretantesi, come noto, nella mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento (così, Cass., 7 marzo 2006, n. 4842; Cass., 27 aprile 2005, n. 8718; Cass., 9 marzo 2011, n. 5583) -, ha rilevato come, nel caso di specie, il giudice del merito abbia assolto al proprio onere di dar conto dell’argomentazione posta a base della propria decisione, in particolare esplicitando la prevalenza accordata ad alcuni tra i mezzi di prova acquisiti (quelli prodotti dall’Agenzia delle Entrate) rispetto agli altri (quelli offerti dalla società contribuente).
QUESTIONI
[1] Il provvedimento in commento tocca, a ben vedere, tre diversi istituti, che appare opportuno esaminare brevemente al fine di un corretto inquadramento della vicenda giudiziaria occorsa. Già dalla formulazione della massima ufficiale, infatti, può evincersi una certa sovrapposizione tra tali differenti istituti, i quali verranno di seguito più chiaramente delineati.
La prima censura, come detto, attiene al vizio di omessa pronuncia. Con tale concetto, ci si intende riferire a quel vizio, integrante la violazione dei doveri decisori posti dall’art. 112 c.p.c., coincidente con la mancata statuizione, da parte del giudice, su una domanda o, comunque, su un tema dedotto in giudizio come oggetto di vera e propria decisione (sul tema, anche per i dovuti riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, si rinvia a M. Montanari, sub art. 112 c.p.c., in C. Consolo (diretto da), Codice di procedura civile. Commentario, I, Milano, 2018, 1285 ss.).
L’omessa pronuncia costituisce un vizio in cui ben può incorrere anche il giudice del gravame, per l’esattezza nel caso in cui lo stesso ometta di pronunciarsi su uno o più tra i motivi d’impugnazione proposti dall’appellante: i motivi di appello, in altri termini, veicolando una richiesta di modifica della pronuncia di primo grado, integrerebbero la domanda avanzata dalla parte in seconde cure, con la conseguenza per cui, appunto, l’omessa pronuncia su un motivo d’appello andrebbe a configurare il vizio di cui all’art. 112 c.p.c. (così, Cass., 9 dicembre 2019, n. 32023; Cass., 16 marzo 2017, n. 6835; Cass., 27 ottobre 2014, n. 22759; per una fattispecie analoga si veda pure, se si vuole, V. Baroncini, Configura il vizio di omessa pronuncia la mancata statuizione da parte del giudice sulla domanda di condanna a un facere infungibile, su Euroconference Legal). Tale vizio, come noto, è censurabile in cassazione quale error in procedendo ai sensi dell’art. 360, n. 4), c.p.c. Si tratta della censura avanzata nella vicenda ora in commento, in cui il ricorrente ha lamentato l’omessa pronuncia della CTR su alcuni dei motivi d’appello proposti contro la sentenza di prime cure.
La configurabilità del vizio di omessa pronuncia, tuttavia, è esclusa laddove, sebbene manchi una esplicita statuizione sulla domanda (avanzata in primo grado ovvero in appello sotto forma di impugnazione), sia possibile rinvenire sulla stessa una pronuncia c.d. implicita. Tale fenomeno si verifica nelle ipotesi in cui, avanzate più domande tra loro connesse per incompatibilità o pregiudizialità-dipendenza, l’accoglimento di una domanda implichi il rigetto (implicito) dell’altra, ovvero pure nel caso in cui, ricorrendo un cumulo condizionale (alternativo, subordinato o successivo) di domande, l’accoglimento dell’una comporti l’assorbimento dell’altra (su tali concetti, di nuovo, M. Montanari, op. cit., 1288 ss.). In quest’ottica, allora, si devono intendere i richiami giurisprudenziali effettuati dalla pronuncia in esame che, in definitiva, escludono la configurabilità del vizio di omessa pronuncia dove la decisione sulla domanda (apparentemente) non decisa sia tuttavia implicita nel complessivo impianto logico-giuridico della sentenza. Nel caso di specie, evidentemente, la decisione su alcuni dei motivi di appello proposti aveva comportato, in virtù dei nessi (di incompatibilità o di pregiudizialità-dipendenza) intercorrenti tra i capi di sentenza, il rigetto implicito degli altri motivi di appello, senza che la mancanza di un dictum giudiziale potesse configurare, in definitiva, un vizio di omessa pronuncia. Meno conferente ai fini in esame appare, invece, il richiamo a Cass., n. 5583/2011, la quale precisa i requisiti minimi affinché la decisione su una domanda possa ritenersi adeguatamente motivata: e che si tratti di una fattispecie diversa rispetto a quella dell’omessa pronuncia, è dimostrato anche dal veicolo adatto a far valere il relativo vizio, identificato nell’art. 360, n. 5), c.p.c., in luogo del precedente n. 4).
Tale notazione, peraltro, ci consente di ricollegarci al secondo motivo speso dal ricorrente, inerente appunto all’omessa o insufficiente motivazione della pronuncia del giudice di seconde cure, che avrebbe omesso di dare adeguatamente conto del proprio convincimento, in particolare in punto di valutazione del materiale probatorio acquisito. Nel caso di specie, è opportuno precisarlo, ha trovato applicazione ratione temporis la norma di cui al già richiamato art. 360, n. 5), c.p.c., nel testo antecedente alla riforma intervenuta nel 2012 e dunque, appunto, nella versione che rendeva censurabile l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. Tale censura, come noto, è lo strumento con cui è possibile richiedere alla Suprema Corte di sindacare non la correttezza del giudizio di fatto svolto dal giudice del merito, bensì la legittimità della base di esso: in altri termini, la Cassazione non può entrare nel merito circa la soluzione fornita a una questione di fatto, ma può ravvisare nella valutazione che il giudice abbia posto a base di essa la violazione di una norma o di un principio metodologico (Cass., 11 febbraio 2009, n. 3338). Ciò significa che, ferma la libertà per il giudice del merito di attingere, per la formazione del proprio convincimento, da quelle prove che ritenga più attendibili e idonee, la motivazione della decisione così formatasi sarà congrua – e, dunque, andrà esente dal vizio di motivazione -, se supportata da un impianto argomentativo da cui risulti che il convincimento nell’accertamento dei fatti si è realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti al giudizio, considerati nel loro complesso (Cass., 18 febbraio 2009, n. 3895). Neppure assume rilevanza, nel senso di configurare il vizio motivazionale, la circostanza che il giudice abbia omesso di discutere direttamente i singoli elementi di prova acquisiti al giudizio: ciò che occorre, infatti, è che nell’ambito di una complessiva e organica valutazione dei mezzi di prova si sia tenuto conto di tutte le circostanze decisive e si sia messo in rilievo quanto necessario al fine di sorreggere adeguatamente la ratio decidendi (Cass., 19 marzo 2009, n. 6697; sui concetti sin qui esposti si rinvia alla sintesi di M. De Cristofaro, sub art. 360 c.p.c., in C. Consolo (diretto da), Codice di procedura civile. Commentario, II, cit., 1494 ss.).
Su questo secondo punto, il provvedimento in commento, laddove ha svolto e dato conto della prevalenza accordata ad alcune risultanze probatorie rispetto ad altre, pare allinearsi perfettamente a tali principi, ormai costantemente espressi dalla giurisprudenza di legittimità.