14 Giugno 2022

Obbligo per il chiamato all’eredità di compiere l’inventario entro tre mesi dal giorno di apertura della successione

di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. VI, 23 novembre 2021, n. 36080 – GRECO Antonio – Presidente –  ESPOSITO Antonio Francesco –  Relatore

Chiamata all’eredità – Rinuncia e accettazione di eredità – Inventario di eredità

Massima: “Il chiamato all’eredità che è nel possesso dei beni ereditari non può rinunciare all’eredità in maniera efficace nei confronti dei creditori ereditari se non compie l’inventario entro tre mesi dal giorno di apertura della successione o dal giorno del ricevimento della notizia del decesso del de cuius”

CASO

L’Agenzia delle Entrate richiedeva a P.F., M.D., M.G. e M.S., nella loro qualità di eredi di M.A., il pagamento dei debiti tributari del de cuius. Il ricorso proposto dagli eredi avverso tale atto impositivo veniva accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Latina, sul rilievo che la rinuncia all’eredità operata dagli eredi dopo la notifica dell’avviso di accertamento aveva, ai sensi dell’art. 521 c.c., efficacia retroattiva. L’ufficio dell’Agenzia delle entrate a sua volta proponeva appello, lamentando l’omessa redazione dell’inventario dei beni caduti in successione. L’appello veniva però respinto dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione distaccata di Latina, con sentenza del 24 maggio 2019, ritenendo che “in merito alla doglianza dell’Ufficio, circa l’omessa redazione dell’inventario dei beni caduti in successione, ex art. 485 c.c., che avrebbe determinato la perdita del diritto di rinunciare all’eredità, si osserva che non è dato sapere se gli eredi rinunciatari si trovano nel possesso dei beni ereditari” e, dunque, se questi fossero tenuti alla redazione dell’inventario dei beni ereditari per non incorrere nell’acquisto automatico di cui al citato art. 485 c.c.. Avverso tale sentenza l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

SOLUZIONE

Con il primo motivo del ricorso principale l’Agenzia delle entrate denunciava, in relazione all’art. 360 c.p.c., comm 1, n.4, la nullità per motivazione apparente della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e art. 132 c.p.c., per non avere la Commissione tributaria regionale adeguatamente esposto le ragioni in fatto e in diritto della decisione.

Con il secondo motivo, in via subordinata, l’Agenzia denunciava, in relazione all’art. 360 c.p.c., comm 1, n.3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 485 c.c. e 2697 c.c., per avere la Commissione Tributaria Regionale ritenuto non sussistente il possesso dei beni ereditari, a fronte invece di una pacifica circostanza per cui i chiamati all’eredità hanno il domicilio nello stesso immobile in cui lo aveva il de cuius, e di conseguenza per aver ritenuto che i chiamati non avessero perso il diritto di rinunciare all’eredità ex art. 485 c.c.

Il giudice di legittimità accoglie il primo motivo ritenendolo fondato, con assorbimento del secondo, argomentando come segue.

In primo luogo, richiamando una sua precedente pronuncia, la Suprema corte ritiene che se il chiamato si trovi nel possesso di beni ereditari e non compie l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o della notizia della devoluta eredità  non può rinunciare all’eredità, ai sensi dell’art. 519 c.c., in maniera efficace nei confronti dei creditori del de cuius, dovendo il chiamato, allo scadere dei termini stabiliti per l’inventario, essere considerato erede puro e semplice.

In secondo luogo, la considerazione per cui “non è dato sapere se gli eredi rinunciatari si trovano nel possesso dei beni ereditari” pare essere, per la Suprema corte, una considerazione apodittica e priva di riferimenti alla situazione concreta (considerate le specifiche deduzioni portate dall’Ufficio in ordine all’accertata domiciliazione degli eredi nell’immobile in cui aveva il domicilio lo stesso de cuius) e, in quanto tale, idonea a rendere la sentenza censurabile per vizio di motivazione apparente. Tutto ciò in conformità a due orientamenti giurisprudenziali precedenti (Cass. n. 9097/2017 e Cass. n. 13977/2019) secondo cui “ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza quando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento o indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” ovvero “quando la sentenza non renda percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie ipotetiche”.

La Corte pertanto accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

QUESTIONI

Al di là delle questioni di carattere puramente procedimentale che tale pronuncia solleva (in primis  quella della necessaria motivazione in fatto e in diritto della decisione impugnata) la vicenda in esame ha importanti risvolti pratici, soprattutto per quanto concerne la rinuncia all’eredità, tracciando una importante linea di demarcazione tra possessore e non possessore dei beni, sottolineando le conseguenze della mancata redazione dell’inventario sulla facoltà di rinunciare validamente all’eredità e, all’inverso, sul suo acquisto automatico.

La qualità di erede, come è sancito dall’art. 459 c.c., non si acquista in automatico, ma solo previa accettazione dell’eredità, che può essere pura e semplice – così determinando il subentro dell’erede in tutti i rapporti attivi e passivi del de cuius – ovvero beneficiata.

L’accettazione con beneficio di inventario, che consente all’erede di non subire le eventuali conseguenze negative della confusione delle due masse patrimoniali, si attua attraverso il compimento di due diverse formalità (aperto il dibattito in ordine alla natura di fattispecie a formazione progressiva, perfezionata solo al compimento di entrambe): oltre alla dichiarazione di accettazione, l’art. 484 del codice civile richiede la redazione di un inventario, con le forme previste dal codice di procedura civile.

Se, di regola, l’acquisto dell’eredità presuppone un necessario atto di accettazione, non mancano ipotesi eccezionali di acquisto senza accettazione.

Rileva a tal proposito la posizione del chiamato che si trovi nel possesso (termine utilizzato in modo improprio dal legislatore, considerato che secondo dottrina e giurisprudenza prevalenti – ex multis Cass. N. 4707/1994 – il requisito si ritiene integrato anche in costanza di situazioni di detenzione, ritenendosi sufficiente una qualsiasi relazione materiale con uno o più beni ereditari) dei beni ereditari. Onde evitare che il chiamato all’eredità distolga i beni ereditari di cui è in possesso dalla massa ereditaria, in frode degli altri chiamati e dei creditori ereditari, questi viene considerato erede puro e semplice (con confusione della sua personale massa patrimoniale a quella del de cuius e responsabilità ultra vires per i debiti ereditari) qualora non provveda alla redazione del loro inventario entro uno stretto termine trimestrale.

In altri termini, l’art. 485 richiede che il chiamato che sia nel possesso dei beni ereditari effettui l’inventario nel termine di tre mesi dalla morte del de cuius, o in alternativa consegua automaticamente la qualifica di erede puro e semplice.

La norma stessa non si pronuncia, però, sul tema opposto, e cioè se la redazione dell’inventario sia necessaria anche per i chiamati che vogliano semplicemente rinunciare all’eredità.

La dottrina maggioritaria (G. GROSSO e A. BURDESE, Le successioni, Parte Generale. In Tratt. Dir. Civ. It. Diretto da Vassalli, Torino, 1977, p. 303; C. COPPOLA, La rinunzia all’eredità, in Tratt. dir. succ. don. a cura di Bonilini, I, Milano, 2009, p. 1596; G. PRESTIPINO, Delle successioni in generale, artt. 456-535, in Comm. c.c. a cura di De Martino, Roma, 1981, p. 456; G. AZZARITI, Le successioni e le donazioni, Padova, 1982, p. 162, .A. PARADISO, L’inventario come presupposto della rinuncia all’eredità, in Federnotizie.it, 7/3/2018) e parte della giurisprudenza secolo hanno affermato che l’inventario è occorrente solo in ipotesi di accettazione, e che non occorre quindi in caso di rinunzia da parte del chiamato possessore, osservando che l’art. 519 c.c. non pone particolari regole per la rinuncia dell’erede che si trovi nel possesso dei beni ereditari.

In tal senso Cassazione, sez. II, 30 ottobre 1991, n. 11634 «Palesemente erronea, inoltre, per quanto specificamente concerne la posizione della Z., è l’affermazione del ricorrente secondo cui gli effetti giuridici della rinunzia all’eredità sarebbero subordinati al successivo compimento dell’inventario “nel termine prescritto”. Ed invero tale formalità, peraltro logicamente e giuridicamente incompatibile con l’essenza e le finalità proprie del negozio di dismissione del diritto di eredità, non è prevista dalla norma di cui all’art. 519 cod. civ., a termini della quale uniche condizioni per la validità e l’efficacia (rispetto ai terzi) della rinunzia all’eredità, sono la sua forma solenne (dichiarazione resa davanti ad un notaio od al cancelliere della pretura del mandamento in cui si è aperta la successione) e la sua inserzione nel registro delle successioni».

Sempre in tal senso Cass. civ., sez. II, 19 marzo 1998, n. 2911; Cass. civ., sez. II, 21 maggio 2012, n. 8021; Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 2016, n. 20960.

Contra, invece, si pongono alcune sentenze, che hanno avuto grande eco in dottrina, sollevando molte voci di dissenso.

In Cass. civ., sez. II, 22 giugno 1995, n. 7076, si afferma  «a norma dell’art. 485 C.C., il chiamato alla eredità, che a qualsiasi titolo si trovi nel possesso di beni ereditari, ha l’onere di fare, entro un certo termine (alquanto breve), l’inventario, in mancanza del quale lo stesso perde, non solo la facoltà di accettare l’eredità col beneficio di inventario (ai sensi dell’art. 484 C.C.), ma anche di rinunciare ex art. 519 C.C. in maniera efficace nei confronti dei ereditari del de cuius, dovendo, allo scadere del termine stabilito per l’inventario, essere considerato ope legis erede puro e semplice».

Nella successiva Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2003, n. 4845 si legge «L’interpretazione che il giudice di merito ha dato della disposizione dall’art. 485, 2 comma, c.c. – nel senso che la indicata previsione di accettazione dell’eredità ex lege costituisce fattispecie destinata ad operare non solo nel caso in cui l’erede voglia procedere all’accettazione con beneficio di inventario, ma anche quando lo stesso intenda rinunciare puramente e semplicemente – deve ritenersi del tutto corretta. L’accettazione della eredità, che la legge impone al chiamato nel possesso di beni ereditari, il quale non provveda a redigere l’inventario nel termine dell’art. 485 c.c., costituisce previsione di generale applicabilità in caso di delazione ereditaria ed essa trova la sua ratio nella esigenza di tutela dei terzi, sia per evitare ad essi il pregiudizio di sottrazioni ed occultamenti dei beni ereditari da parte del chiamato; sia per realizzare la certezza della situazione giuridica successoria, evitando che gli stessi terzi possano ritenere, nel vedere il chiamato in possesso da un certo tempo di beni della eredità, che questa sia stata accettata puramente e semplicemente».

Nella recente Cass. civ., sez. VI, 13 marzo 2014, n. 5862 la Corte ha confermato la decisione dei giudici d’Appello che avevano ritenuto inefficace la rinuncia del chiamato nel possesso dei beni ereditari (la quale peraltro, non si comprende quando sia stata effettuata), non essendo stato redatto l’inventario entro il medesimo termine:

Il primo orientamento menzionato, in realtà, è stato recentemente accolto anche in diverse pronunce di merito.

Trib. Bari, sez. lav., 10 settembre 2020, n. 2387, richiama espressamente Cass. n. 11634/1991 e afferma che ai fini della rinuncia da parte del chiamato nel possesso dei beni non è necessario effettuare l’inventario (vengono richiamate addirittura le risalenti Cass. nn. 1965/1949, 1319/1958 e 2067/1964).

In particolare per il Tribunale di Bari, gli orientamenti di segno opposto espressi dalla Cassazione andrebbero interpretati nel senso che la rinuncia effettuata dal chiamato possessore dopo i tre mesi sia inefficace, non tanto perché la rinunzia ha come condizione preliminare la redazione dell’inventario, ma perché il chiamato era già divenuto erede puro e semplice ope legis per effetto del possesso ultratrimestrale dei beni ereditari.

Simmetricamente, Trib. Milano, sez. X, 18 febbraio 2020, n. 1552 ha affermato che la rinuncia impedisce e previene l’applicazione della disposizione di cui all’art. 485 c.c., e che la famigerata pronuncia di Cass. n. 4845/2003 tratterebbe un caso di rinuncia tardiva.

A ben vedere, però, nel precedente del 2003 la rinuncia era stata tempestiva, mentre è in Cass. n. 7076/1995 che la rinuncia è stata effettuata oltre i 3 mesi. La rinuncia era tardiva altresì nel caso di Cass. civ., sez. VI, 13 marzo 2014, n. 5862.

Anche nel caso in oggetto, da quel che è dato desumere, la rinuncia avvenne dopo la notifica dell’avviso di accertamento e quindi molto probabilmente dopo il decorso del termine dei tre mesi.

Si deve quindi rimarcare una importante distinzione: altro è dire che il chiamato possessore, decorso il termine di tre mesi dall’apertura della successione non avendo fatto l’inventario, non può più rinunciare, essendo divenuto erede puro e semplice ope legis – altro è dire che, per il chiamato possessore la rinuncia all’eredità nei primi tre mesi dalla morte del de cuius prevede come requisito di validità la redazione dell’inventario.

La prima affermazione è certamente vera, come sottolineato anche dalla citata giurisprudenza di merito. La seconda affermazione è invece quantomeno discutibile, sia sotto il profilo teorico (non sussistono norme di legge che impongano tale condotta, e le norme che impongono condotte o esprimono divieti dovrebbero essere interpretate restrittivamente, non analogicamente) che per i suoi effetti pratici: come segnalato dalla dottrina (L.MAESTRONI, Il possesso dei beni ereditari e la rinuncia all’eredità, in Federnotizie.it, 29/5/2017, Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 406-2017/C, La rinunzia all’eredità da parte del chiamato possessore, a cura di M.T. LIGOZZI ) si pongono a carico del chiamato possessore rinunziante dei costi molto elevati per la redazione di un inventario che non giova né al rinunziante stesso, né ai creditori del defunto (perché la rinuncia sia valida il rinunciante non deve certamente essersi appropriato dei beni ereditari).

In conclusione, il primo orientamento sembra ancora oggi condivisibile: appare superflua la redazione dell’inventario qualora il chiamato intenda rinunciare all’eredità.

D’altro canto, la sussistenza di un orientamento di Cassazione ormai piuttosto costante di segno opposto induce a suggerire, sul piano pratico, la massima cautela, in specie nel caso in cui l’eredità sia passiva e la rinuncia sia diretta ad evitare conseguenze pregiudizievoli per il patrimonio personale del chiamato.

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