Obbligatorietà del rito «fornero» e rilievo d’ufficio del giudice del requisito dimensionale
di Nicoletta Minafra Scarica in PDFCass. civ., sez. lav, 11 novembre 2015, n. 23073Scarica la sentenza
Lavoro e previdenza (controversie) – Licenziamento – Rito speciale – Obbligatorietà del rito. (Cod. proc. civ. 125, 156, 420, 421; L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18; l. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1).
[1] Il lavoratore licenziato non può rinunziare al procedimento specifico introdotto dall’art. 1, 47º comma e seguenti, l. n. 92 del 2012, che ha carattere obbligatorio, non essendo prevista la specialità nel suo esclusivo interesse ma anche per finalità di carattere pubblicistico, sicché rientra nei poteri esclusivi del giudice qualificare la domanda e individuare il rito applicabile, mentre non incombe sul lavoratore, attesa la natura sommaria della prima fase, l’onere della specifica allegazione del requisito dimensionale, peraltro desumibile dal tipo di tutela richiesto salva la necessità della prova in ragione della condotta processuale dell’altra parte.
CASO
[1] Con il primo motivo, il ricorrente in Cassazione deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1, 47° comma, l. 28 giugno 2012 n. 92, nonché degli artt. 125, 420, 421 e 156 c.p.c, poiché instaurando il rito per l’impugnativa del licenziamento, il lavoratore non aveva allegato la sussistenza del requisito dimensionale, presupposto indispensabile ai fini dell’applicabilità del procedimento speciale. Spiega, inoltre, che in mancanza della suesposta deduzione, il giudice di primo grado non poteva esercitare d’ufficio i suoi poteri istruttori e utilizzare elementi acquisti al processo e ritenere, pertanto, provato anche il requisito dimensionale.
SOLUZIONE
[1] Con la pronuncia in epigrafe la Corte chiarisce che l’individuazione e la valutazione dei presupposti per l’applicabilità del rito speciale per l’impugnativa dei licenziamenti (c.d. “Fornero”), di cui all’art. 1, commi 47° ss., l. del 28 giugno 2012, n. 92, – come il requisito dimensionale – «rientra tra i poteri-doveri del giudice», in base al principio iura novit curia. Inoltre, data l’obbligatorietà del rito, desumibile con chiarezza dalla lettera della norma appena citata, al lavoratore è preclusa la possibilità di scegliere un procedimento alternativo e, quindi, di «rinunciare al procedimento speciale». La ragione risiede nella ratio del procedimento, introdotto soprattutto per soddisfare esigenze di carattere pubblicistico, quali l’accelerazione dei tempi del giudizio e la riduzione dei relativi costi. Pertanto, ne deriva che il ricorrente non ha alcun onere di allegazione in ordine alla sussistenza del requisito dimensionale.
QUESTIONI
[1] Preme evidenziare la statuizione della Corte di Cassazione che a livello di obiter dictum ha confermato l’obbligatorietà del «rito Fornero» cui, quindi, si riconduce e si spiega l’onere per il giudice di valutare d’ufficio la sussistenza del requisito dimensionale.
L’orientamento contrario, minoritario, sostiene la facoltatività del rito in parola in quanto alternativo a quello ordinario previsto dagli artt. 414 c.p.c. ss. (in dottrina, cfr. Consolo e Rizzardo, Vere o presunte novità, sostanziali e processuali, sui licenziamenti individuali, in Corriere Giur., 2012, 735; Verde, Note sul processo nelle controversie in seguito ai licenziamenti regolati dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, in Riv. Dir. Proc., 2013, 301 ss.). È stato sostenuto che: a) non esiste un chiaro dato testuale che fornisca indicazione nel senso della obbligatorietà del rito Fornero; b) considerando obbligatorio un procedimento già riconosciuto tendenzialmente esclusivo, si rischia una moltiplicazione dei processi qualora il ricorrente presenti più istanze di tutela, data l’impossibilità di estendere l’oggetto del rito speciale; b) sussiste, altresì, il rischio di una diminuzione delle garanzie processuali poiché trattasi di rito fondato su una istruttoria sommaria; c) il legislatore, coerentemente con la possibilità per le parti di scegliere liberamente il rito, non ha individuato delle conseguenze in caso di erronea individuazione dello stesso.
La tesi alla base della decisione in commento, invece, risulta conforme all’orientamento dominante in giurisprudenza e in dottrina secondo il quale, pur in assenza di un riferimento normativo esplicito – contrariamente a quanto affermato dalla Suprema Corte in motivazione – è innegabile il carattere obbligatorio del procedimento speciale (in dottrina, cfr. Luiso, Il procedimento per l’impugnativa dei licenziamenti in regime di tutela reale: modelli di riferimento ed inquadramento sistematico, in La nuova disciplina sostanziale e processuale dei licenziamenti, (AA.VV.), Torino, 2013, 63 ss.; Dalfino, (Barbieri), Il licenziamento individuale, in Il licenziamento individuale nell`interpretazione della legge Fornero, Bari, 2013, 66; In giurisprudenza cfr. Trib. Piacenza (ord.), 16 gennaio 2013, Foro It., Rep. 2013, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 145; Id. Bari, 15 gennaio 2013, inedita; Id. Genova, 9 gennaio 2013, Foro It., 2013, I, 1360).
La tesi suesposta si basa in primo luogo su una argomentazione di carattere testuale, in quanto l’art. 1, comma 48°, sarebbe comunque chiaro nel disporre che la domanda «si propone» (e non invece «si può proporre») con ricorso al tribunale. In secondo luogo, è la ratio stessa del procedimento che mira a garantirne la celerità, al fine di: 1) ottenere in tempi brevi una decisone potenzialmente definitiva utilizzando forme snelle e semplificate (interesse di carattere generale); 2) evitare che i lunghi tempi del rito “ordinario” comportino il protrarsi per il lavoratore dello stato di incertezza sulla sua situazione lavorativa e un pregiudizio di natura economica per il datore di lavoro, che in caso di accoglimento del ricorso, si vedrebbe costretto a pagare ingenti somme per retribuzioni, contributi previdenziali ed assistenziali, versamenti fiscali, relativi ad un periodo in cui di fatto non ha usufruito della prestazione lavorativa (tutela delle parti). In ultimo, la eventuale contrazione del diritto di difesa, connessa all’obbligatorietà di un rito sommario, è bilanciata dalla possibilità di proporre opposizione contro l’ordinanza conclusiva della prima fase, durante la quale la cognizione si espande.