11 Aprile 2016

Nuovi oneri nel caso di intervento tardivo del creditore sine titulo

di Ruggero Siciliano Scarica in PDF

Cass. Civ., sez. III, 19 gennaio 2016, n. 774

Pres. Salmè, Rel. De Stefano

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Intervento dei creditori – Intervento tardivo –Intervento non titolato – Creditori privilegiati – Istanza di accantonamento – Inammissibilità (Cod. proc. civ., art. 499, 525, 528, 530, 551, 552, 566, 569; Cod. civ., art. 2740, 2741, 2784 ss.) 

[1] Il creditore privilegiato privo di titolo esecutivo, intervenuto tardivamente, deve intendersi disconosciuto ab origine e ha diritto all’accantonamento delle somme a lui spettanti soltanto se dimostra di aver agito per conseguire il titolo esecutivo entro trenta giorni dalla data dell’intervento tardivo. 

CASO
[1] In una procedura di espropriazione presso terzi instaurata avanti al Tribunale di Vicenza, interviene un istituto bancario in qualità di creditore non munito di titolo esecutivo, titolare di un diritto di pegno costituito in epoca anteriore al pignoramento. L’intervento ha luogo dopo che è stata emessa dell’ordinanza di vendita da parte del Giudice dell’esecuzione.

In sede di distribuzione, il Giudice dell’esecuzione dispone il pagamento dell’intero ricavato in favore del solo creditore procedente.

L’istituto di credito propone opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di assegnazione. Il Tribunale di Vicenza rigetta l’opposizione e afferma che il creditore intervenuto, nonostante sia titolare di un diritto di pegno sui beni oggetto dell’espropriazione, non può partecipare alla distribuzione delle somme ricavate né beneficiare dell’accantonamento delle somme, poiché era intervenuto senza titolo dopo il termine di cui all’art. 499, co. 2, c.p.c. («l’udienza in cui è disposta la vendita») e non aveva attivato il subprocedimento di ricognizione del credito ex art. 499, co. 5 e 6, c.p.c.

L’istituto di credito propone ricorso per cassazione ex art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.

SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte si sofferma sull’analisi dell’art. 499 c.p.c., come riformato, dapprima dalla L. 14 maggio 2005, n. 80 e, successivamente, dall’art. 1 della L. 28 dicembre 2005, n. 263. È pertanto opportuno accennare alla disciplina dell’intervento dei creditori nell’esecuzione forzata.

L’intervento nell’esecuzione è stato circoscritto, a seguito delle riforme del 2005, ai soli creditori muniti di titolo esecutivo, generando un procedimento “a porte chiuse”. Il primo comma dell’art. 499 c.p.c., tuttavia, prevede alcune importanti deroghe in favore dei creditori che, al momento del pignoramento, avevano già eseguito un sequestro sugli stessi beni ovvero avevano un diritto di prelazione risultante dai pubblici registri o un diritto di pegno ovvero erano titolari di un credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c.

Le modalità d’intervento dei creditori non muniti di titolo esecutivo sono regolate dall’art. 499 co. 5 e 6, c.p.c.: con l’ordinanza con cui è disposta la vendita o l’assegnazione il giudice fissa l’udienza di comparizione davanti a sé del debitore e dei creditori intervenuti privi di titolo esecutivo.

All’udienza «il debitore deve dichiarare quali dei crediti per i quali hanno avuto luogo gli interventi egli intenda riconoscere in tutto o in parte, specificando in quest’ultimo caso la relativa misura. Se il debitore non compare, si intendono riconosciuti tutti i crediti per i quali hanno avuto luogo interventi in assenza di titolo esecutivo».

La norma prevede poi un meccanismo a tutela dei creditori i cui crediti siano stati disconosciuti dal debitore. Essi «hanno diritto all’accantonamento delle somme che ad essi spetterebbero, sempre che ne facciano istanza e dimostrino di aver proposto, nei trenta giorni successivi all’udienza di cui al presente comma, l’azione necessaria affinché essi possano munirsi del titolo esecutivo».

Nella vicenda in esame, la Corte afferma che l’intervento tardivo del creditore privilegiato e non titolato non è di per sé inammissibile e subordina il riconoscimento del diritto di credito all’esperimento dell’azione finalizzata alla formazione del titolo.

Da un lato, pertanto, la Corte riconosce l’ammissibilità dell’intervento tardivo del creditore senza titolo, dall’altro, con un salto logico, afferma che il credito si ha automaticamente per disconosciuto ab origine.

La “scelta” del creditore senza titolo di intervenire tardivamente, ad avviso della Suprema Corte, è l’elemento discretivo ai fini del mancato riconoscimento del credito e dal quale derivano, in capo all’interventore tardivo, gli ulteriori oneri previsti nel caso di disconoscimento espresso.

La Corte quindi enuncia il seguente principio di diritto: «l’intervento di chi vanta un credito privilegiato tardivo e si trova in una delle condizioni previste dall’art. 499 co. 1, cod. proc. civ., il quale abbia luogo tardivamente rispetto ai termini fissati dal secondo comma del medesimo art. 499 cod. proc. civ. (e quindi dopo che sia stata tenuta l’udienza di autorizzazione alla vendita prevista, per l’espropriazione presso terzi, dagli artt. 530 e 551 cod. proc. civ.), preclude l’attivazione del subprocedimento di verificazione previsto da quella norma e comporta che il credito si abbia per disconosciuto, ma non rende inammissibile l’intervento, prevalendo la disciplina dell’art. 551 (o, per le espropriazioni mobiliari presso il debitore e quelle immobiliari, rispettivamente quella degli artt. 528 e 566) cod. proc. civ.: con la conseguenza che, per conseguire il diritto quanto meno all’accantonamento in sede di distribuzione, il creditore privilegiato, non titolato e interventore tardivo, deve presentare istanza in tal senso e dimostrare di avere agito, entro i trenta giorni dall’equipollente dell’udienza in cui avviene il mancato riconoscimento e quindi dalla data stessa dell’intervento tardivo, per conseguire il titolo esecutivo mancantegli nei confronti dell’esecutato».

QUESTIONI
[1] La pronuncia della Suprema Corte è degna d’approfondimento in ragione dei profili di diritto sostanziale e processuale che emergono dalla sua lettura.

Come sopra anticipato, la disciplina dell’intervento dei creditori nell’esecuzione forzata è stata profondamente riformata nel 2005 dal legislatore. DI regola l’intervento dei creditori privi di titolo esecutivo vietato; queste novità hanno determinato un capovolgimento dei principi tradizionali in materia di tutela del credito ed esecuzione forzata, secondo i quali le discriminazioni tra i creditori possono essere giustificate soltanto in presenza di cause di prelazione.

Il titolo esecutivo è stato di fatto trasformato in una causa legittima di prelazione, in alterazione delle norme sostanziali sulla responsabilità – garanzia patrimoniale del debitore.

Il principio della par condicio creditorum, diretta attuazione dei principi costituzionali di uguaglianza (art. 3, Cost.), effettività della tutela giurisdizionale (art. 24, Cost.) e giusto processo (art. 111, Cost.), è stato derogato dalla riforma legislativa del 2005, poiché sul piano processuale non dovrebbero sussistere prelazioni che non trovano un diretto fondamento nell’area del diritto sostanziale (cfr. per maggiori approfondimenti: Capponi, L’intervento dei creditori dopo le tre riforme della XIV legislatura, in Riv. Es. forz., 2006, 22; Monteleone, Manuale di Diritto Processuale Civile, 2012, II, 141; Luiso, Diritto Processuale Civile, 2015, III, 122; Saletti, Le (ultime?) novità in materia di esecuzione forzata, in Riv. dir. proc., 2006, 193; Ziino, in Le nuove leggi civili commentate, 2006).

E il principio di diritto enunciato dalla Corte comporta, ad avviso di chi scrive, un ingiustificato deterioramento della posizione sostanziale e processuale del creditore intervenuto tardivamente senza titolo e travolge l’ordine delle cause di prelazione.

Il disconoscimento automatico ed ab origine del credito dell’interventore tardivo, perché senza titolo, cui è giunta la Suprema Corte nella decisione della fattispecie è da ritenersi lesivo del principio della par condicio creditorum. La soluzione non è suffragata né da elementi di carattere sostanziale, né processuale: siamo in presenza di un’interpretazione “creativa” dei giudici di legittimità che introduce nuovi oneri non previsti dalla legge e, pertanto, non può essere condivisa.

La Corte non ha neppure considerato che lo scopo del procedimento di riconoscimento dei crediti è quello di evitare inutili contenziosi: adesso, invece, tutti i creditori intervenuti tardivamente dovranno avviare un procedimento di condanna anche quando non v’è alcuna necessità. Non si comprende, infatti, per quale motivo il creditore debba essere escluso dal riparto, se in sede di distribuzione del ricavato, il debitore non contesta il credito del creditore intervenuto tardivamente.