26 Aprile 2023

Nullo il testamento sottoscritto a seguito della commissione del reato di circonvenzione d’incapace

di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDF

Cassazione civile sez. II, 06/02/2023, n. 3523 –  LOMBARDO – Presidente – CRISCUOLO – Relatore

(art. 1418 c.c., art. 654 c.p.p.)

Di Corrado De Rosa

Massima: “Il contratto stipulato per effetto diretto del reato di circonvenzione d’incapace è nullo, ai sensi dell’art. 1418 c.c., per contrasto con norma imperativa, dovendosi ravvisare una violazione di disposizioni di ordine pubblico in ragione delle esigenze d’interesse collettivo sottese alla tutela penale, trascendenti quelle di mera salvaguardia patrimoniale dei singoli contraenti perseguite dalla disciplina sull’annullabilità dei contratti (nella specie, è stata dichiarata la nullità delle schede testamentarie stante l’avvenuto accertamento della commissione del reato di circonvenzione di incapace posto in essere proprio in occasione della redazione di tali atti).”

CASO

C.A.M., F.A. e F.L., in qualità di eredi di F.D., convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Belluno G.M., deducendo di essere parenti di quinto grado del defunto R.G., il quale aveva redatto quattro testamenti olografi di eguale tenore, con i quali istituiva erede universale il convenuto G.M.

Gli attori contestavano la validità dei testamenti in quanto redatti da soggetto incapace di intendere e di volere, e chiedevano che in ogni caso venisse dichiarata l’indegnità a succedere del convenuto, in quanto autore del reato di circonvenzione di incapace in danno del testatore.

Gli altri eredi legittimi del testatore, F.A., S.P.F. e S.C., aderivano alla domanda attorea.

Il convenuto contestava la fondatezza della domanda, negando l’incapacità del testatore ed escludendo la possibilità di invocare gli esiti del processo penale che lo aveva coinvolto.

Il Tribunale di Belluno, con la sentenza n. 94 del 10 aprile 2020, accoglieva la domanda e annullava le quattro schede olografe delle quali era beneficiario G.M., disponendo inoltre la condanna alla restituzione dei beni relitti in favore degli attori e degli altri eredi legittimi.

G.M. proponeva Appello.

La Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 335 del 16 febbraio 2022 ha rigettato il gravame di G. sostenendo che il procedimento penale, che aveva visto il G. imputato per il reato di circonvenzione di incapace, anche in relazione alla stesura dei testamenti oggetto di causa, si era concluso con pronuncia della Suprema Corte divenuta irrevocabile, essendo quindi condivisibile la soluzione del Tribunale che era pervenuto alla declaratoria di invalidità delle schede, invocando l’efficacia del giudicato penale ex art. 654 c.p.p..

Il giudice di secondo grado modificava parzialmente la sentenza di primo grado, affermando la nullità del testamento per la diretta violazione dell’art. 1418 c.c., nullità rilevabile d’ufficio e che ben poteva essere pronunziata, anche se gli attori avessero inizialmente fatto richiesta di annullamento.

Per la cassazione di tale sentenza G.M. propone ricorso sulla base di quattro motivi.

Con il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p., nella parte in cui la sentenza di appello ha ritenuto di estendere l’efficacia del giudicato penale di condanna del ricorrente anche nel giudizio civile.

Con il secondo motivo denuncia la nullità della sentenza o del procedimento per la violazione dell’art. 174 c.p.c., in quanto la causa sarebbe stata affidata in primo grado a diversi giudici istruttori, senza che ricorressero gravi esigenze di servizio o ipotesi di assoluto impedimento.

Con il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché dell’art. 24 Cost..

Con il quarto motivo lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Gli intimati hanno resistito con autonomi controricorsi.

Il ricorrente ed i controricorrenti, S.P.F. e S.C., hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

SOLUZIONE

Quanto al primo motivo di ricorso la Suprema Corte ritiene il motivo inammissibile ex art. 360 bis n. 1 c.p.c.. In particolare la Corte di Legittimità rileva come la sanzione della nullità risulta conseguenza dall’applicazione dei principi costantemente seguiti in precedenti pronunce secondo cui il contratto stipulato per effetto diretto del reato di circonvenzione d’incapace è nullo, ai sensi dell’art. 1418 c.c., per contrasto con norma imperativa, dovendosi ravvisare una violazione di disposizioni di ordine pubblico in ragione delle esigenze d’interesse collettivo sottese alla tutela penale, trascendenti quelle di mera salvaguardia patrimoniale dei singoli contraenti perseguite dalla disciplina sull’annullabilità dei contratti.

Ne consegue che correttamente, in applicazione della suddetta regola, è stata tratta la conclusione della nullità delle schede testamentarie stante l’avvenuto accertamento della commissione del reato di circonvenzione di incapace posto in essere dal ricorrente in danno del R., proprio in occasione della redazione di tali atti.

Poiché la nullità della scheda discende dallo stesso realizzarsi della fattispecie criminosa oggetto dell’accertamento demandato al giudice penale, è indubbio che il giudicato in quella sede formatosi abbia efficacia vincolante anche in sede civile, posto che al giudizio penale hanno preso parte, oltre che il ricorrente, anche alcuni degli eredi legittimi (ovvero alcuni dei loro danti causa), nella veste di parti civili.

Quanto al secondo motivo di ricorso la Suprema Corte ritiene il motivo inammissibile ex art. 360 bis n. 1 c.p.c.., in quanto stante il puntale e pertinente richiamo del giudice di appello alla consolidata giurisprudenza di Cassazione, in merito alla corretta applicazione dell’art. 174 c.p.c. ed alle conseguenze della sua violazione, il ricorrente si è limitato acriticamente a sollecitare un ripensamento dell’orientamento della Corte, facendo semplice riferimento alla asserita identità della persona del giudice istruttore della presente causa con quella del giudice della causa di licenziamento del ricorrente, ipotesi questa che, attesa anche l’assoluta diversità delle due cause, non può in alcun modo implicare una incompatibilità tra i ruoli rivestiti dal medesimo giudice nei due diversi procedimenti.

Quanto al terzo e quarto motivo di ricorso la Corte di Legittimità ritiene inammissibile il motivo di ricorso fondato sul vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo la sentenza di appello deciso, quanto alla ricostruzione dei fatti, in senso conforme a quanto statuito dal giudice di primo grado.

Quanto invece alla dedotta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., la Suprema Corte evidenza come la doglianza sia rivolta a conseguire una non consentita rivalutazione del materiale probatorio in sede di legittimità, onde conseguire una ricostruzione dei fatti più appagante, rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, e sicuramente rispondente alle aspettative del ricorrente.

Trattasi però di esito precluso in sede di controllo di legittimità, anche e soprattutto in ragione dell’efficacia di giudicato della sentenza penale emessa in danno del G., che contiene un accertamento non più contestabile della commissione del reato di cui all’art. 643 c.p.c., in danno del R. e proprio in occasione della redazione delle schede testamentarie, efficacia da cui deriva come conseguenza necessaria la nullità delle schede, a prescindere dall’effettiva assoluta incapacità di intendere e di volere della vittima.

La censura di cui al terzo motivo si sostanzia perciò nella sollecitazione ad attribuire una diversa valenza probatoria ad elementi diversi da quelli invece ritenuti prevalenti e maggiormente attendibili dal giudice di merito, il che rende evidente l’inammissibilità della sua formulazione.

Per tutti questi motivi la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese.

QUESTIONI

La Suprema Corte, con la sentenza n. 3523 del 6 febbraio 2023, torna ad occuparsi del tema della nullità del testamento, confermando la propria consolidata giurisprudenza in materia di invalidità del contratto concluso per effetto diretto di un reato[1].

Come è noto, manca una disciplina organica dell’invalidità del testamento quale invece esiste, agli artt. 1418-1446 c.c., per i contratti: il Codice si limita infatti a stabilire singole ipotesi di nullità, riferite ora a particolari disposizioni testamentarie – si ricordi, a titolo esemplificativo, la nullità delle disposizioni a favore di persone incapaci di ricevere per testamento (artt. 596-599) o a favore di persona incerta (art. 628), delle disposizioni determinate da motivo illecito risultante dal testamento (art. 626), o, ancora, delle disposizioni rimesse all’arbitrio del terzo (artt. 631 primo comma e 632 primo comma), ma anche al divieto di patti successori (art. 458) – ora all’intera scheda testamentaria – si pensi alla nullità del testamento olografo per mancanza dell’olografia o della sottoscrizione del disponente, o alla nullità del testamento redatto per atto di notaio per mancanza della redazione per iscritto, da parte del notaio, delle dichiarazioni del testatore, nonché delle sottoscrizioni del disponente e del notaio medesimo (art. 606, primo comma). La disciplina dell’invalidità testamentaria è poi integrata da tre ipotesi di annullabilità: uno formale, disposto quale conseguenza residuale di tutti i vizi di forma che la legge non sanziona con la nullità (artt. 606 secondo comma e 619, secondo comma), e due sostanziali, disposti per il caso dell’incapacità a testare (art. 591) e del testamento affetto da vizi della volontà (art. 624). Il Tribunale di Belluno, con la citata sentenza n. 94 del 10 aprile 2020, riconduceva all’alveo di quest’ultima disposizione la fattispecie sottoposta alle sue cure, annullando le quattro schede olografe di R.D., oggetto della lite.

A fronte di questo disordinato quadro normativo è pacifica – al fine di colmare eventuali lacune, e nei limiti della compatibilità tra i due stralci di disciplina – l’applicabilità anche al testamento delle disposizioni previste in materia di invalidità del contratto in generale, e in particolare gli artt. 1418 e 1419 c.c. relativi alla nullità totale e parziale del contratto, nonché l’art. 1421 e 1422 c.c. in materia di legittimazione all’azione di nullità e di imprescrittibilità della medesima[2]. Per quanto qui rileva, alla nullità che l’art.1418, primo comma, fa discendere dalla contrarietà del contratto a norme imperative fa capo l’ipotesi del contratto che venga concluso in violazione di una norma penale, per avere una od entrambe le parti realizzato una condotta penalmente rilevante concludendo il contratto stesso, o nella fase antecedente e/o contestuale alla conclusione medesima.

La dottrina distingue, in materia, l’ipotesi del “reato-contratto”, il quale ricorre quando ad essere colpita dal divieto assistito dalla sanzione penale è proprio e direttamente la stipulazione di un determinato contratto, in ragione dell’assetto degli interessi che esso mira a realizzare (ad esempio la ricettazione ex art. 648 c.p.; il commercio di prodotti con segni falsi ex art. 474 c.p.) ed è sempre e necessariamente nullo, da quella del “reato in contratto”, il quale invece sussiste quando ad essere colpita dal divieto assistito dalla norma incriminatrice è una condotta tenuta contestualmente e/o antecedentemente allo scambio dei consensi contrattuali (situazione che ricorre, ad esempio, in fattispecie quali l’estorsione ex art. 629 c.p. e la circonvenzione di persona incapace ex art. 643 c.p.)[3].

Con riguardo ai reati in contratto di cui in ultimo, la giurisprudenza di Cassazione predilige, ai fini di giudicare l’invalidità di un negozio concluso commettendo un reato, un criterio di natura sostanziale, «che tende a privilegiare la verifica della natura della norma penale violata, per valutare se si tratti di norma imperativa di ordine pubblico o comunque di rilevanza pubblica, perché posta a tutela di un interesse generale, sicché solo in tale eventualità il contratto che la viola si ritiene affetto da nullità perché in contrasto col rimo comma dell’art. 1418 c.c. »[4], pertanto, la violazione della norma penale dà luogo ad un negozio nullo sempre e soltanto ove l’interesse o il bene giuridico protetto dalla medesima assume una connotazione pubblicistica.

Tornando al caso in esame, si osservi che la giurisprudenza della Suprema Corte, sin da Cass. 29 settembre 1979, n.4824, dichiara radicalmente nullo il contratto stipulato a seguito e per effetto della commissione del reato ex art. 643 c.p. [5] muovendo dal rilievo che, a scapito della collocazione sistematica di tale disposizione nel Capo del codice dedicato ai «delitti contro il patrimonio mediante frode», il bene giuridico alla cui tutela essa sarebbe preposta non è il patrimonio delle persone in condizione di infermità o deficienza psichica, bensì l’autonomia privata e l’interesse alla libera esplicazione dell’attività negoziale delle medesime tutelato dagli artt. 41 Cost. e 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, quale interesse che assurge al rango di principio a tutela dell’ordine pubblico[6]: di qui il collegamento logico e sistematico con la materia contrattuale, che proprio in ragione dell’interesse pubblico alla libertà negoziale impone di considerare il negozio radicalmente nullo in virtù del combinato disposto primo comma dell’art. 1418 e della norma penale di cui all’art. 643 c.p.[7].

[1] Per giurisprudenza costante della Cassazione il contratto stipulato per effetto di un reato è nullo ex art. 1418 c.c. per contrasto con norma imperativa (v. Cass. 29 ottobre 1994, n. 8948; Cass. 27 gennaio 2004, n. 1427; Cass. 23 maggio 2006, n. 12126; Cass. 7 febbraio 2008, n. 2860; Cass. 22 aprile 2008, n. 19665; Cass. 28 aprile 2017, n. 10609; Cass. 31 maggio 2022, n. 17568).

[2] G. Capozzi, Successioni e donazioni, Giuffré editore, Milano, 2015, 910.

[3] I. Riva, Sulla sorte del contratto concluso per effetto di circonvenzione d’incapace, in Giur. It., gennaio 2017, 50;

  1. De Cristofaro, Nullità del contratto ex art. 1418 c.c. e “reati in contratto”: l’evoluzione della più recente giurisprudenza di legittimità, in Studium Iuris, 2021, 1031; nello stesso senso, F. A. Genovese, Recentissime Cassazione civile, Contratto concluso in violazione di una norma penale: quale vizio?, in Giur. It., agosto-settembre 2022, 1784.

[4] Cass. civ., Sez. III, 19 dicembre 2016, n. 26097.

[5] E. Raganelli, Circonvenzione di incapace e nullità o annullabilità del contratto, in Giust. civ., 1980, 943.

[6] A. Mendola, Circonvenzione di incapaci e violazione di norme imperative, in Giur. It., gennaio 2017, 43.

[7] Cass. civ., Sez II,  29 ottobre 1994, n. 8948.

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