Nullità della delibera assembleare: non può essere rilevata d’ufficio laddove venga proposta per la prima volta in appello
di Francesca Scanavino, Avvocato e Assistente didattico presso l’Università degli Studi di Bologna Scarica in PDFCassazione civile, Sezione I, Ordinanza n. 10233 del 18 aprile 2023
Parole chiave: annullamento – nullità – delibera assembleare – presidente del consiglio di amministrazione – rilevata d’ufficio – nuova domanda –
Massima: “Il giudice, se investito dell’azione di nullità di una delibera assembleare, ha sempre il potere (e il dovere), in ragione della natura autodeterminata del diritto cui tale domanda accede, di rilevare e di dichiarare in via ufficiosa, e anche in appello, la nullità della stessa per un vizio diverso da quello denunciato; se, invece, la domanda ha per oggetto l’esecuzione o l’annullamento della delibera, la rilevabilità d’ufficio della nullità di quest’ultima da parte del giudice nel corso del processo e fino alla precisazione delle conclusioni deve essere coordinata con il principio della domanda per cui il giudice, da una parte, può sempre rilevare la nullità della delibera, anche in appello, trattandosi di eccezione in senso lato, ma, dall’altra parte, non può dichiarare la nullità della delibera impugnata ove manchi una domanda in tal senso ritualmente proposta; nell’uno e nell’altro caso, tuttavia, tale potere (e dovere) di rilevazione non può essere esercitato dal giudice oltre il termine di decadenza, la cui decorrenza è rilevabile d’ufficio e può essere impedita solo dalla formale rilevazione del vizio di nullità ad opera del giudice o della parte, pari a tre anni dall’iscrizione o dal deposito della delibera stessa nel registro delle imprese ovvero dalla sua trascrizione nel libro delle adunanze dell’assemblea”.
Disposizioni applicate: articolo 2379 c.c.
Tizio, in qualità di socio e presidente del C.d.A., ha convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di Pistoia la società Alfa S.p.A., chiedendo l’annullamento della delibera assembleare con la quale era stato dato mandato, ad una apposita commissione, di ricercare un accordo per l’ingresso di nuovi azionisti da sottoporre all’approvazione degli organi competenti.
A fronte del rigetto da parte del Tribunale delle domande attoree, Tizio ha impugnato la sentenza di primo grado innanzi alla Corte d’Appello, deducendo (per la prima volta) che l’eventuale pronuncia dell’assemblea su materia estranea alle sue competenze legali, in quanto riservata all’organo gestorio, è sanzionata, a norma dell’art. 2379 c.c., con la nullità.
La Corte d’Appello ha ritenuto che (i) la domanda di nullità della delibera impugnata, proposta dall’attore per la prima volta in appello, dovesse essere considerata come nuova e, come tale, inammissibile e che (ii) anche se così non fosse stato, non si sarebbe potuto superare il limite di decadenza triennale previsto a norma dell’art. 2379 c. 2 c.c. per il rilievo officioso della nullità, considerato che tale termine era già decorso al momento della proposizione dell’appello.
Tizio ha pertanto proposto ricorso in Cassazione avverso tale sentenza, deducendo, tra gli altri motivi, il fatto che (a) la nullità delle delibere assembleari, ove emerga dagli atti ritualmente acquisiti al processo, può essere rilevata d’ufficio e pronunciata dal giudice anche in grado d’appello, anche se la parte aveva proposto la domanda di annullamento e che (b) il rispetto del termine di decadenza triennale previsto dall’art. 2379 c.c. deve essere verificato in relazione al momento in cui la domanda di nullità è proposta con l’allegazione delle circostanze di fatto che la fondano, a prescindere dalla qualificazione dell’azione operata dalla parte.
La Corte di Cassazione, adita sulle questioni sopra descritte, ha chiarito il fatto che:
(i) il principio secondo cui “il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale deve rilevare in via ufficiosa, ove emergente dagli atti, l’esistenza di un diverso vizio di nullità” è suscettibile di applicazione estensiva anche nel sottosistema societario e, precisamente, nell’ambito delle azioni di impugnazione delle deliberazioni assembleari, benché non assimilabili ai contratti, trattandosi, tanto nell’uno, quanto nell’altro caso, di domanda pertinente ad un diritto autodeterminato (cfr. Cass. SU n. 26242 del 2014);
(ii) se una delibera è stata impugnata con la domanda di annullamento (che ne presuppone, evidentemente, la non-nullità), la domanda di nullità della stessa delibera, formulata per la prima volta con l’atto d’appello, non può essere esaminata, potendo solo convertirsi nella corrispondente eccezione, né, in tale ipotesi, il giudice d’appello può dichiarare d’ufficio la nullità della delibera traducendosi tale pronuncia nell’inammissibile accoglimento di una domanda nuova (Cass. SU n. 26243 del 2014; in senso conforme, Cass. n. 28377 del 2022, in motiv.; Cass. n. 5249 del 2016);
(iii) il termine di decadenza triennale ex art. 2379 c.c. è previsto non solo in relazione all’impugnazione da parte degli aventi diritto ma anche – onde evitare che chi abbia omesso di azionare la nullità nel periodo assegnato dalla legge possa poi riuscire ad aggirare il precetto normativo sollecitando tardivamente il rilievo ufficioso in altro giudizio – al rilievo officioso dell’invalidità tanto dal tribunale, quanto dalla corte d’appello.
Alla luce di tali principi di diritto, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, affermando al riguardo che, nel caso in esame, a fronte della proposizione in primo grado della sola domanda di annullamento della delibera impugnata, Tizio non poteva proporre per la prima volta in appello la domanda di nullità di tale delibera, nello stesso modo in cui il giudice d’appello non poteva dichiarare la nullità di tale delibera in mancanza di una domanda di nullità ritualmente e tempestivamente proposta.
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