Nullità delle delibere assembleari per abuso ed eccesso di potere e conflitto di interesse
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFTribunale Ordinario di Bologna, Terza Sezione Civile, Sentenza n. 726/2020 (dott. Pietro Iovino)
“La valenza e lo scrutinio giudiziario dell’istituto dell’abuso o eccesso di potere sono stati più volte riconosciuti dalla giurisprudenza per valutare la legittimità o meno, delle deliberazioni condominiali, proprio per riconoscere una tutela alle minoranze, laddove oggetto di imposizioni arbitrarie, irrazionali o meramente emulative ad opera della maggioranza, purché sussista il comune denominatore del pregiudizio dell’ente collettivo.”
“In presenza di una pluralità di soggetti e/o immobili tra loro legati da particolari “relazioni giuridiche” (come per l’appunto nei casi di immobile oggetto di comproprietà od usufrutto e nuda proprietà, ovvero di più immobili in capo ad unico proprietario), tali da rappresentare un singolo “centro d’interessi” distinto rispetto al condominio, unico e indiviso debba considerarsi il rapporto tra tale “entità” ed il condominio stesso: con conseguente preclusione, da un lato, per il singolo individuo di poter rappresentare in assemblea più “teste” per ogni diverso immobile di cui detiene la proprietà, comproprietà o titolarità di diritti reali e, dall’altro, per più soggetti di esprimere voti distinti in rapporto al medesimo immobile di cui sono contitolari.”
- La tutela delle minoranze in Condominio.
Lo spunto per affrontare la disamina della questione è offerto dalla sentenza del Tribunale in commento, allorquando, tre condomini citano in giudizio il condominio, impugnandone le delibere assunte in violazione della tutela delle minoranze.
In particolare, le deliberazioni hanno ad oggetto l’approvazione di lavori straordinari, affidati alla società appaltatrice Alfa, rispetto alla cui designazione, gli attori eccepiscono conflitto d’interesse in capo all’ex amministratore di condominio, convenuto e revocato a seguito dell’instaurazione di un procedimento cautelare ante causam.
Gli attori deducono altresì l’adozione di criteri di riparto di spese in violazione alle norme di legge, di cui all’art. 1123 c.c.; l’istituzione di spese, sanzione e penali nei confronti di condomini contrari ai deliberati; il mancato rispetto del quorum deliberativo in assemblea ed infine, la mancata convocazione in assemblea di uno dei tre condomini attori.
Quest’ultimi censurano, inoltre, vari comportamenti di “malversazione e di sopraffazione delle minoranze” posti in essere dall’ex amministratore, discendenti dall’esistenza di un’obiettiva maggioranza in capo alla moglie e dei due figli di quest’ultimo, certamente in possesso della maggioranza dei millesimi, ma non costituenti maggioranza dal punto di vista dei condomini deliberanti, c.d. “teste”.
Il Tribunale di Bologna dichiara la fondatezza delle impugnazioni e per l’effetto invalida le delibere assembleari nei limiti e per le ragioni che seguono in commento; ravvisando conflitto d’interessi in capo all’ex amministratore, eccesso di potere dell’assemblea e della maggioranza ivi formatasi, inoltre, definisce i criteri di calcolo del quorum deliberativo per le spese de quo.
Il Tribunale bolognese richiama come antefatto storico, non direttamente rilevante al contenzioso in atti, ma utile per inquadrare storicamente la vicenda, una precedente sentenza, emessa dalla medesima curia, nella quale si annullavano tre antecedenti delibere condominiali, aventi ad oggetto l’istituzione di “pene private” comminate alla minoranza dissenziente in assemblea e, cosa di maggior rilievo, i lavori di ristrutturazione straordinaria, oggetto dell’impugnativa in atti, e di assegnazione in appalto ad altra società (Beta Srl), sempre riconducibile all’ex amministratore di condominio convenuto.
Viceversa, quale antefatto storicamente rilevante per la vertenza esaminata, il giudicante richiama il procedimento cautelare ante causam, avviato dai medesimi attori avverso le due deliberazioni impugnate. Il Giudice cautelare adito sospendeva con ordinanza l’esecuzione dei lavori, oggetto delle delibere impugnate, per mano della società Alfa; conveniva con quanto deciso dal Tribunale di Bologna nell’antecedente succitato giudizio e forniva argomentazioni rilevanti per la vertenza esaminata. In particolare, il giudice della cautela affermava, in primo luogo, che: “…il Condominio con la sola maggioranza dei votanti non ha alcun potere di stabilire a carico di uno o più condomini penali o maggiori oneri né quantificare poste risarcitorie in assenza di pronunzia giudiziale“.
In secondo luogo, dichiarava che le deliberazioni assembleari impugnate non risultavano approvate con il quorum di cui all’art. 1136 c.c.; ed in conclusione, confermava la concreta esistenza del conflitto di interessi, tra le ragioni dell’ex amministratore e quello del condominio, tenuto conto “…del rilevante importo del preventivo dei lavori rispetto a quello di altre ditte (OMISSIS s.r.l.) presentate da altro condomino” e dell’integrale subappalto dei lavori ad altra impresa, sempre facente capo all’ex amministratore.
Premettendo la correttezza e l’assoluta condivisione delle argomentazioni succitate, il Tribunale di Bologna, nella pronuncia in atti, dichiara l’annullamento di una delle due deliberazioni impugnate, in virtù della mancata convocazione di uno dei tre condomini attori. La decisione de qua, assunta in via preliminare, quindi, assorbe il contenuto di tutte le ulteriori censure attoree giacché riguardante l’intero decisum assembleare nei confronti di tutti i condomini.
- Sui criteri di riparto per l’approvazione delle spese, calcolo dei millesimi e delle “teste”; proprietario/usufruttuario (articolo 67 disp att. cc).
Per ciò che attiene la seconda delibera impugnata, con la prima e generale doglianza, gli attori censurano il mancato rispetto dei criteri di approvazione posti dall’art. 1136 c.c., in quanto approvata con il voto positivo dei condomini, congiunti e figli dell’ex amministratore, in possesso di un’oggettiva maggioranza in millesimi, ma non costituenti, a ben vedere del giudicante, maggioranza da un punto di vista di condomini deliberanti, c.d. “teste”.
In particolare la famiglia dell’ex amministratore è proprietaria di cinque unità immobiliari: una di proprietà esclusiva della moglie, una di proprietà dell’ex amministratore, una terza in comproprietà della moglie e dell’ex amministratore, e delle restanti due, oggetto del succitato atto di donazione, i due figli sono nudi proprietari e il padre (ex amministratore) usufruttuario.
In merito, il giudice conviene che il computo delle “teste” votanti in assemblea non è sempre avvenuto correttamente, giacché la famiglia dell’ex amministratore non può, come nei fatti avveniva, esprimere cinque voti, ma solo al massimo quattro; ciò in quanto: il “complesso” proprietario/usufruttuario può esprimere un solo voto e a seconda del contenuto deliberativo il relativo diritto spetta all’uno o all’altro; parimenti, i comproprietari, indipendentemente dal loro numero, rappresentano una sola testa e, quindi, possono esprimere un solo voto.
L’art. 67 disp. att. c.c., difatti, prevede che gli usufruttuari ed i nudi proprietari di uno o più immobili abbiano diritto a un solo voto, da esercitarsi in via alternativa a seconda dell’attinenza ad ordinaria amministrazione o meno delle specifiche delibere, comunque vincolanti per entrambi in quanto solidalmente obbligati verso il condominio[1].
Per effetto della medesima norma, all’usufruttuario di un immobile, insistente in un condominio, spetta l’esercizio del diritto di voto negli affari che attengano all’ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni, mentre permane in capo al nudo proprietario il voto nelle altre deliberazioni straordinarie. Ciò comporta, dunque, che la titolarità del diritto di voto esercitabile debba variare a seconda della tipologia di deliberazioni da adottarsi.
In ordine alla comproprietà di un’unità immobiliare, il succitato art. 67 prevede che i comproprietari abbiano diritto ad un solo rappresentante in assemblea, con facoltà di esprimere un solo voto vincolante per tutti i comproprietari.
Orbene, se un condomino è proprietario di più unità immobiliari, egli conta per uno solo; ugualmente per uno contano i più proprietari della o delle unità immobiliari in comproprietà. [2]
Parimenti, stante l’autonomia del voto personale rispetto al valore della quota rappresentata dal singolo condomino, ognuno di questi intervenuto in assemblea può esprimere un solo voto, quale che sia l’entità della quota millesimale che rappresenta e indipendentemente dal fatto che questa sia costituita da una sola o più unità immobiliari.
Alla luce di ciò, il Tribunale adito, afferma che in presenza di una pluralità di soggetti e/o immobili tra loro legati da particolari “relazioni giuridiche”, tali da rappresentare un singolo “centro d’interessi”, distinto rispetto al condominio, unico e indiviso deve considerarsi il rapporto tra tale “entità” ed il condominio stesso.
In ordine alle spese, o meglio alle penali, istituite dall’organo assembleare nel caso di specie, a discapito dei condomini attori della vertenza esaminata, per presunti costi dovuti a causa delle iniziative “strumentali e temerarie” intraprese da questi nei confronti del condominio; il giudice adito, oltre che ravvisare in tale decisione un atteggiamento di particolare gravità del comportamento dell’assemblea, “cooptata e pilotata” nelle decisioni dalla famiglia dell’ex amministratore, dichiara nulle le decisioni poiché adottate in violazione dei criteri di riparto di cui all’art. 1123 c.c.
Il condominio, infatti, non può apoditticamente con la sola maggioranza dei votanti, stabilire a carico di uno o più condomini penali o maggiori oneri in dispregio della previsione dell’art. 1123 c.c., ma ciò è consentito esclusivamente attraverso l’unanimità dei consensi in assemblea.[3]
- Conflitto di interesse ed eccesso di potere.
Per ciò che attiene all’asserito conflitto di interesse, il Tribunale avvalora la tesi attorea secondo la quale l’ex amministratore gestiva la pratica dei lavori condominiali afferenti la cosa comune, e i relativi costi e guadagni, alla stregua di un affare personale, appurato che lo stesso, oltre essere condomino, risultava committente e responsabile dei lavori (tale dichiaratosi nella SCIA presentata personalmente al Comune); nondimeno, amministratore unico e socio unico della società Alfa.
A quanto detto, si aggiunga che la citata società, in quanto tecnicamente non attrezzata giacché operante in un settore di attività completamente estraneo al lavoro deliberato, appaltava integralmente l’esecuzione dei lavori ad altra società, sempre facente capo all’ex amministratore.
La scelta dell’integrale subappalto dei lavori, inoltre, essendo frutto di asserita decisione unilaterale dell’ex amministratore, il quale avrebbe preselezionato in autonomia le imprese, sottoponendo un capitolato mai discusso e deliberato dall’assemblea, rileva altresì perché contraria al divieto posto dall’art. 1656 c.c., ciò in quanto decisione mai approvata o sottoposta all’attenzione dell’assemblea.
Oltre ciò, il tribunale di Bologna ravvisa l’illegittimità della delibera impugnata giacché viziata da eccesso di potere.
In particolare, trattasi di “imposizioni arbitrarie, irrazionali o meramente emulative ad opera della maggioranza”, assunte a discapito dell’interesse e dell’ente collettivo, tenuto conto che il preventivo della società Alfa, relativo alle opere in atti, presentato ed accettato in assemblea, è d’importo ben superiore, pari all’incirca al doppio, rispetto a quello presentato da un altro condomino e declinato senza alcuna motivazione o ragione.
Il fondamento giuridico dell’eccesso di potere si rinviene nel combinato disposto degli articoli 1105, 1108, 1109, 1137 e 1139 c.c. e nel principio immanente di buona fede articolo 1375 c c che ricorre quando la causa della deliberazione sia falsamente deviata o comunque sviata dalla sua finalità e che sia tale da recare un grave pregiudizio alla cosa comune.
In questo senso in materia condominiale si è potuta mutuare tutta la precedente giurisprudenza formatasi in materia societaria e la Suprema Corte ha affermato che: “il sindacato dell’Autorità Giudiziaria sulle delibere assembleari non può estendersi alla valutazione del merito ed al controllo del potere discrezionale che l’assemblea esercita quale organo sovrano della volontà dei condomini, ma deve limitarsi al controllo di legittimità che, oltre ad avere riguardo alle norme di legge o del regolamento condominiale, deve comprendere anche l’eccesso di potere, ravvisabile quando la decisione sia derivata dal suo modo di essere, perché in tal caso il giudice non controlla l’opportunità o la convenienza della soluzione adottata dalla delibera impugnata, ma deve stabilire solo che essa sia o meno il risultato del legittimo esercizio del potere discrezionale dell’organo deliberante”.[4]
Il merito della sentenza in commento è anche quello di citare numerosi altri precedenti della giurisprudenza di legittimità in ordine al vizio dell’eccesso di potere, quali ad esempio: “ …esulano dall’ambito del sindacato giudiziale sulle deliberazioni condominiali le censure inerenti la vantaggiosità della scelta operata dall’assemblea sui costi da sostenere nella gestione delle spese relative alle cose e ai servizi comuni (quali nella specie, l’erogazione del compenso all’amministratore, la stipulazione di un contratto di assicurazione, la predisposizione di un fondo cassa per le spese legali)”.[5]
Ed ancora in tema di consorzi volontari tra proprietari di immobili, la Suprema Corte ha escluso che la delibera con cui l’assemblea aveva disposto il ristoro dei danni subiti all’autovettura in proprietà al presidente del cda del consorzio, in occasione di un suo intervento notturno per questioni inerenti interessi del consorzio stesso, fosse viziata da eccesso di potere.[6]
Ora tornando al caso in commento, l’effettiva volontà di possedere un totale controllo della compagine condominiale, da parte dell’ex amministratore, viene avvalorata ancor più dalla circostanza che a seguito della revoca intervenuta con l’ordinanza cautela succitata, la moglie di quest’ultimo è stata nominata, mediante le deliberazioni impugnate, consigliere condominiale con potere di firma congiunta sul conto condominiale. Trattasi di un palese tentativo di mantenere il controllo dei pagamenti del condominio, pur in presenza di un amministratore esterno, il quale, sarebbe responsabile per i propri atti, ma le decisioni in ordine alle spese condominiali di fatto sarebbero sottratte alla sua esclusiva autorità. Tale nomina, infine, oltre che non essere consentita dalle norme, “conforta quanto già detto in ordine al conflitto d’interessi e l’eccesso di potere e rende verosimile la tesi attorea in ordine alla precisa volontà della famiglia (omissis) di voler perseguire una attività di controllo indebita dell’intera compagine condominiale”.
Pienamente condivisibile, in ragione delle motivazioni in comento la decisione del Tribunale di Bologna di accoglimento delle impugnazioni e pronuncia sull’invalidità delle delibere.
[1] Cass. civ. 16.3.2017 e 12.6.2017 n.14584
[2] Cass. civ. 9.12.1988 n.6671
[3] Ex plurimis, Cass. civ. 30.4.2015 n.8823
[4] Cass. civ. 20.4.2001 n.5889 e Cass. civ. 6.10.2005 n.19457
[5] Cass. civ., ordinanza del 17.8.2017 n.20135
[6] Cass. civ. ordinanza 11.01.2017 n.543