Nullità del contratto e rilevabilità d’ufficio: «istruzioni per l’uso» alla luce dell’orientamento più recente delle Sezioni Unite
di Davide Turroni Scarica in PDFL’art. 1421 c.c. stabilisce che la nullità del contratto è rilevabile d’ufficio; ma la portata della norma è alquanto dibattuta. Il presente contributo si propone di illustrare lo stato della questione, dando particolare rilievo all’ultimo – e, nelle intenzioni, risolutivo – intervento delle Sezioni unite.
1. Introduzione
L’art. 1421 c.c. enuncia una regola di elementare chiarezza, quando stabilisce che la nullità può essere rilevata d’ufficio dal giudice. Il dato testuale induce a ritenere che il giudice possa sollevare motu proprio la questione di nullità del contratto ogni volta che essa rilievi ai fini del giudizio: in sostanza tutte le volte che è promossa un’azione relativa al rapporto contrattuale, indipendentemente dal contenuto e dalla specifica funzione della domanda proposta (che sia di adempimento, risoluzione, o al limite di annullamento del negozio).
Questa piana lettura della norma avrebbe il difetto di trascurare l’accesso e tormentato dibattito che si è sviluppato intorno all’art. 1421 c.c.; e fino a pochi anni fa sarebbe stata per lo più respinta. Ma, casualmente (o non così casualmente), è pure l’interpretazione che meglio rispecchia la posizione della giurisprudenza più recente.
2. Il cammino della giurisprudenza nella lettura dell’art. 1421 c.p.c.
Per lungo tempo ha dominato in giurisprudenza un indirizzo alquanto restrittivo, secondo cui l’art. 1421 c.c. consente la rilevabilità d’ufficio della nullità nei soli giudizi in cui la parte agisce per l’adempimento del contratto; mentre non opera nelle controversie c.d. di «impugnativa negoziale», con le quali si mette in discussione l’efficacia del contratto e che annoverano le cause di nullità e di annullamento ma anche quelle di risoluzione, rescissione e revoca del contratto (in tal senso, fra le tante, Cass., 20 dicembre 1958, n. 3937, in Giur. it., 1959, I, 1, 760 ss.; Cass., 17 maggio 2002, n. 7215, in Mass. Giur. it., 2002; Cass., 27 aprile 2011, n. 9395, in CED Cassazione, 2011). Questo orientamento si fonda sull’idea che la nullità incidentalmente rilevata d’ufficio, in quanto eccezione in senso tecnico relativa a un fatto c.d. «impeditivo», può invocarsi soltanto per impedire l’accoglimento di una domanda «di segno opposto», diretta cioè a far valere gli effetti del negozio; mentre non può valere come eccezione rispetto a domande che puntano in vario modo a «neutralizzare» il contratto. Ne consegue che, in caso di impugnativa negoziale, la nullità può essere dedotta solo in via d’azione – quindi costituire l’oggetto di un’apposita domanda – e non in via di eccezione e che il suo eventuale rilievo d’ufficio viola l’art. 112 c.p.c.
In tempi più recenti, e con il sostegno della dottrina prevalente, si assiste a un importante mutamento di rotta, segnato da un’importante presa di posizione di Cass., 22 marzo 2005, n. 6170, in Foro it., 2006, I, 2108 ss. (s.m.) con nota di Di Ciommo e in Corr. giur., 2005, 957, con nota di Mariconda. Emerge la progressiva tendenza a estendere la rilevabilità d’ufficio oltre il limite delle azioni di adempimento, nella zona un tempo «proibita» delle impugnative negoziali. Il tratto finale del percorso è scandito dalle pronunce delle Sezioni unite: prima Cass., Sez. un., 4 settembre 2012, n. 14828, in Giur. it., 2013, 907 ss., con nota di D’Alessandro e in Foro it., 2013, I, 1238 (s.m.), con nota di Palmieri, che ammette la rilevabilità d’ufficio della nullità in una causa di risoluzione del contratto; poi le «gemelle» Cass., Sez. un. 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243, in Foro it., 2015, I, 909 ss., con nota di Adorno, e ibid., 931 ss., con nota di Menchini, e in Giur. it., 2015, I, 71 ss. con nota di Pagni e ibid. 1387 ss. con nota di Bove, le quali – con una motivazione ponderosa, diretta ad affrontare il problema in tutti i suoi possibili aspetti – affermano la piena rilevabilità d’ufficio della nullità in tutte le cause relative al rapporto contrattuale, siano esse dirette a far valere o a contrastare gli effetti del negozio.
Nell’attuale stato del diritto vivente – secondo la lettura che ne danno le Sezioni unite – si può dunque dire che l’art. 1421 c.c. si interpreta nel modo più letterale ed estensivo; in definitiva, nel senso in cui lo intenderebbe un lettore ignaro del dibattito di cui si è dato sommariamente conto.
3. «Istruzioni per l’uso» alla luce dell’orientamento più recente delle Sezioni unite
La lettura più recente dell’art. 1421 c.c. è però semplice solo in apparenza: in realtà genera implicazioni varie e in larga misura problematiche. Salvo rinviare per maggiori spunti ai commenti citati, saranno di seguito elencati «per punti» i criteri operativi enucleabili dall’opera delle Sezioni unite n. 26242-26243/2014.
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Qualunque sia l’azione che la parte abbia promosso, la nullità del negozio è sempre rilevabile d’ufficio; anche quando si agisca per l’annullamento o per far valere la nullità stessa del contratto (in quest’ultimo caso il rilievo d’ufficio è ovviamente riferito a ragioni di nullità diverse da quelle dedotte nella domanda).
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La nullità rilevabile d’ufficio lo è in ogni stato e grado del processo.
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Quando la nullità non sia rilevata o eccepita nel corso del processo l’accoglimento o il rigetto nel merito della domanda con decisione passata in giudicato fa stato anche sulla validità del contratto (rectius sull’assenza di cause di nullità).
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Il giudicato sub 3. fa stato ad ogni effetto; nel senso che vincola le parti anche in futuri giudizi incentrati su aspetti diversi del medesimo rapporto contrattuale. L’enunciato è in apparente conflitto con il fenomeno del c.d. «giudicato sulle questioni», che – secondo l’impostazione comunemente accolta – attribuisce alla relativa pronuncia valore di accertamento «meramente incidentale», cioè circoscritto all’oggetto della domanda e quindi non idoneo a vincolare le parti nel nuovo processo in cui lo stesso rapporto contrattuale sia dedotto (sotto profili diversi da quelli oggetto del precedente giudizio).
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Per risolvere il problema le Sezioni unite fanno un’importante precisazione sull’oggetto del giudizio. Affermano che qualunque azione relativa al contratto, sia essa di adempimento o «impugnativa», introduce un giudizio esteso all’intero rapporto contrattuale e non circoscritto allo specifico effetto giuridico espressamente invocato dalla parte; con la conseguenza che, di regola, il giudicato sul merito investe sempre il rapporto giuridico nel suo complesso e «implica» (in difetto di statuizioni espresse) l’accertamento incontrovertibile dell’assenza di cause di nullità.
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Tuttavia, il giudicato sull’assenza di cause di nullità non si forma se la domanda è rigettata per la ritenuta fondatezza di una diversa questione preliminare di merito (diversa beninteso dalla questione della nullità) che il giudice abbia deciso immediatamente ai sensi dell’art. 187, cpv., c.p.c. Secondo la Suprema Corte questa modalità di decisione della causa, fondandosi sul c.d. principio della «ragione più liquida», esclude che il giudice abbia valutato, anche solo implicitamente, altre possibili ragioni di rigetto.
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Quando la nullità sia stata viceversa rilevata d’ufficio: a) il giudice è innanzitutto tenuto a provocare il contraddittorio sulla questione (secondo quanto prescrive l’art. 101, cpv., c.p.c.); b) la parte interessata ha la facoltà di proporre apposita domanda di accertamento della nullità; c) se la parte non si avvale di questa facoltà, l’accertamento sulla nullità è comunque idoneo al giudicato pieno nei termini sopra indicati; cc) ma con la seguente limitazione: se la nullità è accertata, l’assenza di un’esplicita domanda che possa essere debitamente trascritta nei registri immobiliari impedisce alla pronuncia (pur annotabile ex art. 2655 c.c.) di produrre nei confronti dei terzi gli effetti previsti dall’art. 2652, cpv., n. 6, c.c.
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Specifica attenzione va dedicata ai giudizi ab origine promossi per la dichiarazione di nullità del contratto. In coerenza con quanto visto sopra, il giudice può rilevare d’ufficio una causa di nullità diversa da quella prospettata dall’attore, con l’effetto di estendere ad essa il relativo accertamento. Solo che qui la domanda è già proposta; e trattandosi di domanda «autodeterminata» (cioè individuata in base al petitum e senza riguardo alla causa petendi) il giudice l’accoglie ugualmente anche se la fonda sulla diversa causa di nullità rilevata d’ufficio. In questo caso il criterio sub p.to 6 b) e c) non può trovare applicazione; e cade ogni residua distinzione sugli effetti dell’accertamento – a seconda che la nullità rilevata d’ufficio sia stata oggetto di un’apposita domanda oppure no.
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La rilevabilità d’ufficio si estende alle nullità c.d. «di protezione», caratterizzate dal fatto che operano a favore di un solo contraente e non dell’altro (la coesistenza dei due caratteri è del resto prevista dal codice del consumo, negli artt. 36, comma 3, e 134, comma 1, d.lgs. 206/2005). Con l’avvertenza che in questo caso il giudice, dopo aver rilevato d’ufficio la questione, pronuncia sulla nullità solo se il contraente legittimato gliene faccia apposita domanda.