20 Aprile 2021

È nulla la sentenza depositata prima della scadenza dei termini ex art. 190 c.p.c.? La parola alle Sezioni Unite

di Valentina Baroncini, Avvocato e Ricercatore di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. II, 9 marzo 2021, n. 6451, Pres. Lombardo – Est. Carrato

[1] Processo civile – Assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. – Deliberazione della sentenza prima della loro scadenza – Conseguenze – Nullità – Condizioni – Contrasto (artt. 190, 352 c.p.c.)

La Seconda Sezione ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione, oggetto di contrasto e, in ogni caso, di massima di particolare importanza, circa le condizioni richieste per l’affermazione della nullità della sentenza emessa prima della scadenza dei termini (entrambi ovvero anche uno solo di essi) concessi alle parti ex art. 190 c.p.c. (massima ufficiale) 

CASO

[1] All’esito del secondo grado di giudizio di una controversia di natura immobiliare, il collegio giudicante procedeva a depositare la sentenza di seconde cure – secondo le scansioni che verranno subito illustrate – prima della scadenza del termine assegnato alle parti per il deposito delle memorie di replica.

Avverso tale pronuncia, veniva così proposto ricorso per cassazione mediante il quale si denunciava, ai sensi dell’art. 360, n. 4), c.p.c., proprio la violazione degli artt. 190 e 352 c.p.c., in particolare per avere la Corte d’Appello deciso la causa in data 24 giugno 2015 (come da attestazione apposta in calce alla sentenza stessa), dopo che all’udienza di precisazione delle conclusioni (svoltasi in data 21 aprile 2015) erano stati assegnati i termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali (a scadere il 22 giugno 2015) e le memorie di replica (a scadere il successivo 9 luglio 2015) e, dunque, senza attendere la scadenza del termine per il deposito di queste ultime – nonché solo due giorni dopo l’intervenuta scadenza del termine per il deposito delle comparse conclusionali.

SOLUZIONE

[1] La questione rilevante nel caso di specie è dunque la seguente: se sussista o meno nullità della sentenza che sia stata emessa prima della scadenza dei termini ex art. 190 c.p.c., o di uno di essi. La Suprema Corte, con il provvedimento in commento, ha però disposto la rimessione del ricorso al Primo Presidente ai sensi dell’art. 374, 2°co., c.p.c. per valutare l’opportunità che la Cassazione pronunci a Sezioni Unite, trattandosi di questione di diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni semplici o, comunque, di questione di massima di particolare importanza.

QUESTIONI

[1] La rimessione della questione al Primo Presidente si spiega, come accennato, in quanto sulla medesima esistono, in seno alla stessa giurisprudenza di legittimità, due orientamenti contrapposti, esaustivamente illustrati nella parte motiva del provvedimento in commento.

Secondo un primo orientamento, la sentenza emessa dal giudice prima della scadenza dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. deve essere ritenuta nulla, risultando per ciò solo impedito ai difensori l’esercizio del diritto di difesa, e senza che sia necessario verificare la sussistenza, in concreto, del pregiudizio che la parte ha risentito da tale inosservanza: trattandosi di termini perentori fissati dalla legge, la loro violazione sarebbe infatti stata valutata a monte dal legislatore come autonomamente lesiva, in sé e per sé, del diritto di difesa (in tal senso, Cass., 3 giugno 2008, n. 14657; Cass., 24 marzo 2010, n. 7072; Cass., 2 dicembre 2016, n. 24636; Cass., 22 ottobre 2019, n. 26883; Cass., 18 febbraio 2020, n. 4125).

Con i provvedimenti appena richiamati, è stato precisato che il principio del contraddittorio deve trovare realizzazione lungo tutto l’arco del processo, con la conseguenza per cui il deposito della sentenza prima della scadenza dei termini ex art. 190 c.p.c. dà luogo a nullità del procedimento (art. 156, 2°co., c.p.c.) e della sentenza (ex art. 159, 1°co., c.p.c.), essendosi impedito ai difensori delle parti di svolgere il diritto di difesa nella sua completezza.

Lo stesso si è affermato per il caso, assimilabile a quello in esame, in cui il giudice abbia deciso la causa senza neppure assegnare alle parti i termini ex art. 190 c.p.c. – nonostante, beninteso, ciò fosse doveroso in relazione alla modalità decisoria prescelta -, derivandone la inesorabile nullità della sentenza per il mancato esercizio del diritto di difesa e al contraddittorio, principi cardine del giusto processo; a tal fine, la parte non sarebbe tenuta a indicare se e quali argomenti avrebbe potuto svolgere ove tali termini le fossero stati concessi poiché, ove si richiedesse ciò, si verrebbe impropriamente ad attribuire la funzione di elemento costitutivo della nullità a un comportamento inerente al modo in cui la parte può far valere la nullità stessa, ossia, in altri termini, al veicolo per dare rilievo alla nullità nel processo.

Secondo l’orientamento in discorso, il principio appena illustrato sarebbe pacificamente applicabile anche (come nel caso di specie) alla sentenza d’appello, laddove si sia optato per il modello decisorio della trattazione scritta ai sensi dell’art. 352 c.p.c. (ai sensi del quale il giudice invita le parti a precisare le conclusioni e dispone lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica a norma dell’art. 190 c.p.c., con conseguente deposito della sentenza entro i successivi sessanta giorni).

La ratio giustificatrice di tale, rigoroso indirizzo, si rinviene nella riconduzione dell’inosservanza de qua alla violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, dove il pregiudizio per la parte sarebbe da considerare in re ipsa nella sola inosservanza dei principi di cui agli artt. 24 e 111 Cost., che attengono a tutte le attività difensive delle parti, ivi comprese quelle da svolgersi nella fase conclusiva del giudizio: qui, in particolare, le comparse conclusionali e le memorie di replica vengono valorizzate nella loro capacità di incidere sul convincimento del giudice ai fini della decisione.

Secondo un differente indirizzo, la mancata assegnazione alle parti del termine per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, o la pronuncia della sentenza prima dello scadere dei termini ex art. 190 c.p.c., non sarebbero di per sé causa di nullità della sentenza stessa, essendo indispensabile, affinché possa dirsi violato il principio del contraddittorio, che la irrituale conduzione del processo abbia prodotto in concreto una lesione del diritto di difesa della parte. A tal fine, la parte deve dimostrare che l’impossibilità di assolvere all’onere del deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica le ha impedito di svolgere ulteriori e rilevanti aggiunte o specificazioni a sostegno delle proprie domande e/o eccezioni, rispetto a quanto già indicato nelle precedenti fasi di giudizio (per questo secondo filone interpretativo, Cass., 23 febbraio 2006, n. 4020; Cass., 9 aprile 2015, n. 7086; Cass., 10 settembre 2018, n. 24969).

Tale secondo orientamento, secondo le pronunce testé richiamate, sarebbe meritevole di apprezzamento alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità secondo cui la violazione delle norme processuali non sarebbe invocabile in sé e per sé, essendo all’opposto sempre necessario che la parte deduca anche la sussistenza di un effettivo pregiudizio discendente da tale violazione (su tale principio, si veda il recente lavoro di R. Donzelli, Pregiudizio effettivo e nullità degli atti processuali, Napoli, 2020, passim): alla stregua di tale orientamento – altresì in linea con i principi di ragionevole durata del processo – sarebbe allora doveroso concludere per l’insufficienza, ai fini della declaratoria di nullità della sentenza, indicare il mero mancato rispetto dei termini ex art. 190 c.p.c., essendo invece necessario dimostrare quale sia stata la lesione concretamente subita, magari indicando una o più argomentazioni difensive, contenute nello scritto depositato (o da depositarsi) successivamente alla data della decisione, la cui omessa considerazione avrebbe avuto una ragionevole probabilità di condurre il giudice a una decisione diversa da quella effettivamente assunta. Correlativamente, qualora nulla di tutto ciò sia indicato dalla parte ricorrente in cassazione – essendosi la stessa limitata a invocare la sola lesione di uno o entrambi i termini concessi ex art. 190 c.p.c. -, non potrebbe conseguire la nullità della sentenza per la sola formale violazione di una norma processuale, senza alcun collegamento con un pregiudizio effettivo subito dalla parte.

La questione, peraltro non di infrequente ricorrenza nella prassi, merita sicuramente un intervento da parte del massimo organo di nomofilachia, affinché sia fornito all’interprete un indirizzo univoco che possa orientarlo nella corretta deduzione, in sede di gravame, del vizio in esame.

Non si mancherà di annotare la decisione che verrà assunta dalle Sezioni Unite, in un commento di prossima pubblicazione su www.eclegal.it.

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