E’ nulla la delibera assembleare che approva e ripartisce una spesa priva di inerenza alla gestione condominiale
di Francesco Luppino, Dottore in legge e cultore della materia di diritto privato presso l'Università degli Studi di Bologna Scarica in PDFCassazione civile, sez. 6 2, ordinanza 25 maggio 2022 n. 16953. Presidente L. G. Lombardo – Estensore A. Scarpa
Massima: “In tema di 20, le quali afferiscono alla gestione dei beni e dei servizi comuni, ma non anche ai beni appartenenti in proprietà esclusiva ai singoli condomini o a terzi, come, nella specie, i muri perimetrali di proprietà esclusiva, quand’anche attraversati da tubazioni, canali e altro necessario al servizio degli alloggi soprastanti, rispetto ai quali operano semmai, in assenza di diversa, specifica pattuizione avente forma scritta, i criteri di cui all’art. 1069 c.c., sicché la deliberazione assembleare che approvi e ripartisca una spesa priva di inerenza alla gestione condominiale è affetta da nullità.
Inoltre, l’art. 1135, comma 1, n. 4, c.c., imponendo l’allestimento anticipato del fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori, configura una ulteriore condizione di validità della delibera di approvazione delle opere di manutenzione straordinaria dell’edificio; è, dunque, dal testo di tale deliberazione assembleare che deve necessariamente emergere il prezzo dei lavori, al cui importo occorre che equivalga quello del fondo speciale nella prima ipotesi di cui all’art. 1135, comma 1, n. 4, c.c., non potendo, viceversa, trarsi implicitamente dall’importo del fondo in concreto costituito quale sia l’ammontare delle spese necessarie”.
CASO
Il condomino Tizio impugnava ai sensi dell’articolo 1137 c.c. quattro deliberazioni dell’assemblea del Condominio Caio aventi ad oggetto il rifacimento della facciata dell’edificio condominiale e la ripartizione dei costi delle opere occorrende.
Secondo Tizio tali delibere erano affette da nullità in quanto approvavano l’intervento di manutenzione dell’intera facciata del fabbricato con relativa ripartizione delle spese circa le opere necessarie fra tutti i condomini nonostante, a suo modo di vedere, parte di essa fosse di proprietà esclusiva.
Tizio risultava soccombente sia in primo grado che nel successivo giudizio d’impugnazione innanzi alla Corte d’Appello di Genova, la quale fondava la propria decisione su un atto di acquisto risalente al 1959 con il quale l’allora proprietario unico, quando all’epoca l’edificio era ancóra in costruzione, aveva venduto l’intera area sovrastante il primo piano alla società Sempronia.
In particolare, il rogito precisava che «sull’area come sopra acquistata la società compratrice avrà il diritto di costruire più piani che resteranno di assoluta ed esclusiva proprietà della società compratrice stessa, e ciò senza dover corrispondere alcuna indennità al venditore, o suoi aventi causa, per la sopraelevazione, in deroga all’art. 1127 del Codice civile»; inoltre prevedeva che «in parziale deroga a quanto sopra convengono le parti che i muri perimetrali sino all’altezza dell’area, oggetto del presente atto, permangano in proprietà esclusiva del venditore; detti muri perimetrali restano, però, gravati della servitù di attraversamento per tubazioni, canali, ed altro necessario al servizio degli alloggi, costruendi sull’area compravenduta, e ciò limitatamente a quanto sarà eseguito dalla società compratrice sino alla data di ultimazione dei lavori e relativa dichiarazione di abitabilità dell’intero fabbricato».
I giudici d’appello fondavano la propria decisione anche sul fatto che una delle delibere condominiali impugnate da Tizio faceva riferimento ai criteri di ripartizione previsti dalle tabelle millesimali da sempre in uso e allegate al regolamento contrattuale risalenti al 1961.
La Corte d’Appello di Genova concludeva che la facciata dello stabile, anche se in parte non comune a tutti i condomini, svolgeva «una funzione strutturale per l’intero edificio» e, pertanto, le spese per la sua manutenzione ordinaria o straordinaria dovevano essere ripartite fra tutti i condomini nella misura proporzionale al valore anche delle loro proprietà esclusive ovvero sulla base delle tabelle vigenti nel Condominio. Inoltre, sempre secondo quanto statuito dal collegio giudicante, nel caso di specie appariva «evidente» la volontà dell’assemblea di deliberare un costo delle opere necessarie inferiore rispetto a quanto emergeva dal capitolato («soltanto strettamente necessari») e la previsione della costituzione di un fondo cassa contenente una somma determinata comprensiva di Iva dal quale si poteva ritenere che tale importo corrispondesse alla quantificazione dei lavori approvata dall’assemblea.
Il condomino Tizio proponeva ricorso per Cassazione fondato su quattro motivi avverso la sentenza della Corte d’Appello.
Il Condominio Caio non svolgeva attività difensiva al riguardo.
SOLUZIONE
I giudici di Piazza Cavour dopo aver esaminato congiuntamente nel merito i quattro motivi hanno accolto il ricorso di Tizio e conseguentemente cassato la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Genova in diversa composizione, la quale dovrà esaminare nuovamente la causa uniformandosi ai principi di diritto affermati dal Supremo Collegio, dovendo anche pronunciarsi sulle spese processuali del giudizio in Cassazione.
QUESTIONI
Vediamo nel dettaglio i motivi a fondamento del ricorso per Cassazione proposto dal condomino Tizio risultato soccombente nei precedenti due gradi di giudizio, concernenti l’impugnazione ex articolo 1137 c.c. delle deliberazioni condominiali aventi ad oggetto i lavori di rifacimento della facciata condominiale e la ripartizione delle spese occorrende.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1123, primo comma e 1137 c.c., in quanto le spettanze dell’assemblea non si estendono sino a ricomprendere anche il potere di decidere della sorte di beni che non costituiscono parti o servizi comuni, né quello di imporne l’obbligatorietà e il relativo costo ai condomini assenti o dissenzienti.
Il secondo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1069 c.c. e 68 disp. att. c.c., poiché se è vero che la manutenzione delle cosiddette opere in re aliena (quelle insistenti sul “fondo servente”) è posta a carico dei proprietari dei fondi dominanti, è altrettanto vero che la manutenzione della parte del fondo servente non interessata da tali opere resta a carico dei proprietari di quest’ultimo.
Con il terzo motivo il ricorrente Tizio denuncia l’errore commesso dai giudici dell’appello i quali avevano ritenuto che l’interesse dell’allora appellante fosse limitato alla sola ripartizione delle spese (e unicamente alla relativa delibera) «e non anche all’esercizio del più generale potere decisionale dell’assemblea rappresentato da tutte le delibere impugnate».
Infine, con il quarto ed ultimo motivo Tizio denuncia l’errore compiuto dalla Corte d’Appello che aveva ritenuto legittima la determinazione del fondo speciale in maniera arbitraria e non «pari» all’esatto ammontare dei lavori.
I giudici del Supremo Collegio hanno esaminato i suddetti motivi congiuntamente, in quanto strettamente connessi, e hanno concluso per la loro fondatezza nei termini di seguito indicati.
Innanzitutto, gli Ermellini hanno ribadito cosa debba intendersi per delibera condominiale e quale debba essere il suo oggetto. Questa rappresenta un importante momento della gestione condominiale nel quale le determinazioni assunte dai condomini sono da considerare come veri e propri atti negoziali, ossia un insieme di dichiarazioni individuali che esprimono non una volontà dell’assemblea, bensì quella della maggioranza in essa formatasi.
In ragione di ciò, l’oggetto di un eventuale successivo giudizio di validità della delibera ai sensi dell’articolo 1137 c.c. coincide con il «valore organizzativo della deliberazione» e, pertanto, si dovrà accertare se quel valore merita di essere conservato o se, piuttosto, debba essere eliminato attraverso la sentenza di annullamento o con la declaratoria di nullità. In altri termini, la valenza organizzativa che emerge dal verbale assembleare costituisce il cosiddetto «coefficiente determinante nella scelta tra la sanzione invalidante e la contrapposta esigenza di stabilità delle deliberazioni» frutto della volontà dei condomini e della conseguente esigenza di garantire la certezza dei rapporti giuridici che sono sorti per decisione dell’organo collegiale.
In relazione al caso oggetto della sentenza in commento e ai lavori di rifacimento della facciata dell’edificio assunti con le delibere impugnate da Tizio occorre considerare che, secondo un costante filone della giurisprudenza di legittimità[1], la determinazione dell’oggetto delle opere di manutenzione straordinaria e la ripartizione delle relative spese fra i condomini rientrano nel contenuto della deliberazione assembleare prevista dall’articolo 1135, comma 1, n. 4, c.c.
A tal proposito, recentemente[2] le Sezioni Unite della Cassazione hanno ulteriormente precisato come uno dei casi in cui la deliberazione dell’assemblea condominiale deve essere considerata affetta da nullità è quello dell’«impossibilità dell’oggetto, in senso materiale o in senso giuridico, da intendersi riferito al contenuto (c.d. decisum) della deliberazione». In particolare, in tale occasione le Sezioni Unite hanno specificato che l’impossibilità giuridica dell’oggetto deve essere valutata in relazione alle attribuzioni proprie dell’assemblea, la quale, in qualità di organo deliberativo della collettività condominiale, può occuparsi esclusivamente della gestione dei beni e dei servizi comuni e non anche dei beni di proprietà esclusiva di singoli condomini o di terzi, «giacché qualsiasi decisione che non attenga alle parti comuni dell’edificio non può essere adottata seguendo il metodo decisionale dell’assemblea, che è il metodo della maggioranza, ma esige il ricorso al metodo contrattuale, fondato sul consenso dei singoli proprietari esclusivi».
Posto che senza dubbio alcuno una delibera condominiale che approva e ripartisce una spesa «priva di inerenza alla gestione condominiale» (delle cose o dei servizi comuni), come, ad esempio, quella riguardante la manutenzione di beni di proprietà esclusiva solo di alcuni condomini, è affetta da nullità e, perciò, è sottratta al termine di impugnazione di cui all’articolo 1137 c.c. (30 giorni decorrenti dalla data della delibera).
Nel caso de quo, i giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto che la corte territoriale abbia errato nell’annoverare le spese di rifacimento della parte dei muri perimetrali di proprietà esclusiva (come emerso dall’atto notarile del 1959) tra la competenza dell’assemblea condominiale. Gli Ermellini hanno altresì escluso che dalla «servitù di attraversamento per tubazioni, canali, ed altro necessario al servizio degli alloggi soprastanti» potesse derivare un integrale accollo ai condomini delle opere di manutenzione delle porzioni della facciata di proprietà esclusiva, poiché, semmai, in tal caso dovrebbero operare, in assenza di diversa specifica pattuizione avente forma scritta, i criteri dettati dall’articolo 1069 c.c.[3].
Invero, è assodato per legge (articolo 1117 c.c.) e per giurisprudenza costante che i muri maestri o perimetrali, come le facciate di prospetto, di un edificio condominiale, sono oggetto di proprietà comune, sempre che non risulti il contrario dal titolo.
Gli Ermellini hanno inoltre rilevato che nemmeno il riferimento alle tabelle millesimali da sempre in uso può lasciar intendere approvata per facta concludentia una convenzione tale per cui sarebbero a carico di tutti i condomini anche le spese di manutenzione delle porzioni dell’edificio di proprietà esclusiva[4], in quanto, in relazione al caso de quo, «ove si voglia giustificare il concorso dei condomini nelle spese di manutenzione di un bene di proprietà esclusiva, perché nella specie gravato di servitù in favore del condominio, ciò deve farsi in proporzione dei rispettivi vantaggi».
Infine, secondo il Supremo Collegio la corte territoriale avrebbe oltremodo errato applicando al caso di specie l’articolo 1135, comma 1, n. 4, c.c., poiché nel compiere tale operazione è finita per desumere dalla costituzione del fondo speciale previsto dalla norma citata una «volontà dell’assemblea di deliberare un costo dei lavori più contenuto di quelli messi a capitolato» ovvero «che questa fosse la quantificazione dei lavori approvata».
Invero, leggendo il dispositivo dell’articolo 1135 (comma 1, n. 4) c.c. emerge ictu oculi che per le opere di manutenzione straordinaria -e per le innovazioni- è previsto «obbligatoriamente» la costituzione di un fondo speciale -peraltro- di importo pari all’ammontare dei lavori ovvero, se è espressamente previsto dal contratto, un fondo pari ai singoli pagamenti dovuti in funzione del progressivo stato di avanzamento delle opere.
In particolare, il Supremo Collegio ha evidenziato che l’obbligatoria costituzione di un fondo speciale «di importo pari all’ammontare dei lavori» configura «una ulteriore condizione di validità della delibera di approvazione delle opere indicate, la cui sussistenza deve essere verificata dal giudice in sede di impugnazione ex art. 1137 c.c.» e il prezzo dei lavori dovrà necessariamente emergere dal testo della deliberazione assembleare che approva le opere stesse, il cui importo equivarrà a quello del fondo speciale legislativamente previsto, «non potendo, viceversa, trarsi implicitamente dall’importo del fondo in concreto costituito quale sia l’ammontare delle spese necessarie».
[1] Cassazione civile, sez. II, sentenza 26 gennaio 1982, n. 517; Cassazione civile, sez. II, sentenza 20 aprile 2001, n. 5889; Cassazione civile, sez. II, ordinanza 21 febbraio 2017, n. 4430; Cassazione civile, sez. 6 2, ordinanza 16 novembre 2017, n. 27235; Cassazione civile, sez. 6 2, ordinanza 17 agosto 2017, n. 20136.
[2] Cassazione civile, S.U., sentenza 14 aprile 2021, n. 9839.
[3] In base a tale norma il proprietario del cosiddetto fondo dominante (quello in favore del quale è stata istituita una servitù) deve sostenere le spese concernenti le opere necessarie per conservare la servitù, salvo che sia diversamente stabilito dal titolo o dalla legge; tuttavia nell’ipotesi in cui le opere giovino anche al fondo servente (quello sul quale “pesa” la servitù), «le spese sono sostenute in proporzione dei rispettivi vantaggi» fra i proprietari di entrambi i fondi.
[4] Cassazione civile, sez. II, sentenza 15 ottobre 2019, n. 26042.
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia