Notificazione telematica: l’efficacia probatoria della ricevuta di avvenuta consegna PEC secondo la Corte di Cassazione
di Andrea Ricuperati Scarica in PDFCass. Civ., Sez. I, 21 luglio 2016, n. 15035 – Pres. Nappi – Rel. Scaldaferri
Notificazioni a mezzo p.e.c. – procedimento per dichiarazione di fallimento – Notificazione di ricorso e decreto di convocazione del debitore – a mezzo posta elettronica certificata – ricevuta di avvenuta consegna – contestazione – querela di falso – necessità – esclusione (R.D. 16.3.1942, n. 267, art. 15, comma 3; D.P.R. 11.2.2005, n. 68, art. 6; D.L. 18.10.2012, n. 179 – conv. L. 17.12.2012, n. 221 – art. 16; D.M. 21.2.2011, n. 44, art. 16, comma 4; D.Lgs. 7.3.2005, n. 82, artt. 45, comma 2, e 48, commi 2 e 3)
[1] Nei procedimenti giudiziari civili – ivi inclusi quelli cd. prefallimentari – la ricevuta di avvenuta consegna, rilasciata dal gestore di posta elettronica certificata del destinatario, costituisce documento idoneo a dimostrare che il messaggio informatico è pervenuto nella casella PEC del destinatario, ma non fa prova di tale circostanza sino a querela di falso, sicché il suo contenuto può essere contestato con ogni mezzo.
CASO
[1] Nel febbraio del 2015 la Corte d’Appello di Trieste respingeva il reclamo ex art. 18 R.D. 16.3.1942, n. 267, proposto dal titolare di un’impresa individuale avverso la sentenza del Tribunale di Pordenone che ne aveva dichiarato il fallimento; a sostegno dello statuito rigetto, il Collegio territoriale triestino affermava l’infondatezza della doglianza del reclamante, che aveva asserito di non aver avuto notizia del ricorso introduttivo e del decreto di convocazione della debitrice nell’udienza ex art. 15 l.f. a causa del fatto che l’indirizzo di posta elettronica certificata utilizzato dalla Cancelleria per la notifica risultava attribuito a due imprese diverse, quella individuale poi fallita ed una distinta società. Secondo la Corte d’Appello, la casella PEC in questione restava accessibile al titolare della ditta individuale, perché era stato lui a comunicare al Registro Imprese il medesimo indirizzo per le due realtà economiche gestite; in punto asserita mancata ricezione del messaggio di posta elettronica, il Collegio distrettuale riteneva che – per provare la contrarietà al vero della ricevuta di avvenuta consegna PEC (d’ora in poi anche, per brevità, “RdAC”) – occorresse proporre querela di falso, mentre nella fattispecie ciò non era avvenuto.
Il provvedimento veniva impugnato dinanzi alla Corte di Cassazione dal fallito, il quale argomentava che la fidefacienza della RdAC fosse superabile pure con mezzi differenti dalla querela di falso (comunque proposta col ricorso) e reputava rilevante per il mancato perfezionamento della notifica degli atti introduttivi dell’istruttoria prefallimentare la circostanza che l’indirizzo PEC non fosse riferito ad un unico soggetto.
SOLUZIONE
[1] Il Supremo Collegio ha rigettato il gravame non senza correggere in parte qua la motivazione della sentenza impugnata, osservando che:
- ai fini del perfezionamento della notificazione via PEC (ai sensi dell’art. 15, terzo comma, del R.D. 16.3.1942, n. 267) di ricorso e decreto di convocazione del debitore, nell’àmbito della procedura volta all’accertamento dei presupposti per la declaratoria di fallimento, è necessario – e sufficiente – il rispetto della sequenza stabilita dalla legge, sicché basta l’avvenuta generazione della ricevuta di avvenuta consegna del messaggio di posta elettronica certificata (attestante il recapito del messaggio nella casella del destinatario);
- la RdAC è pienamente idonea – anche alla luce dell’opponibilità a terzi ex lege di data e ora di trasmissione e ricezione del relativo messaggio – a dimostrare il recapito del messaggio PEC nella casella del destinatario, senza peraltro possedere la certezza pubblica propria degli atti facenti prova sino a querela di falso;
- l’equiparazione a notifica compiuta a mezzo posta, sancita per la trasmissione via PEC dal secondo comma dell’art. 48 del codice dell’amministrazione digitale, non vale a rendere tout court applicabile la disciplina di cui alla L. 20.11.1982, n. 890, in materia di notificazioni mediante il servizio postale, in quanto il gestore del servizio PEC (firmatario della RdAC) è – e rimane – soggetto privato e non compie un’attività delegatagli dall’ufficiale giudiziario;
- inoltre, l’iter della notificazione telematica si snoda senza cooperazioni da parte di pubblici ufficiali e termina con l’emissione automatica di una ricevuta priva di attestazioni promananti da una persona fisica;
- le risultanze della RdAC, dunque, possono essere confutate dall’interessato senza bisogno di ricorrere alla querela di falso;
- nella vicenda in esame, tuttavia, l’elemento documentale offerto dal fallito si rivela inidoneo a vincere la presunzione insita nella RdAC, giacché privo di sicura riferibilità al gestore del servizio PEC del destinatario; così come del tutto inconferente è la circostanza che l’indirizzo di posta elettronica utilizzato appartenesse ad una società di capitali oltre che all’effettivo destinatario della convocazione dinanzi al Tribunale.
QUESTIONI
[1] La sentenza in commento, per un verso, si pone in linea con quel filone giurisprudenziale rigoroso che sempre meno tollera disattenzioni o superficialità – e a fortiori astuzie o, peggio, condotte fraudolente – nella gestione della posta elettronica certificata da parte dei protagonisti del processo civile: cfr. ad esempio Cass. 7 luglio 2016, n. 13917, in questa Rivista, 30.8.2016, e le pronunce citate nella relativa nota. Per una decisione che ha, invece, affermato la nullità – per lesione del diritto di difesa e del contraddittorio – della dichiarazione di fallimento nell’ipotesi di notifica di ricorso e decreto di convocazione a indirizzo PEC condiviso dal debitore con altro soggetto, vedasi App. Bologna 20 ottobre 2014, in www.ilcaso.it, Sez. Giurisprudenza, 11540 – pubb. 06/11/2014.
Sotto altro aspetto, non convince sino in fondo la tesi del Supremo Collegio che nega pubblica fede alla ricevuta di avvenuta consegna – e quindi, in definitiva, alla notificazione eseguita mediante PEC – per il solo fatto che, diversamente dalle altre tipologie di notifica, manca la “cooperazione da parte di un pubblico ufficiale” e la RdAC è generata in modo automatico e firmata da un operatore privato: in realtà, nel procedimento volto alla declaratoria di fallimento:
- è la cancelleria del tribunale – indiscutibilmente rientrante nel novero dei pubblici ufficiali – a curare la notifica via PEC di ricorso introduttivo e decreto di convocazione (art. 15, comma 3, R.D. 16.3.1942, n. 267); e, a norma dell’art. 4, comma 1, del Provvedimento D.G.S.I.A. 16.4.2014 (recante le cd. specifiche tecniche del processo civile telematico, di cui all’art. 34 del D.M. 21.2.2011, n. 44), “Il Ministero della giustizia si avvale del proprio gestore di posta elettronica certificata, che rilascia e gestisce apposite caselle di PEC degli uffici giudiziari e degli UNEP”;
- “Il gestore dei servizi telematici [ancora una volta, pacificamente, pubblico ufficiale, n.d.r.] recupera le ricevute della posta elettronica certificata e gli avvisi di mancata consegna dal gestore di PEC del Ministero e li conserva nel fascicolo informatico; la ricevuta di avvenuta consegna è di tipo breve per le comunicazioni e di tipo completo per le notificazioni” (art. 17, ultimo capoverso, del citato Provvedimento D.G.S.I.A. 16.4.2014);
- nelle more occorrenti per l’operatività del sistema di cui al combinato disposto degli artt. 17 (commi 1 e 5) D.M. 21.2.2011, n. 44, e 19 Provv. D.G.S.I.A. 16 aprile 2014 (il quale attribuisce agli U.N.E.P. il compito di eseguire le notificazioni via PEC richieste dall’ufficio giudiziario), la cancelleria, in quanto autrice per legge della notifica telematica, potrebbe essere tenuta a redigere e firmare digitalmente – alla stessa stregua dell’ufficiale giudiziario – quella relazione provvista, per la sentenza n. 15035/2016 in parola, di pubblica fede facente prova sino a querela di falso.