4 Ottobre 2016

Notificazione dell’istanza di fallimento al debitore cancellato dal registro imprese: per la Corte di Cassazione è legittima mediante deposito nella casa comunale

di Andrea Ricuperati Scarica in PDF

[I] Cass., Sez. VI – 1, 9 settembre 2016, n. 17884 – Pres. Ragonesi – Rel. Genovese

[II] Cass., Sez. I, 13 settembre 2016, n. 17946 – Pres. Nappi – Rel. Didone – P.M. Soldi (conf.)

Procedimento per la dichiarazione di fallimento – impresa cancellata dal registro delle imprese – notificazione di ricorso e decreto di convocazione del debitore – a mezzo posta elettronica certificata e presso la sede del destinatario risultante dal registro delle imprese – impossibilità od esito negativo – deposito presso la casa comunale della sede iscritta nel registro imprese – questione di legittimità costituzionale – manifesta infondatezza (Cost., artt. 3, 24 e 111; regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, legge fallimentare, art. 15, comma 3; c.p.c., artt. 143 e 145; c.c., artt. 2188, 2196 e 2495)

[1] È conforme ai parametri costituzionali della ragionevolezza, del diritto di difesa e del giusto processo l’art. 15 l.fall., che prevede – nel caso di esito negativo della notificazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento e del decreto di convocazione del debitore tramite posta elettronica certificata e nella sede del debitore risultante dal registro imprese – la notificazione mediante deposito nella casa comunale del luogo ove risulta la sede del debitore risultante nel registro delle imprese, anche nell’ipotesi in cui l’imprenditore abbia cessato l’attività e non sia ancora decorso un anno dalla sua cancellazione dal registro delle imprese.

[I] Cass., Sez. VI – 1, 9 settembre 2016, n. 17884 – Pres. Ragonesi – Rel. Genovese

Imprenditore individuale – cancellazione dal registro imprese per cessazione dell’attività – volontaria disattivazione della casella di posta elettronica certificata – durante l’anno successivo alla cancellazione dal registro delle imprese – negligenza e scorrettezza – sussiste (d.l. 29.11.2008, n. 185, conv. con l. 2.1.2009, n. 2, art. 16, comma 6; d.l. 18.10.2012, n. 179, conv. con l. 17.12.2012, n. 221, art. 5, commi 1 e 2; regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, legge fallimentare, art. 15; c.c., artt. 2188 e 2196)

[2] L’imprenditore individuale che, nell’anno successivo alla propria cancellazione dal registro imprese disattivi deliberatamente la casella di posta elettronica certificata assegnatagli, si pone in una situazione di irreperibilità imputabile a negligenza e violazione dei generali doveri di correttezza dell’operatore economico.

[II] Cass., Sez. I, 13 settembre 2016, n. 17946 – Pres. Nappi – Rel. Didone

Procedimento per la dichiarazione di fallimento – società estinta per cancellazione dal registro delle imprese – capacità processuale ai fini dell’istruttoria prefallimentare e delle successive fasi di impugnazione – nell’anno successivo alla cancellazione dal registro imprese – sussistenza (regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, legge fallimentare, art. 10, 15; c.c., art. 2495)

[2] La disciplina ordinaria del procedimento per la dichiarazione di fallimento e delle eventuali successive fasi di impugnazione si applica nella propria interezza anche alle società cancellate dal registro delle imprese da meno di un anno.

Procedimento per la dichiarazione di fallimento – termine minimo tra la notificazione degli atti introduttivi e l’udienza di comparizione del debitore – inosservanza – impugnazione – rimessione al primo giudice – esclusione (regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, legge fallimentare, art. 15; c.p.c., artt. 353 e 354)

[3] L’inosservanza del termine minimo di 15 giorni, che deve intercorrere tra la notificazione del ricorso e del decreto di convocazione del debitore dinanzi al tribunale, non determina rimessione del processo al primo giudice, ma impone al giudice dell’impugnazione di decidere la causa nel merito previa rinnovazione degli atti nulli.

Reclamo avverso sentenza dichiarativa di fallimento – ricorso per cassazione – deduzione di vizi di rito diversi da quelli implicanti la rimessione al primo giudice – omessa riproposizione di questioni di merito – inammissibilità del gravame (regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, legge fallimentare, art. 15, terzo comma, 18; c.c., art. 2909; c.p.c., artt. 100, 324 e 360)

[4] È inammissibile per difetto di interesse il ricorso per cassazione avverso la sentenza di rigetto del reclamo proposto contro la dichiarazione di fallimento, quando la parte impugnante deduca vizi di rito non comportanti la rimessione del processo al primo giudice senza riproporre le questioni di merito sollevate e respinte in sede di reclamo.

CASI

[I] Nel febbraio del 2015 la Corte d’Appello di Bari respingeva il reclamo ex art. 18 l.fall. (r.d. 16 marzo 1942, n. 267), proposto da un ex-imprenditore individuale avverso la sentenza di fallimento.

A sostegno della pronuncia, il Corte barese rigettava la doglianza del reclamante, secondo il quale la notifica via PEC del ricorso introduttivo e del decreto di convocazione della debitrice all’udienza ex art. 15 l.fall. non si sarebbe perfezionata – e comunque sarebbe stata illegittima – a causa della pregressa cancellazione della ditta individuale dal registro delle imprese.

Secondo la Corte d’Appello, la notifica telematica aveva avuto esito positivo (documentato dalla generazione delle ricevute di avvenuta consegna di entrambi i ricorsi) ed in ogni caso era validamente eseguita pure nelle forme sussidiarie dettate dal terzo comma dell’art. 15 l.fall., ossia mediante tentativo (vano) di notifica nella sede legale dell’impresa e successivo deposito presso la casa comunale; nel merito, la Corte rigettava il motivo di reclamo basato sulla mancanza di un titolo esecutivo a fondamento della domanda di fallimento e affermava che nel procedimento prefallimentare il giudice ha il potere di accertare in via incidentale l’esistenza del credito del creditore istante.

Il provvedimento veniva impugnato dinanzi alla Corte di Cassazione dall’ex-imprenditore, che lamentava a) che lo stesso Tribunale di Bari aveva disposto, con provvedimento generale, la notifica delle istanze di fallimento nelle previgenti forme ordinarie nel caso di cancellazione dal registro delle imprese; b) l’illegittimità costituzionale dell’art. 15 l.fall. per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. nella parte in cui prevede la notifica a mezzo PEC dell’istanza di fallimento anche dopo la cancellazione della debitrice dal registro imprese, c) l’inosservanza del termine minimo di comparizione di 15 giorni e d) della mancanza di titolo esecutivo a sostegno del credito azionato.

[II] Il 28 novembre del 2014 sempre la Corte d’Appello di Bari respingeva il reclamo ex art. 18 l.fall., proposto dalla s.r.l. Alfa (già cancellata dal registro imprese) avverso la sentenza del Tribunale che ne aveva dichiarato il fallimento.

La Corte barese rigettava la doglianza della reclamante, secondo la quale la notifica del ricorso introduttivo e del decreto di convocazione della debitrice all’udienza ex art. 15 l.fall., eseguita mediante semplice deposito nella casa comunale dopo il vano tentativo a mezzo PEC e presso la sede sociale, sarebbe stata nulla perché non accompagnata dall’assolvimento delle formalità di cui agli artt. 140 e 143 c.p.c.; secondo la Corte d’Appello, il nuovo terzo comma dell’art. 15 l.fall. contiene una disciplina peculiare e differente da quella prevista sub artt. 141 e 143 c.p.c., escludendo la necessità dell’invio di una comunicazione tramite il servizio postale, dell’indicazione nominativa del legale rappresentante della società e del decorso di un termine per il perfezionamento della notifica.

Il provvedimento veniva impugnato dinanzi alla Corte di Cassazione da Alfa s.r.l., che deduceva due motivi di gravame: 1) violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 15 l.f., per essere il meccanismo notificatorio speciale in questione applicabile solo alle società ancora in vita e non a quelle ormai cancellate dal registro imprese; 2) violazione del termine a difesa derivante dalla disapplicazione del combinato disposto degli artt. 143 e 145 c.p.c. in punto perfezionamento della notifica mediante deposito nella casa comunale.

SOLUZIONI

[I, 1-2] Il Supremo Collegio con la sentenza n. 17884 del 9 settembre 2016 ha rigettato il gravame, sulla base delle seguenti considerazioni:

  • quanto ai primi due motivi di impugnazione, con la recente sentenza n. 146/2016 la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del sistema di notifica sancito dal nuovo terzo comma del succitato art. 15 l.f., essendo il diritto di difesa dell’imprenditore adeguatamente garantito dal duplice meccanismo di ricerca – ivi prescritto – dapprima presso l’indirizzo di posta elettronica certificata (di cui il soggetto è tenuto per legge a dotarsi: v. artt. 16, comma 6, D.L. 29.11.2008, n. 185 [conv. dalla L. 2.1.2009, n. 2], per le società, e 5, commi 1 e 2, D.L. 18.10.2012, n. 179 [conv. dalla L. 17.12.2012, n. 221], per le ditte individuali) e successivamente, in caso di esito negativo/impossibilità tramite PEC, presso la sede legale dell’impresa, da comunicarsi al registro delle imprese; sicché il deposito dell’atto introduttivo dell’istruttoria prefallimentare nella casa comunale – contemplato nell’ipotesi di esito negativo/impossibilità della notifica presso la sede legale – si pone come conseguenza della violazione degli obblighi di legge dell’imprenditore e costituisce il corollario della situazione di irreperibilità in cui egli si è negligentemente e/o scorrettamente collocato, in un contesto normativo mirante a coniugare il diritto di difesa (in ogni caso salvaguardato dalla chance di dedurre per la prima volta in sede di reclamo gli elementi ed i mezzi di prova volti a negare i presupposti della dichiarazione di fallimento) con le esigenze di speditezza/efficacia della procedura concorsuale; ed in tale colpevole irreperibilità rientra pure chi disattiva il proprio indirizzo PEC durante il termine annuale nel quale perdura ex 10 l.fall. la possibilità del fallimento;
  • quanto al terzo motivo di doglianza, alcuni creditori instanti avevano rispettato il termine minimo di 15 giorni per la notifica; inoltre la questione non era stata sollevata in sede di reclamo ed era dunque inammissibile;
  • quanto all’ultimo motivo, relativo alla mancanza di titolo esecutivo, il ricorrente non aveva censurato la autonoma ratio decidendi con cui la Corte di appello aveva affermato di avere il potere di accertare incidentalmente la sussistenza del credito: il motivo viene quindi dichiarato inammissibile.

[II, 1-2-3-4] La Corte di Cassazione con sentenza n. 17946 del 13 settembre 2016 ha rigettato il gravame, sulla base delle seguenti considerazioni:

  • quanto al primo motivo
  • poiché ai sensi dell’art. 10 R.D. n. 267/1942 l’imprenditore può essere dichiarato fallito entro l’anno dalla sua cancellazione dal registro imprese, il procedimento preconcorsuale e le eventuali successive fasi di impugnazione continuano a svolgersi per fictio iuris nei confronti della società estinta, permanendo in capo ad essa – a questi fini – la piena capacità processuale (nello steso senso, Cass. Civ., Sez. I, 6 novembre 2013, n. 24968);
  • come ritenuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 146/2016, a differenza dell’art. 145 c.p.c. (funzionale esclusivamente a garantire alla persona giuridica l’effettivo esercizio del diritto di difesa), il disposto del terzo comma dell’art. 15 l.fall. si propone di coniugare la tutela del diritto di difesa con le esigenze di celerità della procedura concorsuale, giustificando l’esonero da ulteriori adempimenti formali quando l’irreperibilità del debitore sia imputabile al medesimo; e tale diversa ratio soddisfa il precetto dell’art. 3 Cost., mentre quello dell’art. 24 viene assicurato dalla previsione di un duplice gradato percorso di ricerca dell’imprenditore (dapprima con trasmissione di messaggio PEC alla casella di cui la legge impone la dotazione, poi con consegna “di persona”, a cura dell’ufficiale giudiziario, presso la sede legale), il deposito nella casa comunale costituendo la conseguenza della colpevole irreperibilità del soggetto; senza dimenticare le altre chances probatorie concesse all’interessato – anche se non comparso nell’udienza di cui all’art. 15 l.fall. – in sede di possibile reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento;
  • quanto al secondo motivo
  • è inammissibile l’impugnazione basata unicamente su vizi di rito, laddove questi ultimi non rientrino tra quelli comportanti – per espressa previsione degli artt. 353 e 354 c.p.c. – la rimessione al primo giudice (in tal senso Cass. Civ., Sez. I, 5 febbraio 2016, n. 2302);
  • l’inosservanza del termine dilatorio di comparizione impone al giudice di appello di decidere la causa nel merito (previa ammissione del convenuto contumace in I grado al compimento delle attività che gli erano state erroneamente precluse a causa della nullità), senza poter rimettere il processo al primo giudice, non rientrando il vizio tra quelli di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c.;
  • non avendo Alfa riproposto in sede di legittimità le ragioni di reclamo attinenti al merito, non v’è interesse all’accoglimento dell’impugnativa sulla questione di rito, in quanto il suo accoglimento non potrebbe comunque dare àdito al riesame del merito.

QUESTIONI

[I, 1-2; II, 1-2] Le sentenze in commento –la prima delle quali si rivela ineccepibile nel dispositivo (giacché nella vicenda devoluta al Supremo Collegio il debitore aveva in concreto ricevuto tramite PEC per due volte i ricorsi dei creditori e l’avviso di convocazione dinanzi al Tribunale e ad abundantiam la notifica era stata tentata nell’ultima residenza del titolare della ditta) – destano qualche perplessità sul piano dell’enunciazione dei princìpi di diritto, là ove si afferma la conformità ai parametri costituzionali del meccanismo notificatorio contemplato dal terzo comma dell’art. 15 l.fall. all’imprenditore (individuale o collettivo) cessato e cancellato dal registro delle imprese.

La recente pronuncia della Consulta (n. 146 del 16 giugno 2016), invero, riguarda le notifiche degli atti introduttivi del procedimento prefallimentare alle imprese collettive e non attiene all’ipotesi dell’imprenditore individuale.

Quando – per effetto della cancellazione – è venuto meno l’inserimento nel registro imprese (“R.I.”), appare discutibile l’argomentare che in capo all’imprenditore permangano quegli obblighi (di conservazione della sede legale e dell’indirizzo PEC) la cui vigenza discende proprio da uno stato – l’iscrizione nel R.I. – ormai superato e non più attuale; il tutto salvo voler ritenere sussistente nell’ordinamento italiano il divieto di cancellare dal R.I. le imprese con pendenze debitorie ancora aperte e da ciò inferire, in caso di violazione di detto divieto, l’ultrattività degli obblighi nascenti dall’iscrizione nel registro: ma di un simile divieto non consta traccia in alcuna norma.

V’è poi da considerare che, con la cancellazione, dovrebbe essere espunto dal registro imprese – e conseguentemente dall’INI-PEC, Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti, alimentato dalle risultanze del R.I. – l’indirizzo PEC del debitore: circostanza, questa, tale da impedire in radice la notifica telematica di ricorso ed avviso di convocazione ex art. 15 l.f. (la quale può essere eseguita solo “all’indirizzo di posta elettronica certificata del debitore risultante dal registro delle imprese ovvero dall’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti”); ora, se si aggiunge che, nella stragrande maggioranza dei casi, la cancellazione dal registro coincide con la chiusura della sede dell’impresa e con la sua inidoneità a fungere da luogo di recapito degli atti destinati all’imprenditore, sembra inevitabile concludere che il deposito tout court presso la casa comunale è destinato ad essere il mezzo usuale di notifica delle istanze di fallimento dell’imprenditore (individuale o collettivo) cessato: ciò che non pare del tutto in linea col dettato dell’art. 24 della Costituzione.

La ricerca dell’imprenditore individuale, peraltro, può essere eseguita attraverso l’anagrafe e pertanto non sembra che le esigenze di celerità della procedura concorsuale possano giustificare la ultrattività delle forme di notifica previste dell’art. 15 l.fall. Allo stesso modo, non sembra corretto affermare che il debitore si sia reso irreperibile solo perché ha disattivato la PEC della impresa cessata.

[II, 3-4] La pronuncia n. 17946/2016 va condivisa là ove nega che il mancato rispetto del termine quindicinale dilatorio per la celebrazione dell’udienza di comparizione ex art. 15 l.f. rientri nel novero – pacificamente tassativo – dei vizi comportanti la rimessione del procedimento al primo giudice.

Notevoli dubbi lascia, invece, l’assunto secondo cui sarebbe inammissibile per difetto di interesse il ricorso in cassazione fondato unicamente sulla denuncia di errores in procedendo inidonei a determinare la rimessione della causa in I grado; in effetti:

  • nel giudizio di cassazione non si applica il disposto dell’art. 346 c.p.c., contemplante la presunzione assoluta di rinuncia alle domande/eccezioni non riproposte in appello (v. Cass. Civ., Sez. II, 24 gennaio 2011, n. 1566);
  • la nullità derivante dall’inosservanza di un termine a difesa si estende agli atti successivi del procedimento, rendendo invalida anche la sentenza (cfr. art. 159 c.p.c.);
  • il ricorso per cassazione può essere proposto anche soltanto per vizi di natura processuale (art. 3601, n. 4), c.p.c.) ed il suo accoglimento per inosservanza del termine iniziale a difesa del debitore rende necessaria la rinnovazione – dinanzi al giudice del rinvio od al Supremo Collegio – degli atti del processo a partire dall’instaurazione del contraddittorio: il che non solo impedisce la formazione del giudicato implicito (sia pur parziale) sul thema decidendum, ma anche abilita l’imprenditore convocato a svolgere le più ampie argomentazioni (anche, in ipotesi, differenti da quelle precedentemente prospettate) a tutela della sua posizione.