Notifica PEC della sentenza e ricorso in cassazione. Un «kit di sopravvivenza»
di Andrea Ricuperati Scarica in PDFPer la procedibilità del ricorso la Cassazione considera necessario – ma non sufficiente – il tempestivo deposito della copia, attestata conforme, del messaggio PEC di notifica telematica della sentenza impugnata e dei suoi allegati.
Cass. civ., Sez. III, 9.11.2017, n. 26520 – Pres. Vivaldi – Rel. D’Arrigo [1]
Cass. civ., Sez. II, 16.10.2017, n. 24347 – Pres. Matera – Rel. Penta [2]
Cass. civ., Sez. III, 14.7.2017, n. 17450 – Pres. Vivaldi – Rel. Fanticini [3]
[1-2-3] Giudizio di cassazione – ricorso – copia autentica della sentenza impugnata, con la relazione di notifica – deposito in cancelleria – notificazione telematica – copia priva dell’attestazione di conformità – improcedibilità (c.p.c., art. 369 – l. 21.1.1994, n. 53, artt. 3-bis, 6 e 9; d.l. 18.10.2012, n. 179 [conv. l. 17.12.2012, n. 221], art. 16-undecies; d.lg. 7.3.2005, n. 82, art. 23)
[1-2-3] È improcedibile il ricorso per cassazione al quale sia seguìto, nel termine di legge, il deposito di copia semplice – e non autentica – del messaggio di posta elettronica certificata (con gli annessi allegati) relativo alla notifica telematica della sentenza impugnata.
[3] Giudizio di cassazione – ricorso – copia autentica della sentenza impugnata, con la relazione di notifica – deposito in cancelleria – notificazione telematica – attestazione di conformità dell’esemplare notificato via PEC – inidoneità – estrazione e certificazione di copia dal fascicolo informatico – necessità (c.p.c., art. 369 – l. 21.1.1994, n. 53, artt. 3-bis, 6 e 9; d.l. 18.10.2012, n. 179 [conv. l. 17.12.2012, n. 221], artt. 16-bis e 16-undecies)
[3] Per soddisfare l’onere di deposito nella cancelleria della Corte di Cassazione della copia autentica della sentenza impugnata, il difensore della parte non ha il potere di attestare conforme l’esemplare notificato mediante posta elettronica certificata, ma deve estrarre e certificare la copia ricavata dal fascicolo informatico del procedimento.
CASO
[1] La società Alfa proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello di Venezia – in riforma della decisione di primo grado – aveva accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo ed assolto la controparte da ogni pretesa.
Nell’atto introduttivo Alfa riferiva che la sentenza impugnata era stata notificata via PEC al procuratore costituito in data 4.2.2015 (circostanza espressamente confermata dal resistente), mentre nel suo fascicolo risultavano presenti la copia conforme – rilasciata dalla cancelleria – del provvedimento oggetto di gravame ed un esemplare cartaceo semplice (in quanto privo di attestazione) del messaggio di posta elettronica certificata relativo alla sua notifica telematica; di tale copia autentica non v’era traccia neppure all’interno del fascicolo del controricorrente.
[2] Tizia interponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello di Potenza, pronunciandosi in sede di rinvio ex art. 394 c.p.c., aveva respinto gli appelli principale ed incidentale delle parti; Caio resisteva con controricorso e contestuale impugnativa incidentale tardiva, mentre gli eredi di Sempronia non svolgevano attività processuale. In sede di costituzione, la ricorrente depositava una copia informale (con relazione di notifica) della sentenza ed un esemplare autentico (rilasciato dalla cancelleria) della stessa (priva ovviamente di relata di notifica); anche il controricorrente-ricorrente incidentale produceva una copia conforme sprovvista di relata. Entrambi i contendenti dichiaravano nei rispettivi atti che la sentenza de qua era stata notificata a Tizia con modalità telematica in data 13.7.2015.
[3] Tizio e Caio notificavano ricorso straordinario ex art. 111 Cost. avverso la sentenza del Tribunale Ordinario di Milano, che aveva accolto solo parzialmente la loro opposizione ex artt. 512 – 617 c.p.c. al progetto di distribuzione redatto nell’àmbito di quattro esecuzioni forzate immobiliari riunite. Le tre creditrici resistevano con controricorso ed una di esse interponeva gravame incidentale. Nessuna delle parti depositava copia autentica del provvedimento impugnato, nel fascicolo risultando prodotta «solamente una stampa cartacea della sentenza digitale, senza alcuna attestazione di conformità».
SOLUZIONI
[1-2-3] La Corte di Cassazione ha dichiarato improcedibili i ricorsi, per violazione del disposto dell’art. 369, secondo comma, numero 2), c.p.c., osservando:
- che detta norma risponde all’esigenza pubblicistica di appurare, attraverso la verifica dell’esercizio del diritto di impugnazione, la sussistenza del vincolo della cosa giudicata formale;
- che, essendo la materia sottratta (alla luce di quanto testé puntualizzato) alla disponibilità delle parti, s’appalesa irrilevante la non contestazione dell’osservanza del cd. termine breve di proposizione del rimedio;
- che, quando il provvedimento impugnato sia stato notificato via PEC, l’avvocato destinatario della notifica ha l’onere di estrarre copia analogica (i.e. cartacea) del messaggio di posta elettronica certificata e dei suoi allegati (ivi inclusa la relazione di notifica) e di attestarne la conformità all’originale informatico apponendovi la propria sottoscrizione autografa a norma del combinato disposto dei commi 1-bis e 1-ter dell’art. 9 l. 21.1.1994, n. 53;
- che tali regole hanno trovato implicita conferma nella recentissima decisione delle Sezioni Unite (2.5.2017, n. 10648), la quale ha solo escluso l’improcedibilità nell’ipotesi in cui la copia autentica notificata in questione, pur non prodotta dal ricorrente, sia comunque nella disponibilità del giudice in quanto depositata dalle altre parti o inserita nel fascicolo d’ufficio del procedimento di II grado, reputando in ogni altro caso ineludibile l’applicazione della sanzione (salvo che tra la pubblicazione del provvedimento e la notifica del ricorso non siano trascorsi più di 60 giorni, in quanto in una simile fattispecie la tempestività dell’impugnativa sarebbe in re ipsa).
[2] La seconda delle sentenze in commento (n. 24347/2017) ha aggiunto che:
- ove il citato art. 9 l. n. 53/1994 fosse da interpretarsi nel senso di riservare al solo difensore notificante (e non anche al destinatario) il potere di autentica de quo, finirebbe con l’esporre all’improcedibilità tutti i ricorsi che fossero proposti avverso sentenze notificate via PEC, stante l’impossibilità (se non per la parte resistente, che ben si guarderebbe dal farlo) di depositare copia autentica delle medesime;
- una mera fotocopia della relazione di notifica, priva di sottoscrizione, sarebbe inidonea a comprovare il perfezionamento dell’iter notificatorio nella data indicata.
[3] La terza sentenza (n. 26520/2017), in parziale discrasia rispetto al convincimento espresso dalle altre due, ha affermato che il potere certificativo dell’avvocato concerne il solo messaggio di posta elettronica certificata e la relata di notifica telematica ivi inclusa, senza estendersi alla copia della sentenza notificata, la cui conformità all’originale può essere dichiarata unicamente con riguardo alle copie estratte dal fascicolo informatico del procedimento ed attestate ai sensi del comma 9-bis dell’art. 16-bis d.l. 18.10.2012, n. 179 (conv. dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221); sicché, qualora venga interposto ricorso per cassazione, il difensore che non abbia provveduto a richiedere alla cancelleria la copia autentica della sentenza impugnata non potrebbe limitarsi ad attestare la conformità di quanto notificatogli via PEC, ma dovrebbe estrarre e certificare l’esemplare ricavato dal fascicolo informatico, se intende evitare l’improcedibilità del ricorso.
QUESTIONI
[1-2-3] Il Supremo Collegio, nell’esigere ad ogni costo l’attestazione di conformità dell’avvocato (sanzionando l’assenza addirittura con l’improcedibilità del ricorso per cassazione), sembra dimenticare che «Le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale se la loro conformità non è espressamente disconosciuta.» (art. 23, comma 2, primo periodo, d. lg. 7.3.2005, n. 82).
Tale norma, la cui applicabilità al processo civile trovasi esplicitamente consacrata sub art. 2, comma 6 (ultimo periodo), del citato d.lg. n. 82/2005 (cd. codice dell’amministrazione digitale), rende decisivo ciò che a torto la Corte di Cassazione ha trascurato: ossia la circostanza che nessuno abbia sollevato contestazioni sulla genuinità del messaggio PEC – con gli annessi allegati – integrante la notifica telematica della sentenza.
Una volta assodata la mancanza di qualsivoglia disconoscimento, la Corte avrebbe potuto – e probabilmente dovuto – trarre il corollario dell’equivalenza delle copie analogiche agli originali dei documenti informatici costituiti dal messaggio di posta certificata, dalla sentenza notificata e dalla relazione di notifica (entrambi acclusi al primo); e da ciò far discendere la superfluità dell’attestazione di conformità, con conseguente procedibilità del ricorso per cassazione.
[2] La volontà del Supremo Collegio di allargare al difensore destinatario la platea dei soggetti abilitati all’attestazione di conformità del messaggio PEC di notifica telematica della sentenza impugnata è sicuramente apprezzabile: se infatti per qualche motivo non potesse trovare applicazione il disposto del secondo comma dell’art. 23 d.lg. n. 82/2005, sopra ricordato, un’esegesi restrittiva dell’art. 9 l. n. 53/1994 lederebbe in misura intollerabile il diritto di difesa assicurato dall’art. 24 della Costituzione; ma poiché la lettera del comma 1-bis del suddetto art. 9 non sembra favorire un’interpretazione costituzionalmente orientata ed il «pubblico ufficiale» legittimato ex art. 23, primo comma, d.lg. n. 82/2005 all’attestazione di conformità è (per quanto riguarda il difensore) «L’avvocato […] che compila la relazione o le attestazioni di cui agli articoli 3, 3-bis e 9» (art. 6, comma 1, l. n. 53/1994 cit.), urge – ad avviso di chi scrive – un intervento chiarificatore del legislatore, volto a fugare qualunque dubbio sul tema.
[3] Desta più di una perplessità la posizione assunta dalla Corte di Cassazione a proposito del ritenuto diniego di potere certificativo del difensore con riferimento alla copia della sentenza acclusa al messaggio PEC di notifica (telematica) della medesima; e ciò per una serie di motivi:
- è la legge (art. 9, comma 1-bis, l. 21.1.1994, n. 53) ad attribuire all’avvocato (certamente a quello notificante) il potere di attestare la conformità – oltre che del messaggio di posta elettronica certificata concretante la notifica e delle ricevute di accettazione ed avvenuta consegna – “dei suoi allegati”, fra i quali, appunto, la copia informatica della sentenza notificata; ed una volta riconosciuto detto potere per alcuni di tali documenti informatici, sarebbe erroneo (sul piano logico, prim’ancora che giuridico) negarlo per i restanti;
- non è affatto vero che il fascicolo informatico sia deputato a contenere l’originale della sentenza: atteso che i provvedimenti del giudice (salvo i decreti ingiuntivi) non sono necessariamente redatti in forma di documenti informatici, accade sovente che essi – specie le sentenze delle corti di appello – vengano confezionati in originale analogico e che nel fascicolo del processo civile telematico sia “caricata” unicamente la loro copia per immagine su supporto informatico;
- la copia di copia conforme all’originale non è meno autentica di quest’ultima, ai fini del rispetto del requisito previsto dall’art. 369, comma 2, n. 2), c.p.c. .