Note su obbligo a contrarre delle banche e diritto al conto corrente
di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDFÈ consolidato l’orientamento secondo cui un obbligo generale di far credito è estraneo allo statuto delle imprese bancarie, la cui attività, ai sensi dell’art. 5 TUB, deve ispirarsi ai principi di sana e prudente gestione e deve essere esercitata avendo riguardo alla stabilità complessiva, all’efficienza e alla competitività del sistema finanziario (cfr. ABF Milano n. 3601/2013; ABF Napoli n. 5484/2019; ABF Milano n. 7355/2020).
Dalla natura privatistica dell’attività della banca, è abitualmente argomentato, discende l’impossibilità di immaginare in capo all’intermediario un “obbligo a contrarre”, che non solo non è desumibile dai principi generali, ma finirebbe con porsi addirittura in contrasto con essi, ledendo la libertà di iniziativa economica costituzionalmente garantita (art. 41 Cost.). Ne consegue che la banca ha il diritto di valutare sempre le singole richieste di finanziamento, applicando i criteri di diligenza professionale, buona fede e correttezza e in assoluta aderenza al dettato della disciplina antiriciclaggio europea e nazionale.
Parte della giurisprudenza si è comunque di recente interrogata (Trib. Palermo 14.1.2021, dott.ssa Monfredi) riguardo alla configurabilità in via interpretativa di un obbligo a contrarre delle banche (fattispecie relativa ad un contratto di conto corrente). Esclusa l’applicazione dell’art. 2597 c.c. (Obbligo di contrarre nel caso di monopolio), è invece ipotizzata l’applicabilità analogica dell’art. 1679 c.c. (Pubblici servizi di linea) che – nei limiti della compatibilità « con i mezzi ordinari dell’impresa, secondo le condizioni generali stabilite o autorizzate nell’atto di concessione e rese note al pubblico » – prevede l’obbligo a contrarre per coloro che esercitano servizi di linea per concessione amministrativa.
Al riguardo, è argomentato che, pur essendo scomparsa dal TUB la qualificazione dell’attività bancaria in termini di “funzione di interesse pubblico” (contenuta invece nella legge bancaria del 1936) e, pur essendo l’esercizio dell’attività bancaria subordinato al rilascio di una autorizzazione (art. 14, comma 2, TUB), per un verso non può affermarsi che l’attività privatistica delle banche e il conseguente fisiologico perseguimento da parte loro di obiettivi di efficienza e redditività, siano avulse dagli interessi generali che sono sottesi all’esercizio del credito e alla raccolta del risparmio (art. 47 Cost); per altro verso, va evidenziato che, a sempre più numerosi fini, è ormai indispensabile, quando non obbligatorio di fatto, dotarsi di un conto corrente bancario ordinario.
In effetti, alla luce dell’evoluzione normativa – lotta al riciclaggio e all’evasione fiscale, tracciabilità dei pagamenti, limitazioni all’uso del contante nonché canalizzazione sul c/c degli emolumenti derivanti da rapporti di lavoro e pensioni – e della diffusa dematerializzazione della moneta, la titolarità di un conto corrente sta diventando progressivamente indispensabile, non solo nei rapporti commerciali tra privati, ma anche nei rapporti tra il cittadino e le istituzioni, sicché da più parti si sostiene che sia configurabile un vero e proprio diritto a disporre di tale servizio o, comunque, la essenzialità dello stesso (come noto gli artt. 126-noviesdecies e seguenti TUB regolamentano il ‘diritto’ al c.d. conto di base). L’ABF ha reiteratamente affermato che “il conto corrente bancario è divenuto ormai indispensabile per ricevere ed effettuare i pagamenti che rientrano nella normale vita quotidiana delle persone: l’accredito dello stipendio o della pensione, la domiciliazione delle utenze relative ai servizi essenziali, e così via” (cfr. ABF Roma nn. 8608/2019; 4286/2016; 5256/2017; 911/2016).
Invero, l’essenzialità della titolarità di un conto corrente impatta anche sul diritto di recesso (anche ad nutum) della banca che, soprattutto ogni qual volta il cliente non sia titolare di un analogo rapporto di c/c presso altro istituto bancario, dovrà essere attentamente ponderato oltre che ancorato alla sussistenza di una giusta causa (nonché rispetto correttezza e buona fede).
Nel nostro ordinamento un ‘diritto al conto corrente’ non è configurato direttamente da alcuna norma; presso il Senato è all’esame il disegno di legge n. 1712/2020 (Disposizioni in materia di utilizzo ed erogazione del rapporto di conto corrente) che prevede l’introduzione nel codice civile dell’art. 1857 bis contenente la previsione, per un verso del divieto per le banche di esimersi dall’apertura di un rapporto di conto corrente e, per altro verso, del divieto di recesso da quelli in essere quando i saldi siano in attivo.
Più in dettaglio, il predetto disegno di legge (rispetto al quale ABI e Bankitalia hanno evidenziato alcune criticità) propone di abrogare la lett. a) dell’art. 33, comma 3, del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del Consumo), ai sensi del quale “Se il contratto ha ad oggetto la prestazione di servizi finanziari a tempo indeterminato il professionista può recedere, qualora vi sia un giustificato motivo, senza preavviso, dandone immediata comunicazione al consumatore” nonché di introdurre nel codice civile l’art. 1857-bis. – (Apertura e chiusura di un rapporto di conto corrente) per cui « La banca non può in alcun caso esimersi dall’apertura di un rapporto di conto corrente. La banca non può recedere dal contratto di conto corrente prima della scadenza del termine quando i saldi siano in attivo ».
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