3 Settembre 2024

Note minime in tema di “autentica minore”

di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. III, 5 luglio 2024, n. 18381, Pres. Frasca, Est. Scoditti

[1] Parti e difensori – Procura alle liti – validità.

La certificazione da parte dell’avvocato della sottoscrizione del conferente la procura alle liti è intesa non come autenticazione in senso proprio, quale quella effettuata secondo le previsioni dell’art. 2703 c.c. dal notaio o da un altro pubblico ufficiale all’uopo autorizzato, ma come “autenticazione minore” (o “vera di firma”). Ne consegue che, al fine della prova dell’autenticità della procura rilasciata in calce o a margine di uno degli atti indicati nel terzo comma dell’art. 83 c.p.c., è sufficiente che il difensore certifichi l’autografia della sottoscrizione della parte, non essendo necessaria l’attestazione dello stesso che la sottoscrizione sia avvenuta in sua presenza, come è invece richiesto dall’art. 2703 per l’autentica della scrittura privata da parte del pubblico ufficiale. Quella certificazione, infatti – intesa, come detto, quale “autentica minore” – ha soltanto una funzione di attestare l’appartenenza della sottoscrizione a una determinata persona, senza che il difensore assuma su di sé, all’atto della autenticazione della firma, l’obbligo di identificazione del soggetto che rilascia il negozio unilaterale di procura (massima non ufficiale).

CASO

[1] Il provvedimento che si commenta conclude un complesso procedimento avviato da oltre 90 medici contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il MIUR, il Ministero della Salute e il MEF allo scopo di ottenere l’accertamento dei rispettivi diritti a un’adeguata remunerazione per l’attività svolta in relazione alla frequenza di determinati corsi di specializzazione medica, con conseguente condanna a carico della pubblica amministrazione.

Tale vicenda verrà di seguito analizzata in relazione alla questione, di preminente interesse processuale, attinente alla validità delle procure rilasciate dagli attori ai rispettivi difensori.

All’esito del giudizio di primo grado, infatti, l’adito Tribunale di Roma dichiarava l’improcedibilità delle domande giudiziali per nullità delle procure. Nel dettaglio, le procure ad litem consistevano in un modello inviato ai medici via e-mail, da questi compilato, firmato e reinviato per posta al difensore, che non risultava aver proceduto ad alcuna autentica, tantomeno alla presenza del conferente e previa sua identificazione; inoltre, nelle copie notificate degli atti di citazione le procure, così apposte su foglio separato, non erano state incorporate fra la citazione firmata e la relata firmata, in modo che tali firme potessero comunicarsi anche alle procure medesime.

Tale decisione, all’esito del giudizio d’appello avviato dagli attori soccombenti, veniva riformata dalla Corte d’Appello di Roma (con conseguente condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento di alcuni tra i medici attori), la quale rilevava la ritualità delle procure alle liti, atteso che “a norma dell’art 125 c.p.c. la procura al difensore dell’attore può essere rilasciata anche in data posteriore alla notificazione dell’atto, purché anteriormente alla costituzione della parte rappresenta. Nella fattispecie in esame dall’esame dell’originale analogico dell’atto di citazione […] dall’indice del fascicolo di parte […] risulta che al momento dell’iscrizione a ruolo l’atto di citazione era stato depositato completo delle procure debitamente autenticate. Irrilevante è il fatto che la copia notificata potesse esserne priva. Né, in relazione alle doglianze espresse [da parte convenuta], è stata proposta da quest’ultima querela di falso”.

Conseguentemente, la Presidenza del Consiglio dei Ministri proponeva ricorso per cassazione, denunciando, per quanto di interesse ai presenti fini: 1) violazione, ai sensi dell’art. 360, n. 4), c.p.c., degli artt. 165, 82, 83, 125, 182, 221 ss. c.p.c. e 2703 c.c.: nel dettaglio, come eccepito in sede di appello, si rileva che le procure ad litem consistevano in un modello inviato ai medici via e-mail, modello che dai medici è stato compilato, firmato e reinviato per posta al difensore, senza nessuna autentica autografa da parte del difensore, che avrebbe dovuto farla in presenza del medico e dopo averlo identificato; inoltre, nelle copie notificate le procure (da ritenersi nulle) non erano state incorporate fra la citazione firmata e la relata firmata, in modo che tali firme si comunicassero anche alle procure, per cui restava la nullità della procura su foglio separato con semplice apposizione di timbro senza l’apposizione di firma o sigla autografa – fermo che la nullità delle procure si sarebbe potuta sanare mediante ordine di produzione in giudizio entro il termine di tre mesi delle nuove procure (si veda Cass., sez. un., 21 dicembre 2022, n. 37434); 2) violazione, ai sensi dell’art. 360, n. 4), c.p.c., degli artt. 115 c.p.c. e 111 Cost.: in particolare, la corte territoriale, in violazione del richiamato art. 115, avrebbe erroneamente valutato la ritualità della procura in atti, erroneamente reputando che le procure fossero incorporate all’atto; l’errore, da intendere come travisamento del fatto, risiederebbe nell’avere rilevato soltanto che i mandati erano stati depositati con la citazione, senza esaminare se fossero muniti di autentica del difensore.

SOLUZIONE

[1] La Suprema Corte, analizzati congiuntamente i due motivi di ricorso proposti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, li giudica entrambi infondati richiamando, a sostegno della propria decisione, alcuni (anche recenti) precedenti della giurisprudenza di legittimità.

In particolare, il profilo che viene giudicato dirimente ai fini della soluzione è quello della mancata proposizione, da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, della querela di falso, unico mezzo utile a contestare l’autografia della sottoscrizione del conferente come attestata dal difensore, in quanto concernente una attestazione resa dal difensore nell’espletamento della funzione sostanzialmente pubblicistica demandatagli dall’art. 83, terzo comma, c.p.c.

Ferma la decisività della mancata proposizione della querela di falso – senza la quale, dunque, non può contestarsi l’attestazione di autografia effettuata dal difensore -, la Cassazione adduce a supporto della propria conclusione ulteriori argomenti, che verranno subito analizzati.

QUESTIONI

[1] La questione affrontata dalla Sezione III civile della Cassazione attiene alla validità delle procure ad litem rilasciate nel caso di specie, ossia consistenti in un modello inviato ai medici via e-mail, modello che dai medici è stato compilato, firmato e reinviato per posta al difensore – che ha proceduto all’autentica in assenza dei conferenti e senza loro previa identificazione -, e così risultanti in un foglio separato non incorporato fra la citazione firmata e la relata firmata.

Allo scopo di determinare l’effettiva validità di una siffatta procura, è senz’altro opportuno muovere, in via preliminare, dal dato normativo.

Anzitutto, come noto, non si richiede che la procura al difensore sia rilasciata prima della notificazione dell’atto di citazione, essendo sufficiente che la stessa intervenga anteriormente alla costituzione della parte rappresentata (art. 125, 2°co., c.p.c.).

Sotto tale profilo, dunque, non vi è nulla da rilevare con riguardo al caso di specie, stante che al momento dell’iscrizione a ruolo l’atto di citazione era stato depositato completo delle procure autenticate.

L’altro (il principale) profilo di contestazione ha riguardato però l’autenticazione delle procure rilasciate, ritenuta irrituale in quanto l’autentica del difensore non sarebbe stata apposta in presenza dei medici attori e all’esito della loro identificazione; inoltre, nelle copie notificate degli atti di citazione tali procure non erano state incorporate fra la citazione firmata e la relata firmata, in modo che tali firme potessero comunicarsi anche alle suddette procure.

Muovendo da quest’ultimo profilo, occorre ricordare che a norma dell’art. 83, 2°co., c.p.c., la procura si considera apposta in calce anche se rilasciata su foglio separato che sia però congiunto materialmente all’atto cui si riferisce. Tale aspetto è stato recentemente vagliato dalle Sezioni Unite della Cassazione, le quali hanno chiarito che “la sicura riferibilità al difensore della procura redatta a margine o in calce al ricorso sussiste anche per quella redatta su un atto separato ma congiunto materialmente al medesimo; e ciò tanto in presenza quanto in assenza di timbri di congiunzione, perché il requisito dell’incorporazione è stato legislativamente ritenuto presente anche nella seconda ipotesi. In altri termini, l’unità fisica che pacificamente esiste per la procura a margine o in calce al ricorso – e che toglie ogni dubbio sulla sua validità, come emerge anche dalle pronunce dell’orientamento più restrittivo – è stata legalmente creata dal legislatore, per la procura redatta su foglio separato e congiunto, con la legge n. 141 del 1997” (Cass., sez. un., 9 dicembre 2022, n. 36057).

Occorre dunque ribadire senza alcun dubbio l’unità fisica fra la procura su foglio separato e congiunto e l’atto processuale cui accede: ciò che consente di estendere a tale fattispecie tutta l’elaborazione giurisprudenziale maturata attorno alla procura conferita in calce o a margine. Ritorniamo, così, al primo dei profili anticipati, ossia quello inerente alla ritualità dell’autenticazione apposta dal difensore.

A tal riguardo è utile, ancora, ricordare il disposto dell’art. 83, 3°co., c.p.c., dove si richiede, per la procura speciale alle liti conferita in calce o a margine di determinati atti, la certificazione da parte del difensore della autografia della sottoscrizione del conferente. Secondo la giurisprudenza di legittimità, tale precetto deve ritenersi osservato sia quando la firma del difensore si trovi subito dopo detta sottoscrizione, con o senza apposite diciture (come “per autentica”, o “vera”), sia quando – come avvenuto nel caso di specie – tale firma del difensore sia apposta in chiusura del testo del documento nel quale il mandato si inserisce; come ulteriore corollario, ne discende che la autografia attestata dal difensore esplicitamente o implicitamente, con la firma dell’atto recante la procura a margine o in calce, può essere contestata in entrambi i casi soltanto mediante la proposizione di querela di falso, in quanto concernente una attestazione resa dal difensore nell’espletamento della funzione sostanzialmente pubblicistica demandatagli da tale norma (così, tra le più recenti, Cass., 14 ottobre 2021, n. 28004).

Per quanto detto sopra, tali principi devono ritenersi applicabili anche alla (differente ma equivalente) fattispecie della procura su foglio separato e congiunto: per contestare l’autenticazione apposta dal difensore occorre, dunque, proporre querela di falso. Ciò, come chiarito, non è avvenuto nel caso di specie, e si tratta di circostanza (correttamente) rilevata come dirimente da parte del provvedimento in commento.

Ad ogni buon conto, non appare superfluo sottolineare come l’attività di certificazione dell’autografia della sottoscrizione domandata al difensore diverga da quella di autenticazione ad opera di pubblico ufficiale regolata dall’art. 2703 c.c. Nel primo caso, infatti, si ritiene sufficiente che il difensore certifichi l’autografia della sottoscrizione della parte, senza che sia necessario attestare altresì che la sottoscrizione sia avvenuta in sua presenza: e si tratta proprio di uno dei profili oggetto di censura all’interno della vicenda giudiziaria in esame (sul punto, Cass., 19 gennaio 1985, n. 144).

In tal senso è possibile richiamare anche la recente pronuncia di Cass., sez. un., 19 gennaio 2024, n. 2075, la quale (anche richiamando la cit. Cass., n. 144/1985) ha ricordato che “nella giurisprudenza di questa Corte la certificazione da parte dell’avvocato della sottoscrizione del conferente la procura alle liti è intesa non come autenticazione in senso proprio, quale quella effettuata secondo le previsioni dell’art. 2703 c.c. dal notaio o da un altro pubblico ufficiale all’uopo autorizzato, ma come “autenticazione minore” (o “vera di firma”). […] Successivamente, si è precisato che quella certificazione – intesa, come detto, quale “autentica minore” – ha soltanto una funzione di attestare l’appartenenza della sottoscrizione a una determinata persona, senza che il difensore assuma su di sé, all’atto della autenticazione della firma, l’obbligo di identificazione del soggetto che rilascia il negozio unilaterale di procura (tra le altre: Cass., sez. un., 21 febbraio 1994, n. 1667; Cass., sez. un., 17 maggio 1995, n. 5398; Cass., sez. un., 28 novembre 2005, n. 25032; Cass., sez. un., 4 maggio 2006, n. 10219; Cass., 27 giugno 2011, n. 14190; Cass., sez. un.,7 novembre 2013, n. 25036; Cass., 15 aprile 2019, n. 10451; Cass., 8 aprile 2021, n. 9362; Cass., sez. un., 1° giugno 2021, n. 15177). In ogni caso, come anche rilevato in dottrina, il riferimento alla disciplina di cui all’art. 2703 c.c. imporrebbe, semmai, una contestualità spaziale e temporale tra sottoscrizione della procura e certificazione dell’avvocato (ciò che trova una qualche rispondenza nella previsione di legge speciale di cui all’art. 35-bis, comma 13, del d.lgs. n. 25/2008, la quale – come evidenziato dalla cit. Cass., sez. un., n. 15177/2021 – individua, nella certificazione della data di rilascio della procura, “un autonomo presupposto di ammissibilità del ricorso, introdotto specificamente dal legislatore, che attribuisce al difensore due distinti poteri e che, ordinariamente, richiederà la presenza fisica del ricorrente all’atto del rilascio della procura speciale”) e non già tra la procura e la redazione del ricorso cui la stessa si viene a collocare topograficamente”.

Anche a questo proposito, però, contestare la mancanza di contestualità spaziale e temporale tra sottoscrizione della procura e certificazione del difensore richiede la proposizione di querela di falso: ciò che, come più volte ricordato, nel caso di specie non è avvenuto.

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