Non serve esperire la conciliazione obbligatoria per chiedere un decreto ingiuntivo in materia di controversie tra utenti e operatori nelle telecomunicazioni
di Gian Marco Sacchetto Scarica in PDFCass., Sez. Un., 28 aprile 2020, n. 8240 (Pres. Mammone, Rel. Rubino)
Procedimento per ingiunzione – Controversie tra utenti e operatori di servizi di telecomunicazioni – Tentativo obbligatorio di conciliazione – Condizione di procedibilità – Esclusione (C.p.c. art. 633 ss.; art. 1, comma 11, L. 31 luglio 1997, n. 249.)
In tema di controversie tra le società erogatrici dei servizi di telecomunicazioni e gli utenti, non è soggetto all’obbligo di esperire il preventivo tentativo di conciliazione, previsto dall’art. 1, comma 11, della L. 31 luglio 1997 n. 249, chi intenda richiedere un provvedimento monitorio, essendo il preventivo tentativo di conciliazione strutturalmente incompatibile con i procedimenti privi di contraddittorio o a contraddittorio differito.
CASO
La vicenda prende le mosse da un decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto dalla compagnia telefonica Alfa nei confronti della società Beta, avente ad oggetto la richiesta di pagamento di somme per la fornitura di servizi di telecomunicazione mobile. Il decreto ingiuntivo veniva opposto da Beta e l’opposizione veniva accolta dal Tribunale di Roma, che dichiarava improcedibile la domanda di pagamento azionata dalla compagnia telefonica, per il mancato espletamento, prima del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dalla L. n. 294 del 1997, art. 1, comma 11 e dalla Delib. dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni 182/02/CONS. La sentenza di primo grado veniva confermata dalla Corte d’appello di Roma in sede di gravame proposto da Alfa.
Avverso la sentenza della Corte territoriale proponeva ricorso per cassazione la compagnia telefonica Alfa, deducendo, in particolare, la violazione e comunque errata interpretazione dell’art. 1, comma 11, L. n. 294/1997 (disposizione che, a detta del ricorrente, non imponeva l’obbligatorietà del preventivo tentativo di conciliazione nel caso del procedimento monitorio). La causa è stata trasmessa al Primo Presidente e da questi assegnata alle Sezioni Unite, avendo la terza Sezione, con ordinanza interlocutoria n. 16954 del 2019, segnalato la presenza, tra le altre, della seguente questione di massima di particolare importanza: se, nella materia delle telecomunicazioni, il tentativo di conciliazione sia o meno obbligatorio anche con riferimento al procedimento monitorio.
SOLUZIONE
Le Sezioni Unite stabiliscono che il ricorso monitorio non deve essere preceduto dal tentativo di conciliazione in materia di telecomunicazioni: innanzitutto, perché non è espressamente richiesto (a pena di improcedibilità) prima dell’emissione del decreto ingiuntivo e comunque perché, presupponendo il tentativo di conciliazione la possibilità di apertura di una fase “dialogica” tra le parti, risulta assolutamente incompatibile con la struttura (a contraddittorio differito) e la finalità (di immediata o comunque celere soddisfazione del creditore) che caratterizzano il procedimento monitorio.
QUESTIONI
Com’è noto, nel settore delle telecomunicazioni vi è una autonoma regolamentazione circa le modalità di risoluzione alternativa delle controversie, denominata “tentativo obbligatorio di conciliazione”.
Nello specifico, la L. 31 luglio 1997, n. 249 (che ha istituito l’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni) all’art. 1, comma 11, prevede: «L’Autorità disciplina con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze, oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze tra loro. Per le predette controversie, individuate con provvedimenti dell’Autorità, non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza all’Autorità. A tal fine, i termini per agire in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione».
In forza della suddetta delega legislativa, l’AGCOM con Delib. n. 182/2002/CONS, ha adottato un primo Regolamento relativo alla risoluzione delle controversie insorte nei rapporti tra organismi di telecomunicazioni ed utenti. Successivamente, l’AGCOM ha adottato un nuovo regolamento con Delib. n. 173/07/CONS, applicabile ratione temporis alla fattispecie decisa dalla Corte con il quale, per quanto qui rileva, ha previsto nell’art. 3, comma 1, che «Per le controversie di cui all’art. 2, comma 1, il ricorso in sede giurisdizionale è improcedibile fino a che non sia stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al Co.re.com competente per territorio munito di delega a svolgere la funzione conciliativa, ovvero dinanzi agli organismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie di cui all’art. 13».
Secondo le Sezioni Unite, il dato testuale fornito dall’art. 3, comma 1, Delibera n. 182 del 2002 («Gli utenti o associati, ovvero gli organismi, che lamentino la violazione di un proprio diritto o interesse protetti da un accordo privato o dalle norme in materia di telecomunicazioni attribuite alla competenza dell’Autorità e che intendano agire in giudizio, sono tenuti a promuovere preventivamente un tentativo di conciliazione dinanzi al Corecom competente per territorio»), pur nella sua non univocità, conduce verso l’esclusione della obbligatorietà del tentativo di conciliazione per poter accedere al procedimento monitorio, per il riferimento ad una terminologia («agire in giudizio») di solito associata all’atto introduttivo di un giudizio ordinario, a contraddittorio immediato; il successivo regolamento 173/07/CONS, chiamato a disciplinare solo le modalità di esecuzione della procedura alternativa, non ha aggiunto nulla di determinante.
In mancanza di una chiara e univoca norma espressa, l’esclusione dell’obbligo di esperire preventivamente il tentativo di conciliazione in materia di telecomunicazioni nel procedimento monitorio è confortata comunque da ripetute affermazioni della Corte Costituzionale (v., tra le altre, sent. n. 276/2000; ord. n. 163/2004) dalle quali emerge l’incompatibilità strutturale del preventivo tentativo di conciliazione con il procedimento monitorio, in accordo con il principio, ribadito dal giudice delle leggi nella sent. n. 403/2007, secondo il quale «le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga alla disciplina generale, devono essere interpretate in senso non estensivo».
Ulteriori conferme in tal senso si rinvengono anche nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (cfr., tra le altre, sent. 18 marzo 2010, cause C-317/08, C-318/08, C319/08 e C-320/08 – Alassini c. Telecom Italia s.p.a.) la quale, occupandosi della disciplina generale italiana in tema di tentativo di mediazione obbligatorio, introdotta dal D.Lgs. n. 28 del 2010, ha chiarito in via generale che il diritto dell’Unione non osta a una normativa che prevede il previo ricorso alla mediazione obbligatoria prima di una domanda giudiziale, purché tuttavia non sia reso eccessivamente difficoltoso alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario (sent. 14/06/2017, causa C-75/16 – Menini).
Ciò premesso, sulla base degli indici testuali normativi in subiecta materia, ma soprattutto in grazia dell’insegnamento costante della Corte costituzionale, la Suprema Corte nella decisione in commento confermano la validità della soluzione già adottata da Cass. n. 25611 del 2016, secondo la quale in materia di telecomunicazioni il tentativo obbligatorio di conciliazione non è espressamente richiesto, a pena di improcedibilità (e, si badi, non di improponibilità, come confermato dall’appena successiva sentenza a Sezioni Unite n. 8241/2020) prima dell’emissione del decreto ingiuntivo.
Inoltre, presupponendo siffatto tentativo un giudizio che si svolga nel contraddittorio attuale tra le parti, non è assolutamente compatibile con la struttura e la finalità del procedimento monitorio. Come noto, infatti, tale procedimento, in presenza delle condizioni di emissione del decreto ingiuntivo, si traduce nell’adozione di un provvedimento adottato inaudita altera parte, a contraddittorio differito, in favore del creditore munito di prova scritta, sicché non è strutturalmente compatibile con il previo esperimento di un tentativo obbligatorio di conciliazione, che presuppone la possibilità di apertura di una fase “dialogica” tra le parti.
Peraltro, anche sotto il profilo finalistico, il procedimento di conciliazione e quello monitorio non appaiono compatibili, perché l’esigenza di immediata soddisfazione del creditore dotato di prova scritta del credito posta alla base del monitorio, che si realizza con il differimento del contraddittorio rispetto alla formazione del titolo, verrebbe vanificata dal previo esperimento del tentativo di conciliazione. Quindi, in questa fase, prevale l’esigenza di concedere un agile strumento a tutela del credito rispetto all’esigenza di trovare una soluzione alternativa alla controversia, che però, si badi, non viene soppressa, ma si sposta alla fase successiva ed eventuale (cioè quando, con la proposizione della opposizione a decreto ingiuntivo, si apre la via del giudizio di cognizione ordinaria).
Solo nella fase di opposizione a decreto ingiuntivo diviene, quindi, operativo l’obbligo fissato dall’ art. 1, comma 11 della L. n. 249 del 1997, nel rispetto comunque dei limiti di applicazioni fissati dall’art. 2, comma 2 del regolamento adottato con Delib. n. 173/07/CONS AGCOM («Sono escluse dall’applicazione del presente Regolamento le controversie attinenti esclusivamente al recupero di crediti relativi alle prestazioni effettuate, qualora l’inadempimento non sia dipeso da contestazioni relative alle prestazioni medesime. In ogni caso, l’utente finale non è tenuto ad esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’art. 3 per formulare eccezioni, proporre domande riconvenzionali ovvero opposizione a norma degli artt. 645 c.p.c. e segg.»).
Infine, una breve postilla di aggiornamento.
Attualmente nelle controversie tra utenti e operatori di comunicazioni elettroniche è vigente il Regolamento (allegato A) di cui alla delibera n. 353/19/CONS del 18 luglio 2019, che va a sostituire il Regolamento di cui alla delibera n. 203/18/CONS. Il nuovo Regolamento, in maniera pressoché coincidente a quanto prevedeva l’art. 3 del Regolamento vigente ratione temporis (Delib. n. 173/07/CONS) nel caso deciso dalla Suprema Corte, dispone: «Per le controversie di cui all’articolo 2, comma 1, il ricorso in sede giurisdizionale è improcedibile fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione ai sensi del presente regolamento».
Sembra dunque possibile ritenere che il principio sancito dalle Sezioni Unite conservi la sua validità anche nelle odierne controversie tra utenti e operatori di servizi di comunicazioni elettroniche, tenendo comunque presenti i (parzialmente) diversi limiti di applicazione del nuovo Regolamento di cui alla delibera n. 353/19/CONS, così come previsti all’art. 2, commi 2 e 3: «Sono escluse dall’applicazione del presente regolamento le controversie attinenti unicamente al recupero di crediti relativi alle prestazioni effettuate dall’operatore, a eccezione di quelle inerenti a crediti o prestazioni contestate dall’utente. 3. Sono, altresì, escluse dall’ambito applicativo del presente regolamento le controversie promosse ai sensi degli articoli 37, 139, 140 e 140-bis del Codice del consumo nonché le controversie attinenti esclusivamente a profili tributari o di tutela della privacy».