Non è censurabile in Cassazione il “convincimento” del giudice di merito, formato a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c.
di Franco Stefanelli, Avvocato Scarica in PDFCass., Sez. II., ud. 3 febbraio 2021, 19 luglio 2021, n. 20553, Pres. Est. Di Virgilio.
[1] Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Vizio di motivazione – Valutazione delle prove – “Convincimento” del giudice circa la maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova – Censurabilità – Esclusione (cod. proc. civ., artt. 2727, 2729; cod. civ., artt. 116, 360)
La valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, è attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione: resta, pertanto, estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.
CASO
M.G. (proprietario della p.f. e della p.m. e della p.ed.) e, per quanto ancora rileva, M.A. (proprietario della p.f.) ed T.E. (proprietario della p.f.), con atto di citazione notificato in data 13/11/2001, hanno convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Trento, Mo.Ge. nonché Mo.Ma. e Mo.Em.Ma.Te. chiedendo che fosse dichiarato l’acquisto, per usucapione, della servitù di passaggio a piedi e con mezzi meccanici in favore dei predetti fondi, siti nel Comune di Topolinia, sulla strada che, partendo dalla strada comunale, attraversa i fondi delle convenute (p.f. e p.ed., siti nello stesso Comune), ed, in subordine, per effetto dell’interclusione dei fondi degli attori, che fosse costituita servitù coattiva di passo ai sensi dell’art. 1051 o comunque dell’art. 1052 c.c. Interrotto il giudizio per il decesso di Mo.Em.Ma.Te. e riassunta la causa nei confronti dei suoi eredi P.N., P.D. e P.M., il tribunale, con sentenza definitiva del 2010, costituiva servitù di passaggio coattivo a carico delle pp.ff. e della p.ed. ed in favore delle pp.ff. e della p.m., della p.ed. ed rigettava la domanda di M.G., M.A. ed T.E. di accertamento dell’acquisto per usucapione della servitù di passaggio in favore dei rispettivi immobili.
Mo.Ge., con atto di citazione notificato a M.G., M.A. ed T.E., ha proposto appello avverso tale sentenza. Gli appellati hanno resistito al gravame, chiedendone il rigetto, ed hanno, a loro volta, proposto appello incidentale avverso la sentenza nella parte in cui il tribunale aveva rigettato le domanda di usucapione della servitù.
Integrato il contraddittorio nei confronti di Mo.Ma. e P.N., P.D. e P.M., quali eredi di Mo.Em.Ma.Te., la corte d’appello, in primo luogo, accoglieva l’appello principale per cui, in riforma della sentenza impugnata, rigettava le domande di costituzione della servitù coattiva di passaggio sui fondi dell’appellante, e, in secondo luogo, rigettava l’appello incidentale, condannando, infine, M.G., M.A. ed T.E. al rimborso delle spese dei due gradi di giudizio.
La corte, in particolare, riteneva, innanzitutto, che, “all’esito degli approfondimenti peritali disposti in questo grado”, i quali non si prestano a censure avendo il consulente tecnico d’ufficio fornito “tutti gli elementi per la valutazione sia della sussistenza della lamentata interclusione, sia della idoneità del percorso indicato dagli appellati a soddisfare i requisiti di cui all’art. 1051 c.c.”, dovesse essere esclusa la sussistenza dei presupposti per la costituzione di servitù coattiva a favore dei fondi degli appellati ed a carico dei fondi dell’appellante.
La corte d’appello, quindi, in riforma della sentenza appellata, respingeva le domande di costituzione di servitù coattiva a carico dei fondi dell’appellante ed in favore dei fondi degli appellati. La corte, allora, esaminava l’appello incidentale con il quale gli appellati lamentavano il rigetto da parte del tribunale della domanda, proposta in via principale, volta all’accertamento dell’avvenuto acquisto, per usucapione, della servitù di passaggio in favore dei rispettivi fondi ed a carico dei fondi di proprietà dell’appellante.
La corte, quindi, stabilito che (solo) con riferimento al fondo p.f. sussiste il requisito dell’apparenza della servitù, procedeva a verificare la concorrenza dell’ulteriore requisito richiesto per l’usucapione, vale a dire l’esercizio di un potere di fatto ultraventennale in capo al proprietario del predetto fondo corrispondente al contenuto di una servitù di passaggio sui fondi dell’appellante. Sul punto la corte d’appello, dichiaratamente condividendo le conclusioni cui era pervenuto il tribunale, escludeva che le dichiarazioni rese dai testimoni ascoltati in giudizio abbiano positivamente confermato l’esercizio da parte del proprietario del predetto fondo di un potere di fatto, protrattosi per un ventennio, corrispondente ad una servitù di passaggio a piedi o con mezzi agricoli per l’accesso al preteso fondo dominante per il tramite del cancello in questione.
La corte, quindi, respingeva l’appello incidentale e, ritenuto che, in base all’esito complessivo del giudizio, l’integrale soccombenza degli appellati imponesse la condanna degli stessi alla rifusione delle spese dei due gradi di giudizio in favore della controparte, liquidava le stesse con riguardo allo scaglione di riferimento della causa, in base ai parametri indicati dal D.M. n. 55 del 2014.
M.M., M.A., M.L. ed M.I., nella dichiarata qualità di eredi di M.G., nonché M.A. e T.E., con ricorso notificato il 10/6/2016, hanno chiesto, per nove motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente non notificata.
Mo.Ge. ha resistito con controricorso. Mo.Ma., P.D., P.N. e P.M. sono rimasti intimati.
Tra i motivi di ricorso proposti, rilevano in questa sede in particolare il quinto ed il sesto motivo, per il tramite dei quali i ricorrenti, denunciando, con il quinto motivo, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha considerato il fatto, che gli appellati avevano sempre affermato, che la p.f. non possiede, in realtà, uno sbocco diretto sulla pubblica via, risultando chiaramente dalla tavola 1 allegata alla relazione del consulente tecnico d’ufficio che il sedime delle strada comunale è distante dalla p.f. di alcune decine di metri, e che l’unica strada che si diparte dalla strada comunale è la stradina insistente sui pretesi fondi serventi p.f. e p.ed., sussistendo, piuttosto, con la proprietà comunale solo un’intersezione geometrica in un punto in cui essa consta in una scarpata; con il sesto motivo, i ricorrenti, denunciando l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che, per ovviare all’interclusione della p.ed. e delle pp.ff., è possibile attraversare il fondo p.ed. e raggiungere così la pubblica via, omettendo, tuttavia, di considerare che, in realtà, come emerge dalle foto allegate alla consulenza tecnica d’ufficio, il passaggio tra le case è molto stretto ed, in più, vi è un arco che rende molto più difficoltoso l’accesso, impedendo a determinati mezzi, come ambulanze, trattori ed auto di una certa dimensione.
SOLUZIONE
[1] La seconda sezione della Corte di cassazione, in continuità rispetto ad un orientamento, che si può ritenere oramai consolidato, ha affermato che l’omissione dell’esame di elementi istruttori non dà luogo al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (Cass. n. 9253/2017). Nel caso di specie, i ricorrenti non avevano specificamente indicato quali fossero stati i fatti storici che la corte d’appello, benché decisivi ed oggetto di discussione tra le parti nel corso del giudizio, avrebbe del tutto omesso di esaminare, limitandosi, piuttosto, a sollecitare un’inammissibile rivalutazione del materiale istruttorio acquisito nel corso del giudizio. La valutazione delle prove raccolte, infatti, anche se si tratta di presunzioni (Cass. n. 2431/2004; Cass. n. 12002/2017; Cass. n. 1234/2019, che ha affermato: “In tema di prova presuntiva, è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.”), costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176/2017). Rimane, pertanto, estranea al vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova.
QUESTIONI
[1] I ricorrenti, in sostanza, si dolgono del fatto che la corte di appello abbia optato per valutazioni e conseguenti percorsi interpretativi diversi rispetto a quelli prospettati dai primi; la doglianza, tuttavia, risulta priva di consistenza, infrangendosi sul differente accertamento in fatto operato, sul punto, dal giudice di secondo grado. È noto che, secondo SS.UU. n. 8053/2014, l’art. 360 c.p.c., n. 5, consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, che risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e sia stato oggetto di discussione tra le parti, ed abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (così, Cass. n. 27415/2018, secondo cui: “L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” e, in tal senso, si veda anche Cass. n. 28887/2019, per cui: “L’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie, sicché il fatto storico non può identificarsi con il difettoso esame dei parametri della liquidazione dell’indennità ex art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, sui quali il giudice di merito conduce la valutazione ai fini della liquidazione della stessa”; Cass. n. 14014/2017; Cass. n. 9253/2017). Pertanto, una volta escluso, come nella specie, che la motivazione resa dalla corte d’appello sia inesistente o apparente o contraddittoria, l’accertamento dei fatti può essere censurato in cassazione solo per l’omesso esame da parte del giudice di merito di un “fatto storico” controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. n. 23940/2017). Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente, che denuncia il vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ha l’onere di indicare non una mera “questione” o un semplice “punto” della sentenza, bensì il “fatto storico”, principale (e cioè il fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) ovvero secondario (cioè dedotto in funzione di prova di un fatto principale) – vale a dire un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. n. 27415/2018; Cass. n. 17761/2016; Cass. n. 29883/2017; Cass. n. 21152/2014; Cass. SS.UU. n. 5745/2015) – il cui esame sia stato del tutto omesso, nonché il “dato”, testuale o extratestuale, da cui lo stesso risulti dagli atti del giudizio e il modo in cui sia stato oggetto di discussione tra le parti, nonché, infine, la sua “decisività” (Cass. n. 14014/2017; Cass. n. 9253/2017; Cass. n. 20188/2017). L’omesso esame di elementi istruttori non dà luogo, pertanto, al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (Cass. n. 9253/2017). Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno specificamente indicato quali sono stati i fatti storici che la corte d’appello, benché decisivi ed oggetto di discussione tra le parti nel corso del giudizio, avrebbe del tutto omesso di esaminare, limitandosi, piuttosto, a sollecitare una inammissibile rivalutazione del materiale istruttorio acquisito nel corso del giudizio. La valutazione delle prove raccolte, infatti, anche se si tratta di presunzioni (Cass. n. 2431/2004; Cass. n. 12002/2017; Cass. n. 1234/2019), costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176/2017). Rimane, pertanto, estranea al vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova. La deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non consente, quindi, di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito. Il compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267/2008), ma soltanto quello di dover controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176/2017): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame. La corte d’appello, invero, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, ha, in modo logico e coerente, indicato le ragioni per le quali ha ritenuto, in fatto, che il percorso prospettato dagli attori fosse, per i fondi serventi, più oneroso rispetto a quelli che la stessa sentenza ha, di volta in volta, rinvenuto in ragione delle esigenze dei fondi dominanti e delle caratteristiche fattuali e giuridiche dei diversi fondi coinvolti.
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