3 Settembre 2024

No agli interessi ex art. 1284, comma 4, c.c. quando il titolo esecutivo giudiziale parla solo di interessi legali

di Elisa Conti, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione Civile, Sezioni Unite, 07/05/2024, (ud. 26/03/2024, dep. 07/05/2024), n.12449, Pres. Aggiunto Dott. Pasquale D’Ascola, Rel. Dott. Enrico Scoditti

Rinvio pregiudiziale – Esecuzione forzata – Titolo esecutivo giudiziale – Interessi legali – Interessi di mora ex art. 1284, comma 4, c.c. – Non spettano (art. 363 bis c.p.c. e art. 1284 c.c.)

Massima: “Ove il giudice disponga il pagamento degli “interessi legali” senza alcuna specificazione, deve intendersi che la misura degli interessi, decorrenti dopo la proposizione della domanda giudiziale, corrisponde al saggio previsto dall’art. 1284, comma 1, cod. civ. se manca nel titolo esecutivo giudiziale, anche sulla base di quanto risultante dalla sola motivazione, lo specifico accertamento della spettanza degli interessi, per il periodo successivo alla proposizione della domanda, secondo il saggio previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali

CASO

Cordusio Società Fiduciaria per Azioni ha proposto opposizione al precetto innanzi al Tribunale di Milano lamentando l’erroneo computo degli interessi di mora sulla sorte capitale di € 116.819,15 decorrenti dalla proposizione della domanda, nonostante non vi fosse stata domanda in tal senso, il titolo esecutivo giudiziale non recasse la condanna al tale pagamento e il credito riconosciuto dal titolo giudiziale escludesse l’applicazione dell’art. 1284, comma 4, c.c., trattandosi di credito risarcitorio ai sensi dell’art. 2049 c.c. Inoltre, contestava la possibilità per il giudice dell’esecuzione di poter integrare il titolo esecutivo giudiziale con la previsione mancante della condanna al pagamento di tali interessi. Inoltre, il dispositivo della sentenza non sarebbe potuto essere integrato dal giudice dell’esecuzione, privo di tali poteri.

Il Tribunale ha , così, disposto il rinvio pregiudiziale degli atti ai sensi dell’art. 363-bis c.p.c. per la risoluzione della seguente questione di diritto: “se in tema di esecuzione forzata – anche solo minacciata – fondata su titolo esecutivo giudiziale, ove il giudice della cognizione abbia omesso di indicare la specie degli interessi al cui pagamento ha condannato il debitore, limitandosi alla loro generica qualificazione in termini di “interessi legali” o “di legge” ed eventualmente indicandone la decorrenza da data anteriore alla proposizione della domanda, si debbano ritenere liquidati soltanto gli interessi di cui all’art. 1284 primo comma c.c. o – a partire dalla data di proposizione della domanda – possano ritenersi liquidati quelli di cui al quarto comma del predetto articolo”.

SOLUZIONE

Con il rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c., le Sezioni Unite sono state chiamate a decidere se la mera previsione degli ‘interessi legali’ nella pronuncia di condanna da parte del giudice della cognizione, possa essere interpretata, per la parte di interessi decorrenti dopo il momento della proposizione della domanda giudiziale, con riferimento al saggio di interessi previsto dal comma quarto dell’art. 1284 c.c. oppure se, per l’assenza di specificazioni nella decisione, il saggio degli interessi debba restare limitato a quello previsto dal primo comma della medesima disposizione.

Nella propria sentenza gli Ermellini hanno preliminarmente vagliato l’ammissibilità del rinvio pregiudiziale.

La Corte ha dichiarato ammissibile il rinvio pregiudiziale in tema di applicabilità degli interessi legali per la presenza, da un lato, di un indirizzo che non aveva posto in rilievo il comma quarto dell’art. 1284 c.c., ma solo la legge speciale e, dall’altro lato, per la presenza di un contrasto latente tra due orientamenti relativo all’automatica applicazione anche del comma quarto dell’art. 1284 c.c., oltre che del primo comma, in assenza di un’espressa pronuncia in sentenza. L’ammissibilità del rinvio pregiudiziale, infatti, deve essere accordata anche quando vi sia un contrasto non ancora risolto dalla Corte ancorché riguardi un tema già trattato, non dovendo necessariamente ricorrere l’assoluta novità della questione.

Il giudice della nomofilachia ha, quindi, risolto la questione relativa agli interessi da applicare ai sensi dell’art. 1284 c.c. nei casi in cui la sentenza abbia previsto, in modo generico, gli “interessi legali”, nel senso che il giudice dell’esecuzione sia sprovvisto dei poteri di cognizione necessari per integrare tale titolo esecutivo giudiziale, dovendosi limitare a darvi attuazione a quanto ivi disposto. Pertanto, a fronte di un generico richiamo in sentenza agli “interessi legali”, il giudice dell’esecuzione non potrà applicare il saggio di cui all’art. 1284, comma 4, c.c., che rinvia agli interessi di mora nelle transazioni commerciali di cui al d.lgs. 231/2002, per il fatto che questi interessi non integrano un mero effetto legale della fattispecie costitutiva degli interessi, ma rinviano piuttosto a una fattispecie che, per essere applicata, necessita di un accertamento circa la sussistenza di particolari presupposti. Per tale motivo l’applicazione dei c.d. “super-interessi” è preclusa al giudice dell’esecuzione se quello della cognizione non ne abbia espressamente disposto in sentenza.

Le Sezioni Unite, quindi, a valle del proprio percorso argomentativo hanno espresso il principio in forza del quale “ove il giudice disponga il pagamento degli “ interessi legali” senza alcuna specificazione, deve intendersi che la misura degli interessi, decorrenti dopo la proposizione della domanda giudiziale, corrisponde al saggio previsto dall’art. 1284, comma 1, cod. civ. se manca nel titolo esecutivo giudiziale, anche sulla base di quanto risultante dalla sola motivazione, lo specifico accertamento della spettanza degli interessi, per il periodo successivo alla proposizione della domanda, secondo il saggio previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”.

QUESTIONI

Con riguardo alla questione risolta dalle Sezioni Unite, un primo orientamento (Cass. 27 settembre 2017, n. 22457) riteneva che, quando il giudice della cognizione si sia limitato alla generica qualificazione degli interessi in termini di “interessi legali” o “di legge”, debbano intendersi riconosciuti soltanto gli interessi di cui all’art. 1284, comma 1,  c.c. al saggio legale, attesa la portata generale della disposizione, rispetto alla quale le altre ipotesi di interessi hanno natura speciale e quindi richiedono un previo accertamento della sussistenza dei presupposti costitutivi della relativa fattispecie speciale.

Per tale ragione, se dal titolo non emerge un accertamento di detti presupposti, non può esservi integrazione in sede esecutiva, potendo essere esperito il solo rimedio dell’impugnazione (Cass. 23 aprile 2020, n. 8128; Cass. 25 luglio 2022, n. 23125; Cass. 14 luglio 2023, n. 20273; Cass. 4 agosto 2023, n. 23846).

Tale orientamento, salvo l’isolata pronuncia della Cassazione n. 23846 del 2023, ha riferito questo nesso di specialità tra il primo comma dell’art 1284 c.c. e la legge speciale (D.Lgs n. 231/2002), ma non anche tra il primo e il quarto comma dell’art. 1284 c.c.

Il secondo orientamento, invece, era dell’avviso che gli interessi previsti dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, quali interessi “legali” ai sensi dei commi 4 e 5 dell’art. 1284 c.c., dovessero essere applicati dalla proposizione della domanda giudiziale (o arbitrale), senza che fosse necessaria una specifica richiesta in tal senso e senza il bisogno di un’apposita precisazione del loro saggio in sentenza (Cass. 20 gennaio 2021, n. 943; Cass. 23 settembre 2020, n. 19906; Cass. 12 novembre 2019, n. 9212; Cass. 25 marzo 2019, n. 8289; Cass. 7 novembre 2018, n. 28409).

È doveroso segnalare che la Corte, nel valutare l’ammissibilità del rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis c.p.c., ha esercitato incidentalmente la propria funzione nomofilattica anche con riferimento alla condizione di ammissibilità del rinvio: con un’analisi ermeneutica circa la formulazione della disposizione del codice di procedura, che parla di questione non ancora “risolta”, rispetto a quella della previsione della legge delega, che parlava di questione non “ancora affrontata dalla Corte di Cassazione”, gli Ermellini hanno ritenuto ammissibile il rinvio pregiudiziale anche quando vi sia una divergenza latente tra le decisioni delle diverse sezioni della S.C., purché questa, sebbene affrontata, non sia stata ancora risolta.

Tornando al tema degli interessi legali, il giudice della nomofilachia ha dovuto prima pronunciarsi su una questione ad essa preliminare e sottesa, ovverossia se gli “interessi legali”, ai quali fanno riferimento sia il primo sia il quarto comma dell’art. 1284 c.c., abbiano coincidente natura o rispondano a differenti requisiti e presupposti di applicabilità.

La Corte ha, quindi, affermato che, mentre gli interessi legali di cui al primo comma sono ordinari e di automatica applicazione, i c.d. “super-interessi” di cui al quarto comma possono essere riconosciuti solo in presenza di specifici presupposti applicativi, che devono essere oggetto di specifico accertamento da parte del giudice della cognizione. Più precisamente, la Corte ha ritenuto che il quarto comma dell’art. 1284 c.c. “non integra un mero effetto legale della fattispecie costitutiva degli interessi (cui la legge collega la relativa misura)”, ma prevede al suo interno dei presupposti, che devono essere oggetto di un’autonoma valutazione rispetto al mero apprezzamento della spettanza degli interessi nella misura legale.

Tali presupposti sono: (i) la natura della fonte dell’obbligazione, come ad esempio le obbligazioni contrattuali e le obbligazioni derivanti da responsabilità extracontrattuale, i crediti di lavoro, i crediti derivanti dalla violazione del termine ragionevole del processo, i crediti derivanti da obblighi familiari; (ii) l’assenza di un’espressa determinazione contrattuale della misura degli interessi, prevista dall’art. 1284, c. 4 c.c., (iii) il momento in cui viene introdotta la domanda giudiziale da cui decorrono gli interessi di cui al quarto comma dell’art. 1284 c.c. (essendo incerto se essi decorrano dalla notifica dell’atto di citazione e dal deposito del ricorso o anche dall’introduzione di una domanda cautelare o di un’istanza di mediazione).

Una siffatta verifica della sussistenza dei presupposti appena esposti, implicante anche la qualificazione giuridica del rapporto dedotto in giudizio, deve essere oggetto di uno specifico accertamento. Pertanto, solamente il giudice della cognizione può validamente disporre in sentenza l’applicazione degli interessi legali ai sensi del quarto comma dell’art. 1284 c.c., poiché il giudice dell’esecuzione non ha poteri di cognizione e, quindi, di integrazione del titolo esecutivo, ma solo di interpretazione lato sensu dello stesso (Cass., Sez. Un., 6 aprile 2023, n. 9479).

In definitiva, se nel dispositivo o nella motivazione del titolo esecutivo giudiziale vi è un generico riferimento agli “interessi legali”, mentre manca uno specifico accertamento di spettanza degli interessi legali maggiorati nella misura indicata, il giudice dell’esecuzione sarà impossibilitato a integrare il titolo, risultando alla parte il solo rimedio impugnatorio.

La pronuncia nomofilattica appare, invero, in contrasto con la ratio dell’art. 1284, comma 4, c.c., che è quella di prevedere l’automatico riconoscimento dei “super-interessi”, al fine di contrastare la tendenza dei debitori ad avvantaggiarsi delle lungaggini processuali per dilazionare il pagamento del debito. Invero, anche i c.d. “super-interessi” giudiziali operano ex lege, sol per effetto della notificazione della domanda in sede giudiziale e arbitrale, che determina ex se la mora debendi, con tutte le relative conseguenze.

Oltremodo esile è anche l’argomento per cui il comma 4 dell’art. 1284 c.c., pur non richiedendo alcuna istanza in quanto applicabile ope legis, sol per effetto della notifica della domanda giudiziale, esigerebbe uno specifico accertamento ex officio circa il titulus debendi (ex contractu vel ex delicto), l’assenza di diverse previsioni contrattuali di tassi di mora e la decorrenza, posto che: i) la disposizione discorre solo di credito pecuniario, a prescindere dalla natura contrattuale o extracontrattuale o ex lege del titulus debendi (v., infatti, Cass., 3 gennaio 2023, n. 61); ii) la presenza di una diversa previsione contrattuale per gli interessi di mora (il riferimento implicito è, chiaramente e precipuamente, ai contratti bancari) va compiuta anch’essa ex officio; in mancanza, dovrà essere il debitore a dolersene, impugnando la condanna agli interessi; iii) la decorrenza dei c.d. “super-interessi” è chiara e in claris non fit interpretatio: gli interessi a saggio aggravato decorrono dalla proposizione della domanda giudiziale e, trattandosi di effetto che si produce dalla messa in mora del debitore, tali interessi non potranno che decorrere dal perfezionarsi dalla notificazione della domanda (giudiziale o arbitrale), ché la messa in mora ha natura ex necesse recettizia.

Un’ultima considerazione: la struttura ormai prevalentemente finanziaria dell’economia contemporanea, che consente ai grandi patrimoni rendite finanziarie ed extraprofitti in misure esorbitanti, appare di per sé incompatibile con la posizione di retroguardia assunta dalle Sezioni Unite: i soggetti finanziariamente attrezzati potranno guadagnare sulle differenze tra saggio legale degli interessi (usualmente assai basso, salvo l’ultimo biennio) e cospicue rendite provenienti dagli investimenti; per i debitori sovraindebitati e “incapienti” non cambierà granché: se non sono in grado di rifondere il capitale, qualche interesse di mora in più o in meno non modificherà il loro status di sovraindebitamento (v. amplius Tedoldi, «Come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori», Bologna, 2021)..

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