25 Gennaio 2022

Nessun obbligo di comunicare il decreto di fissazione dell’udienza a seguito di ricorso in opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi, tanto meno con l’avvento del PCT

di Valentina Scappini, Avvocato

Cassazione civile, terza sez., sentenza del 28 dicembre 2021, n. 41748; Pres. De Stefano; Rel. Rossetti.

Massima: “Il decreto con il quale il giudice dell’esecuzione fissa (…) l’udienza per la fase sommaria, assegnando un termine perentorio per la notificazione del ricorso e dello stesso decreto all’opposto, non è soggetto a comunicazione, a cura della cancelleria, al ricorrente, sicché ove quest’ultimo lasci scadere il termine perentorio fissato, incorre nella declaratoria di inammissibilità dell’opposizione, senza potere beneficiare della rimessione in termini (nello stesso senso già Cass, terza sez, 12 giugno 2020, n. 11291).

CASO

B&C Technology s.r.l., creditrice del Ministero della Giustizia, promuoveva un pignoramento presso terzi dei crediti vantati dal Ministero nei confronti di Poste Italiane s.p.a e di Banca d’Italia.

Nel procedimento esecutivo intervenivano volontariamente gli odierni ricorrenti per cassazione C.A. ed altri. Deducevano di essere creditori del Ministero della Giustizia in forza di decreto pronunciato, ai sensi dell’art. 2 della Legge Pinto (l. n. 89/2001), dalla Corte d’Appello di Catanzaro il 14 marzo 2012, con il quale il Ministero era stato condannato al risarcimento dei danni in favore degli attori per irragionevole durata del processo.

Con ordinanza del 19 marzo 2015 il giudice dell’esecuzione dichiarava inammissibile il suddetto intervento, rilevando che l’art. 5 quinquies, l. n. 89/2001, non consentiva di ricorrere al pignoramento presso terzi per riscuotere coattivamente crediti scaturenti da pronunce di condanna ai sensi della Legge Pinto.

Proposta opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. con ricorso dell’8 aprile 2015, il giudice dell’esecuzione fissava l’udienza per la comparizione delle parti ed il termine (30 aprile 2015) entro cui gli opponenti avrebbero dovuto notificare il ricorso con il pedissequo decreto di fissazione d’udienza. Tale decreto veniva regolarmente depositato e pubblicato su Polisweb, ma non era comunicato dalla cancelleria agli opponenti.

Il termine del 30 aprile 2015 decorreva senza che gli opponenti provvedessero alla suddetta notifica, pur avendo essi proposto, in data 28 maggio 2015, istanza con la quale chiedevano al giudice “l’emissione di un nuovo provvedimento di fissazione dell’udienza chiaro e leggibile”. L’istanza rimaneva inevasa.

Con ordinanza dell’8 luglio 2015, emessa all’esito dell’udienza di comparizione delle parti, il giudice dell’esecuzione dichiarava improcedibile l’opposizione. Il giudice non accoglieva, infatti, le difese degli opponenti, i quali sostenevano che, a causa dell’illeggibilità del decreto di fissazione dell’udienza dell’8 aprile 2015 (il quale, peraltro, non era nemmeno stato comunicato loro dalla cancelleria), erano stati costretti a proporre la succitata istanza del 28 maggio 2015, che però rimaneva inevasa.

Il giudice dell’esecuzione rilevava che il decreto di fissazione d’udienza non deve essere comunicato dalla cancelleria alla parte istante e comunque, anche ad ammettere che quel decreto fosse illeggibile, tale circostanza non avrebbe reso impossibile la notifica alla controparte, in quanto il deposito del decreto risultava da Polisweb, sicché gli opponenti erano stati messi in grado di munirsi tempestivamente della copia cartacea da notificare.

Introdotta ritualmente la fase di merito da parte degli odierni ricorrenti, il Ministero e Poste Italiane s.p.a. si costituivano, mentre Banca d’Italia restava contumace. Con sentenza del 14 marzo 2018, oggi impugnata, il Tribunale di Roma dichiarava inammissibile l’opposizione, rilevando che:

1) l’improcedibilità dell’opposizione pronunciata all’esito della fase sommaria non impediva agli opponenti l’introduzione della fase di merito;

2) tuttavia, la mancata notifica del ricorso in opposizione e del decreto di fissazione d’udienza alla controparte, nel termine fissato del 30 aprile 2015, aveva reso inammissibile non solo la fase sommaria dell’opposizione, ma anche la fase di merito;

3) non era sufficiente a giustificare il mancato rispetto di tale termine la circostanza della mancata comunicazione, da parte della cancelleria agli opponenti, dell’avvenuto deposito del decreto di fissazione dell’udienza, dal momento che non vi è obbligo della suddetta comunicazione. Né poteva costituire idonea giustificazione l’allegata illeggibilità del decreto, posto che gli opponenti avevano comunque appreso del decreto tramite Polisweb e che, se avessero voluto, avrebbero potuto chiedere alla cancelleria di farsene rilasciare una copia cartacea.

Gli opponenti hanno proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza.

SOLUZIONE

Il ricorso, fondato su due motivi, è stato rigettato, in quanto infondato, sulla scorta del principio riportato in epigrafe e già statuito dalla Suprema Corte con sentenza del 12 giugno 2020, n. 11291, ai sensi del quale: “Il decreto con il quale il giudice dell’esecuzione fissa (…) l’udienza per la fase sommaria, assegnando un termine perentorio per la notificazione del ricorso e dello stesso decreto all’opposto, non è soggetto a comunicazione, a cura della cancelleria, al ricorrente, sicché ove quest’ultimo lasci scadere il termine perentorio fissato, incorre nella declaratoria di inammissibilità dell’opposizione, senza potere beneficiare della rimessione in termini”.

QUESTIONI

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti hanno dedotto la violazione degli artt. 617 e 618 c.p.c., sostenendo che, stante l’autonomia ed indipendenza della fase di merito rispetto alla fase sommaria dell’opposizione agli atti esecutivi, il mancato rispetto del termine per la notifica del ricorso introduttivo della fase sommaria non impedirebbe al giudice della fase di merito di esaminare le ragioni dell’opponente, qualora il termine di cui all’art. 617, co. 1, c.p.c. sia stato rispettato.

Nel rilevare l’infondatezza di tali censure, la Suprema Corte richiama il principio secondo cui “Il decreto con il quale il giudice dell’esecuzione fissa (…) l’udienza per la fase sommaria, assegnando un termine perentorio per la notificazione del ricorso e dello stesso decreto all’opposto, non è soggetto a comunicazione, a cura della cancelleria, al ricorrente, sicché ove quest’ultimo lasci scadere il termine perentorio fissato, incorre nella declaratoria di inammissibilità dell’opposizione, senza potere beneficiare della rimessione in termini” (nello stesso senso già Cass., terza sez, 12 giugno 2020, n. 11291).

Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione, da parte del Tribunale di Roma, degli artt. 135, 136 e 153 c.p.c., nonché degli artt. 3 e 24 Cost., laddove la sentenza ha ritenuto che: i) il decreto di fissazione dell’udienza adottato dal giudice dell’esecuzione non deve essere comunicato dalla cancelleria all’opponente; ii) anche ad ammettere che tale decreto fosse stato illeggibile attraverso gli strumenti telematici, gli opponenti avevano comunque appreso del relativo deposito tramite Polisweb, sicché avrebbero potuto tempestivamente chiederne copia cartacea alla cancelleria.

Al riguardo, i ricorrenti sostengono che il decreto fosse illeggibile anche nel testo cartaceo, che avevano ottenuto dalla cancelleria. Pertanto, la presunta negligenza che il Tribunale aveva ascritto loro per non essersi procurati copia cartacea, in realtà non sussisteva.

In secondo luogo, assumono che l’art. 618, co. 1, c.p.c., nella parte in cui non prevede espressamente la comunicazione del decreto di fissazione d’udienza all’opponente, debba essere interpretato in modo costituzionalmente orientato, ai sensi dell’insegnamento desumibile da Corte Cost., 3 giugno 1998, n. 197, ossia nel senso che il semplice deposito del decreto di fissazione d’udienza, se non comunicato, non può mai comportare la decadenza della parte interessata dall’opposizione.

La Corte di Cassazione rileva l’inammissibilità per difetto di rilevanza della prima censura e l’infondatezza della seconda.

Infatti, il Tribunale ha ritenuto gli opponenti non diligenti (e quindi impossibilitati ad invocare il beneficio della rimessione in termini), poiché solo il 27 maggio 2015, dopo quasi un mese dalla scadenza del termine fissato per la notifica del ricorso in opposizione e del decreto di fissazione d’udienza, si sono premurati di chiedere al giudice dell’esecuzione un nuovo termine per la notifica, a fronte della supposta illeggibilità del decreto già emesso. Inoltre, gli opponenti non hanno mai allegato in quale momento essi avrebbero avuto conoscenza dell’illeggibilità del decreto e questa mancanza di allegazione ha impedito di verificare se la loro decadenza fosse stata colpevole o meno.

Pertanto, la negligenza che il Tribunale ha ascritto agli opponenti non è di avere semplicemente trascurato di acquisire la copia cartacea del provvedimento da notificare, bensì di non avere spiegato cosa impedì loro di: a) prendere più tempestiva conoscenza del decreto di fissazione d’udienza; b) chiedere più tempestivamente una copia cartacea; c) e infine chiedere più tempestivamente l’adozione di un nuovo provvedimento di fissazione d’udienza.

Tale ratio decidendi della sentenza non è censurata specificatamente e, quindi, le deduzioni dei ricorrenti, non essendo pertinenti, sono inammissibili.

Anche la seconda censura è priva di pregio, dal momento che la cancelleria non ha, come già evidenziato, alcun obbligo di comunicare all’opponente l’avvenuto deposito del decreto di fissazione d’udienza dinanzi al giudice dell’esecuzione (Cass., terza sez, 12 giugno 2020, n. 11291).

Tale interpretazione non contrasta con la sentenza della Corte Costituzionale n. 197/1998 – emessa quando il processo civile era ancora interamente cartaceo – con la quale il Giudice delle leggi ha affermato il principio per cui, in materia di impugnazioni e di opposizioni, nessuna decadenza potrebbe essere mai prevista dalla legge o dichiarata dal giudice, se la parte interessata non sia stata posta in condizione di conoscere la decorrenza del termine per compiere l’atto processuale senza sopportare oneri eccedenti la normale diligenza.

Invero, grazie all’odierno processo telematico e alla possibilità, per le parti, di accedere in qualunque parte del mondo ed in qualunque momento del giorno ai registri di cancelleria, l’onere del controllo di verificare periodicamente e tempestivamente il deposito di un provvedimento giudiziale, del quale la cancelleria non abbia dato comunicazione alle parti, non può dirsi “eccedente l’ordinaria diligenza”.

Di conseguenza, il principio statuito dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza non è applicabile al caso di specie, cosicché anche il secondo motivo di ricorso deve essere rigettato.

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