Nelle società che non fanno ricorso al capitale di rischio, è valida la clausola statutaria che prevede la possibilità per i soci di esercitare il diritto di recesso ad nutum
di Vittorio Greco, praticante avvocato Scarica in PDFCorte di Cassazione, I sezione, sentenza del 29 gennaio 2024, n. 2629
Parole chiave: Società – Recesso – Statuto – Socio di minoranza – Preavviso – Società chiuse – Clausola statutaria – Recesso ad nutum
Massima: “Nelle società chiuse, la clausola statutaria che prevede la possibilità per i soci di recedere ad nutum dalla società, previo un congruo preavviso, è legittima, in quanto pienamente conforme al dettato normativo e non in contrasto con i diritti dei terzi”.
Disposizioni applicate: art. 2437 c.c.
La Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso di un socio di minoranza che si era visto rigettare la propria domanda di accertamento del proprio diritto di recesso da una società per azioni.
Il socio recedente aveva azionato la clausola statutaria che prevedeva la possibilità di recedere, anche al di fuori dai casi legali di recesso, dando un preavviso di 180 giorni. Per fare ciò, in ragione delle previsioni statutarie, aveva adito il collegio arbitrale, che, tuttavia, aveva rigettato la sua domanda.
Il socio aveva così impugnato il lodo, per vedersi nuovamente rigettata la sua pretesa dalla Corte d’appello.
Aveva così presentato ricorso in Cassazione, deducendo la legittimità della clausola invocata.
La clausola statutaria che prevedeva la possibilità per i soci di recedere ad nutum dalla società, previo preavviso di centottanta giorni, è stata ritenuta nulla nel giudizio di merito per violazione degli artt. 1418 e 1419 c.c., per l’asserita ragione che la possibilità di recedere ad nutum è prevista dall’art. 2437 c.c. al comma 3 esclusivamente per le società costituite a tempo indeterminato.
Secondo i giudici, si tratterebbe di una previsione speciale, derogatoria rispetto alla disciplina generale, e, pertanto, non estendibile anche alle società per cui è prevista una durata determinata.
La Corte ha, tuttavia, sconfessato tale ragionamento. Per i giudici di legittimità, la previsione della possibilità di recedere è posta a garanzia del socio di minoranza, che ha tutte le ragioni di tutelare il proprio investimento a fronte tanto di singole operazioni da lui non condivise, quanto della complessiva gestione della società.
Orbene, l’art. 2437 c.c. ammette la possibilità per i soci di prevedere nello statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio “ulteriori cause di recesso” rispetto a quelle legali. Secondo la Corte, questa previsione non può essere interpretata restrittivamente, nel senso che le ragioni del recesso debbano essere predeterminate o circoscritte ad ipotesi specifiche.
Pertanto, la clausola che prevede tale diritto, nella misura in cui prevede anche un congruo termine di preavviso (e tale è stato considerato il termine di 180 giorni) e nella misura in cui è prevista all’interno di società chiuse, in conformità del dettato normativo, è perfettamente legittima, in quanto posta a tutela dei diritti del socio, non in contrasto con la legge, e non pregiudicativa del diritti dei terzi.
Per le suddette ragioni, la Cassazione ha ritenuto di dover accogliere il ricorso.
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