7 Dicembre 2021

Nel calcolo dei cinque giorni per la comunicazione di convocazione dell’assemblea condominiale non va conteggiato il dies ad quem

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. VI-II, sent. 30.06.2021 n. 18635. Presidente L. Orilia – Estensore A. Scarpa

Nel calcolo del termine di “almeno cinque giorni prima”, stabilito dall’art. 66, ultimo comma (nella formulazione vigente “ratione temporis”), disp. att. c.c., per la comunicazione ai condomini dell’avviso di convocazione dell’assemblea, atto recettizio di cui il condominio deve provare la tempestività rispetto alla riunione fissata per la prima convocazione, trattandosi di giorni “non liberi” (stante l’eccezionalità dei termini cd. “liberi” – che escludono dal computo i giorni iniziale e finale – limitati ai soli casi espressamente previsti dalla legge) e da calcolare a ritroso, non va conteggiato il “dies ad quem” (e, cioè, quello di svolgimento della riunione medesima), che assume il valore di capo o punto fermo iniziale, mentre va incluso il “dies a quo” (coincidente con la data di ricevimento dell’avviso), quale capo o punto fermo finale, secondo la regola generale fisata negli artt. 155, comma 1, c.p.c. e 2963 c.c. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto tempestivo l’avviso di convocazione ricevuto il 29 marzo, in relazione ad un’assemblea condominiale convocata, per la prima adunanza, in data 3 aprile)”.

CASO

Il condomino Giovanni S., impugnava la delibera assembleare del 4 aprile 2006, innanzi al Tribunale di Bari, lamentando violazione di legge, sostenendo che l’avviso di convocazione dell’assemblea gli veniva comunicato tardivamente (essendo pervenuta al condomino in data 29.03.2006 la raccomandata ed essendo fissata in data 03.04.2006 la riunione di prima convocazione), non dovendosi computare, nel termine di 5 giorni previsto dall’art. 66, comma 3, disp. att. c.c., il giorno di ricezione dell’avviso medesimo; oltre a ciò, il ricorrente lamentava la violazione dell’art. 1725 c.c., assumendo che nel verbale della riunione non fosse indicato il numero degli intervenuti, né il sopraggiungere di alcuni condomini durante l’assemblea, e non fosse perciò documentato il raggiungimento del quorum necessario.

Il Tribunale di Bari respingeva la domanda di parte attrice.

Il condomino decideva a quel punto di appellare la sentenza di primo grado e la Corte d’Appello di Bari, tuttavia, confermava l’infondatezza della impugnazione ex art. 1137 c.c.

Avverso tale sentenza, infine, Giovanni S. proponeva ricorso per Cassazione per i seguenti motivi:

  1. violazione e falsa applicazione dell’art. 66, comma 3, disp. att. c.c. in relazione all’art. 155 c.p.c.;
  2. violazione dell’art. 2725 c.c. in relazione all’art. 1136 c.c.

SOLUZIONE

Il Supremo Collegio, con sentenza n. 18365 del 30.06.2021, ha rigettato il ricorso, ritenendo inammissibili entrambi i motivi di doglianza addotti dal condomino Giovanni S., così confermando la pronuncia della Corte d’Appello di Bari.

QUESTIONI

Con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione ha motivato su alcune questioni giuridiche tutt’affatto irrilevanti.

  1. In primo luogo, nel rigettare il primo motivo di ricorso in quanto inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., il Supremo Collegio ha ribadito il pieno diritto di ogni condomino ad intervenire all’assemblea e la conseguente necessità che l’avviso di convocazione previsto dall’art. 66, comma 3, disp. att. c.c., quale atto unilaterale recettizio, sia non solo inviato, ma anche ricevuto nel termine, ivi stabilito, di almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza, avendo riguardo alla riunione dell’assemblea in prima convocazione.

Quel medesimo termine, tuttavia, che il terzo comma dell’art. 66 disp. att. c.c. laconicamente fissa in “almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza”, va considerato non già come termine in giorni c.d. liberi ma come termine ordinario ai sensi degli artt. 2963 c.c. e 155 c.p.c.

Poiché, dunque, nell’applicazione della disciplina di cui all’art. 66, comma 3, disp. att. c.c. non va conteggiato il giorno iniziale (e, dunque, quello dello svolgimento della riunione in prima convocazione), dovendosi al contrario computare quello finale (cioè quello della ricezione dell’avviso), è corretta in diritto l’affermazione della Corte d’appello di Bari secondo cui, a fronte di riunione dell’assemblea fissata in prima convocazione per il 3 aprile 2006, risultava tempestivo l’avviso ricevuto dal condomino essendo pervenuta al condomino in data 29 marzo 2006.

In conclusione, dunque, nel calcolo del termine di cui al terzo comma dell’art. 66 disp. att. c.c., non va conteggiato il “dies ad quem” (e, cioè, quello di svolgimento della riunione medesima), che assume il valore di capo o punto fermo iniziale, mentre va incluso il “dies a quo” (coincidente con la data di ricevimento dell’avviso), quale capo o punto fermo finale, secondo la regola generale fisata negli artt. 155, comma 1, c.p.c. e 2963 c.c.

1.1 A tal proposito, particolarmente rilevante appare il presupposto logico-giuridico del ragionamento degli Ermellini, sul quale è correttamente fondata l’intera pronuncia che si commenta, e cioè il regime di eccezionalità dei termini c.d. liberi.

In altre parole, la Suprema Corte non si discosta dai suoi consolidati precedenti, confermando il condivisibile principio secondo cui, in tema di computo dei termini sia processuali che sostanziali, qualora la legge non preveda espressamente che si tratti di un termine libero, opera il criterio generale di cui agli artt. 155 c.p.c. e 2963 c.c., secondo il quale non devono essere conteggiati i giorni e l’ora iniziali computandosi invece quelli finali (vd. Corte di Cassazione, S.S. U.U., sentenza 1.02.2012, n. 1418).

Orbene, dal momento che nulla dispone l’art. 66, comma 3, disp. att. c.c. sulla natura del termine de quo, il medesimo dovrà certamente ritenersi come non libero.

Per tali ragioni e riprendendo le mosse dal caso attenzionato dagli Ermellini, un avviso di convocazione dell’assemblea inviato in data 29 marzo non può essere considerato tardivo se il consesso condominiale sia effettivamente svolto a partire dal 3 aprile.

  1. Anche il secondo motivo di ricorso è dichiarato inammissibile.

Nel rigettare le doglianze del ricorrente, che lamentava la mancata indicazione, nel verbale della riunione, del numero degli intervenuti, del sopraggiungere di alcuni condomini durante l’assemblea, e del raggiungimento dei quorum necessari, il Supremo Collegio evidenzia che il ricorrente non ha allegato al ricorso critiche sufficientemente specifiche alle argomentazioni decisorie su cui poggia la sentenza della Corte d’Appello del capoluogo pugliese, né ha indicato in modo analitico il contenuto del verbale della delibera impugnata, limitandosi a contrapporre una sibillina ricostruzione dei fatti.

La Corte di Cassazione rammenta, a tal proposito, che il verbale di un’assemblea condominiale ha natura di scrittura privata, sicché il valore di prova legale del verbale di assemblea condominiale, munito di sottoscrizione del presidente e del segretario, è limitato alla provenienza delle dichiarazioni dai sottoscrittori e non si estende al contenuto della scrittura.

Conseguentemente, al fine di adire l’autorità giudiziaria perché effettui un sindacato sulla veridicità di quanto risulta dal verbale, non occorre che sia proposta querela di falso, potendosi più semplicemente dar prova nel medesimo giudizio di impugnazione, mediante l’impiego di ogni mezzo probatorio ritenuto necessario, della carenza di veridicità del contenuto della delibera.

Incombe, tuttavia, sul condomino che dia avvio al procedimento l’onere di sovvertire la presunzione di verità di quanto risulta dal relativo verbale.

Conseguentemente, sempre sul condomino incombe l’onere di redigere il ricorso in modo tale che siano facilmente evincibili a) i punti del verbale di cui si intende contestare la veridicità e b) i mezzi istruttori ritenuti utili a sovvertire la presunzione di verità risultante dal verbale stesso.

Mancando questi fondamentali elementi, il giudice non avrebbe modo di effettuare un vaglio completo sul contenuto della delibera impugnata e dovrebbe perciò rigettare le pretese attoree (nel caso di specie, il medesimo procedimento logico, condiviso dal Supremo Collegio, era stato seguito dalla Corte d’Appello del capoluogo pugliese).

In conclusione, la sentenza in commento può certamente ritenersi corretta in diritto nonché utile a chiarire, qualora ve ne fosse ancora bisogno, la natura non libera dei termini di cui all’art. 66, comma 3, disp. att. c.c. e la necessaria completezza del ricorso con cui ci si dolga del contenuto di una delibera assembleare.

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