Negato il diritto di prelazione del conduttore in caso di vendita di una quota del bene locato
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, sez. 3, 7 luglio 2020, n. 17992, Presidente Scoditti, Estensore Dell’Utri
“La comunicazione del locatore al conduttore dell’intenzione di vendere l’immobile locato per uso non abitativo – cosiddetta denuntiatio, prevista dall’art. 38 della legge 27 luglio 1978 n. 392 – è atto dovuto non negoziale, vòlto a consentire l’esercizio del diritto di prelazione purché però sussistano già i presupposti per la sua esistenza; perciò in carenza di questi è inefficace l’adesione del conduttore alla suddetta denuntiatio.”
1. Illustrazione del caso affrontato dalla Suprema Corte e problematiche sottese
I Sig.ri A.M e G., proprietari di una quota pari ad un terzo di un’area, interamente concessa in locazione ad uso non abitativo alla U. s.r.l., ottenevano dalla Corte d’Appello di Palermo una sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c., con cui veniva ordinato il trasferimento della proprietà di tale quota in favore della società conduttrice, con contestuale condanna della s.r.l. al pagamento del prezzo dovuto in favore degli appellanti.
Il fondamento della decisione della Corte territoriale si rinveniva nell’offerta di vendita della quota indivisa (anziché dell’intero) fatta dai proprietari della quota, sul presupposto del diritto di prelazione spettante all’U. s.r.l. ai sensi dell’art. 38 della legge n. 392/78, a cui era conseguita la manifestazione di adesione alla proposta da parte della società; la Corte palermitana aveva ritenuto che la mancata coincidenza tra il bene immobile condotto in locazione (nella sua interezza) dalla U s.r.l. e quello offerto in prelazione dalle controparti (limitato a una sola quota indivisa dello stesso bene) non avesse in alcun modo impedito l’effettivo incontro della volontà negoziale delle parti.
Avverso la sentenza aveva proposto ricorso per cassazione la U. s.r.l., lamentando la violazione degli artt. 38 e 39 della legge n. 392/78 e degli artt. 1326, 1362 e 1366 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che la denuntiatio comunicata dai comproprietari al conduttore ai fini dell’esercizio della prelazione legale di cui all’art. 38 della citata legge equivalesse, sul piano dell’efficacia giuridica, a un’ordinaria proposta contrattuale, con la conseguente erronea affermazione dell’avvenuto valido ed efficace incontro della volontà delle parti ai fini del trasferimento della sola quota dell’immobile condotto in locazione (nella sua interezza) dalla società avversaria.
La Corte di Cassazione riteneva fondato ed assorbente il predetto motivo di censura della sentenza di appello ed accoglieva il ricorso della società, cassando la decisione del giudice territoriale e ritenendo non esercitabile la prelazione in favore del conduttore, in caso di vendita della quota in quanto oggetto della vendita un bene diverso dalle singole unità che lo compongono.
2. Il diritto di prelazione legale
Nell’addivenire alla soluzione sopra richiamata, la suprema corte ha richiamato in particolare due orientamenti consolidati della giurisprudenza di legittimità:
- il primo riguarda il ruolo rivestito dall’istituto della denuntiatio nell’ambito della prelazione urbana ed in particolare il quesito se essa costituisca o meno una proposta contrattuale, in modo da stabilire se la relativa accettazione determini o meno la conclusione del contratto;
- il secondo attiene all’insorgenza del diritto di prelazione in capo al conduttore in caso di vendita a terzi di una quota (e non dell’intero) dell’immobile locato.
Per quanto concerne la prima questione, in via preliminare, la sentenza fornisce una univoca definizione dell’istituto della denuntiatio così come previsto dall’art. 38 della legge 27 luglio 1978 n. 392, e lo fa riportando l’insegnamento ampiamente condiviso e ribadito dalla Cassazione secondo cui “la comunicazione del locatore al conduttore dell’intenzione di vendere l’immobile locato per uso non abitativo sia un atto dovuto non negoziale, volto a consentire l’esercizio del diritto di prelazione purché però sussistano già i presupposti per la sua esistenza; perciò in carenza di questi è inefficace l’adesione del conduttore alla suddetta denuntiatio”[1]. In questi termini, la prelazione viene definita come legale, essendo appunto prevista e disciplinata dalla legge; essa nasce tra persone legate da un preesistente rapporto giuridico e, salvo rare eccezioni, ha come oggetto l’acquisto della proprietà di una cosa determinata da parte di un altro soggetto che ha un diritto o un interesse su di essa.[2]
Per quanto concerne nello specifico la natura di questo istituto nella prelazione urbana e gli effetti della dichiarazione di esercizio della prelazione fatta dal conduttore, la Corte accenna ad un protratto contrasto giurisprudenziale che talvolta le aveva attribuito natura di proposta contrattuale, talaltra gliela aveva negata, per poi da ultimo raggiungere una composizione ad opera dell’intervento delle Sezioni Unite, con la sent. 4 dicembre 1989 n. 5359.
3. I precedenti della giurisprudenza di legittimità, prima dell’approdo delle Sezioni Unite.
Prima di illustrare la predetta pronuncia delle SU che poneva fine ai dubbi interpretativi, restituendo ai giudici di merito un’interpretazione univocamente orientata (del cui contenuto a breve si darà contezza), si vuole in questa sede riportare qualche esempio della giurisprudenza di legittimità anteriore in merito alla natura che veniva riconosciuta in capo all’istituto di cui è commento.
Si veda ad esempio la massima redazionale in cui si stabiliva che “Il patto di prelazione, col quale taluno prometta ad altri di dargli la preferenza, nell’ipotesi che decida di vendere una determinata cosa, integra gli estremi di un contratto preliminare e, se riguarda un immobile, deve essere redatto per iscritto. Identicamente, la comunicazione (cosiddetta denuntiatio) che il titolare del diritto di prelazione deve ricevere dalla controparte – che decida di vendere la cosa – ove si tratti di una compravendita immobiliare, deve essere fatta per iscritto a pena di nullità.”[3] Emerge con evidenza la natura di offerta o proposta contrattuale attribuita alla denuntiatio, derivata dal riconoscimento della natura di contratto preliminare al patto di prelazione, nella misura in cui questo impegna alla conclusione di un contratto definitivo. La dottrina, tra l’altro, aveva più specificamente qualificato il patto di prelazione in termini di contratto preliminare unilaterale, perché impegnerebbe solo il promittente, mentre l’altra parte rimarrebbe libera di valersi della preferenza oppure no; infine, identificava tale contratto come sottoposto a condizione sospensiva, in quanto il promittente non sarebbe impegnato senz’altro a concludere il contratto definitivo: solo nel caso in cui decidesse di stipulare il contratto al quale la prelazione si riferisce, l’impegno di preferenza diventerebbe operativo.[4]
Parimenti, un’altra massima, nel richiedere per la denuntiatio di una vendita immobiliare la forma scritta a pena di nullità e nell’attribuirgli contenuto negoziale, la faceva assurgere a proposta contrattuale “Il titolare di un diritto di prelazione deve ricevere dalla controparte, al fine di poter esercitare il diritto medesimo, una comunicazione diretta e specifica (la cosiddetta denuntiatio), per la quale occorre la stessa forma che la legge prescrive per il contratto cui la prelazione si riferisce. Pertanto, la comunicazione della vendita di un immobile al titolare del relativo diritto di prelazione – la quale ha un contenuto negoziale, poiché esprime la determinazione, di colui che è tenuto ad effettuarla, di vendere il bene per il prezzo ed alle condizioni in essa indicati – deve essere fatta per iscritto a pena di nullità.”[5] Ed ancor più palese in questo senso appare essere la sentenza della Suprema Corte in cui si stabiliva “Ai fini della validità della denuntiatio, attraverso la quale il prelazionario viene posto nelle condizioni di esercitare la prelazione, non è sufficiente la mera comunicazione del promittente di voler vendere, ma è necessaria la comunicazione puntuale dei termini relativi al contratto che si vuole concludere col terzo, ossia di una proposta conforme alle condizioni richieste dall’art. 1325 c.c., atteso che l’accettazione di tale proposta costituisce l’esercizio della prelazione da parte del promissario”[6].
4. La soluzione delle Sezioni Unite, 4 dicembre 1989 n. 5359.
Viceversa, la sopraccitata sentenza a Sezioni Unite, risolutiva dei contrasti giurisprudenziali, dopo aver approfondito l’esame dell’istituto della prelazione legale urbana così come disciplinato dalla legge n. 392 del 1987, affermava i seguenti principi nomofilattici, a chiarimento della natura della denuntiatio:[7]
a) la denuntiatio non costituisce proposta contrattuale e neppure mera informativa di generici intenti destinata ad avviare trattative tra le parti;
b) la stessa costituisce atto dovuto di interpello, vincolato nella forma e nel contenuto, finalizzato all’esercizio del diritto di prelazione spettante al conduttore;
c) la dichiarazione di prelazione da parte dell’avente diritto non costituisce accettazione negoziale e non comporta comunque l’immediato acquisto della proprietà dell’immobile, ma soltanto vincolo legale per entrambe le parti di addivenire – entro un precisato termine – alla stipula del previsto contratto, con contestuale pagamento del prezzo da parte del conduttore.
A fronte di un siffatto orientamento, la denuntiatio nella prelazione urbana viene ad assumere la veste di un adempimento di un obbligo imposto dalla legge[8], priva pertanto di contenuto negoziale e incapace di vincolare il promettente ed il promissorio al contenuto della stessa. L’unico effetto che può produrre è quello di consolidare il vincolo legale delle parti ad addivenire al futuro contratto di compravendita, ma ciò sempre a condizione che sussista in capo alla parte conduttrice il diritto di prelazione.
Da quest’ultima affermazione si possono ora prendere le mosse per analizzare la seconda questione risolta dalla Suprema Corte nella summenzionata sentenza, ovvero l’effettiva insorgenza di un diritto di prelazione in capo al conduttore di un’immobile quando l’offerta di vendita inerisca ad una quota soltanto della proprietà dell’immobile. Infatti, chiarisce la Corte, solo il ricorrere dei presupposti per l’esercizio del diritto di prelazione può consentire all’atto di interpello di valere ad avviare un valido procedimento contrattuale. Ebbene, tale diritto di prelazione può sorgere solo nella circostanza in cui vi sia identità del bene oggetto della relazione negoziale intercorsa tra le parti. Nello specifico, si riporta il consolidato insegnamento della Corte di Cassazione che, in tema di locazione di immobili urbani ad uso non abitativo, afferma “in caso di vendita a terzi della quota di proprietà comprendente l’immobile locato non spetta al conduttore il diritto di prelazione e di riscatto di cui agli artt. 38 e 39 della legge n. 392 del 1978, mancando l’imprescindibile presupposto dell’identità dell’immobile locato con quello venduto”.[9]
Al fine di chiarire ancor meglio quest’ultimo punto, di seguito si riporta un’altra casistica, differente, ma speculare, in cui è escluso il configurarsi del diritto di prelazione: trattasi del caso della vendita in blocco dell’edificio.
Ai fini dell’operatività della prelazione, in buona sostanza, bisogna valutare se ciò che il locatore intende alienare possa o meno identificarsi pienamente con l’oggetto del contratto di locazione, ovvero se esso rappresenti un’entità complessiva diversa con sue autonome caratteristiche. Poiché la normativa consente la prelazione solamente con riferimento all’oggetto specifico della locazione deve, allora, ritenersi escluso il diritto di prelazione quando insieme all’unità immobiliare oggetto del contratto locatizio vengano vendute anche altre unità immobiliari, nel contesto di un’operazione contrattuale unitaria, e a fronte di un unico corrispettivo.[10]
Quanto osservato è confermato dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha messo in luce come i diritti di prelazione “non sussistono in favore del conduttore di un immobile urbano adibito a uso diverso da quello di abitazione, qualora l’alienazione a terzi riguardi, alternativamente, o l’intero edificio nel quale si trova l’immobile locato o una parte dello stabile medesimo costituente un complesso unitario, con individualità propria diversa da quella della singola unità locata.”[11].
La pronuncia è coerente con l’assunto per cui, nel caso di vendita in blocco dell’intero edificio nel quale si trova l’immobile locato, la prelazione non opera in favore del conduttore poiché, essendo oggetto della vendita un bene diverso dalle singole unità che lo compongono, non si configura il presupposto fondamentale per l’esercizio del diritto di prelazione consistente nell’identità dell’immobile locato con quello oggetto del trasferimento.
Ad analoga conclusione si perviene se oggetto della vendita risulta essere una quota soltanto dell’immobile locato, anziché l’intero, come è avvenuto nel caso di specie qui in commento e pertanto appare condivisibile e coerente quanto da tempo affermato dalla Cassazione e che costituisce ancora oggi valido precedente.
[1] Sez. 3, Sentenza n. 504 del 15/01/2001; Sez. 3, Sentenza n. 9881 del 12/11/1996; Sez. 3, Sentenza n. 1909 del 22/02/1991.
[2] Il patto di prelazione a cura di Culot Elena, Biarella Laura
[3] Cass., sez. 3, n.1445/1980
[4] Il patto di prelazione a cura di Culot Elena, Biarella Laura
[5] Cass., sez. 2, n. 2553/1980
[6] Cass., sez. 1, n. 1407/1981
[7] Sezioni Unite, sent. 4 dicembre 1989 n. 5359
[8] Art. 38, comma 1, L. 392/1978: “Nel caso in cui il locatore intenda trasferire a titolo oneroso l’immobile locato, deve darne comunicazione al conduttore con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario.”
[9] Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10431 del 21/10/1998
[10] Vendita in blocco dell’edificio e prelazione del conduttore – SINTESI E APPROFONDIMENTO in Ventiquattrore Avvocato, 1 dicembre 2012, n. 12, p. 11, di Cusmai Raffaele, Maglio Dario.
[11] Cass. civ. 19 aprile 2010, n. 9258; Cass. civ., Sez. III, 31 maggio 2010, n. 13223