9 Dicembre 2020

Il mutamento dei quorum deliberativi di una S.p.A. non sempre legittima il recesso del socio

di Dario Zanotti, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ. Sez. I, sentenza del 1° giugno 2017, n. 13875.

Parole chiave: Società – Recesso del socio – quorum

Massima: “In tema di recesso dalle società di capitali, la delibera assembleare che muti il ‘quorum’ per le assemblee straordinarie, riconducendolo a previsione legale, non giustifica il diritto del socio al recesso ex art. 2437, lett. g), c.c., perché l’interesse della società alla conservazione del capitale sociale prevale sull’eventuale pregiudizio di fatto subito dal socio, che non vede inciso, né direttamente né indirettamente, il suo diritto di partecipazione agli utili ed il suo diritto di voto a causa del mutamento del ‘quorum’.”

Disposizioni applicate: artt. 2368, 2369, 2437 c.c.

La vicenda in esame vede coinvolti una S.p.A. e tre soci della stessa società, i quali ritengono che il proprio recesso dalla società sia legittimo. I soci, infatti, hanno esercitato il proprio diritto di recesso in conseguenza di una delibera con la quale la S.p.A. si è dotata di un nuovo statuto che, anziché prevedere che sia in prima che in seconda convocazione l’assemblea ordinaria e straordinaria deliberassero rispettivamente con la maggioranza del capitale e con quella dei due terzi (maggioranze più stringenti rispetto ai criteri di legge), ha previsto invece per l’assemblea ordinaria e straordinaria un adeguamento ai quorum deliberativi conformi alle previsioni degli artt. 2368 e 2369 c.c. – vale a dire la maggioranza assoluta del capitale per l’assemblea ordinaria e più della metà per quella straordinaria. Nella sostanza, perciò, il peso dei voti dei soci recedenti è stato ridotto dalla delibera in questione.

Nel corso dei giudizi di merito, sulla questione della legittimità del recesso dei soci per mutamento dei quorum deliberativi ai limiti di legge, è stato da ultimo deciso in secondo grado che, siccome nelle società per azioni l’esercizio del diritto di recesso produce un depauperamento del capitale sociale e costituisce fatto negativo anche per i creditori sociali, si devono ritenere tassative le ipotesi di recesso e interpretare in maniera restrittiva l’art. 2437 c.c.. La giusta causa di recesso di cui all’art. 2437 lett. g c.c. – che riconosce il diritto di recedere ai soci di società per azioni i quali non abbiano concorso alla formazione di deliberazioni riguardanti, tra l’altro, “le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione” – si riferirebbe al voto statutariamente attribuito a ciascuna azione, e, dunque, il mutamento del quorum deliberativo in assemblea, che attiene alla formazione della maggioranza, inciderebbe solo indirettamente sul diritto di voto. Di conseguenza, una delibera che, come quella in esame, abbia mutato solo il quorum deliberativo, non legittimerebbe il recesso.

Nel giudizio di legittimità, che qui interessa, i soci ricorrenti hanno lamentato che la Corte d’appello avrebbe errato nell’affermare l’esigenza di interpretare restrittivamente l’art. 2437 lett. g c.c. in funzione dell’esigenza di tutelare il capitale sociale e i creditori sociali. Tuttavia, la Suprema Corte ha ritenuto che, nonostante qualche doverosa correzione rispetto all’orientamento della Corte d’appello, il ricorso dei soci dovesse essere respinto.

La Cassazione, inquadrando l’art. 2437 c.c., riformato nel 2003, alla luce della legge delega della riforma (l. 3 ottobre 2001, n. 366), evidenzia come la norma in esame abbia lo scopo di introdurre la possibilità di prevedere nello statuto ulteriori fattispecie di recesso a tutela dei soci dissenzienti, nell’ottica tuttavia di salvaguardare il principio della tutela dell’integrità del capitale sociale e gli interessi dei creditori sociali, finalità che la riforma del 2003 attuerebbe. Con ciò, quindi, non sarebbe più attuale il previgente orientamento (anche di legittimità) che leggeva sempre in maniera necessariamente restrittiva l’art. 2347 c.c. (in proposito, la Suprema Corte cita Cass. 28 ottobre 1980, n. 5790). In effetti, la Cassazione ha altresì rilevato come in dottrina si sia sviluppata una corrente che auspicherebbe una lettura estensiva della norma in parola.

Ciò premesso, il giudice di legittimità ha precisato che l’espressione ‘diritti di voto’ contenuta nell’art. 2347 rinvia al precetto di cui all’art. 2351 c.c., secondo il quale ogni azione attribuisce il diritto di voto, con le eventuali limitazioni previste. Pertanto, per ‘modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto’ si intenderebbero anzitutto quelle modifiche che intervengono su tali limitazioni. Dunque, le modificazioni dei quorum non mutano eventuali limitazioni ai diritti di voto nel loro assetto statutario, ma ne cambiano solo il peso.

Nel caso di specie, dunque, si sarebbe verificata semmai, a parere della Suprema Corte, una semplice modifica negativa del peso delle azioni dei soci fuoriusciti dalla compagine sociale, senza mutamento nemmeno indiretto del diritto di voto in sé considerato. Nel sistema dell’art. 2437 c.c., d’altra parte, il sorgere del diritto di recesso non è affatto collegato ad un qualsiasi deterioramento della posizione del socio.

Infatti, affinché il recesso del socio sia giustificato ai sensi dell’art. 2437 c.c., occorre che la delibera vada a toccare direttamente, o indirettamente, il diritto di voto, non includendovi qualsiasi atto che genericamente possa nuocere al voto del socio. Inoltre, la Cassazione intende sottolineare come la modifica avvenuta nel caso di specie potesse essere persino prevedibile da parte dei soci, in quanto non avrebbe fatto altro che riportare nei limiti di legge (pur peggiorativi per la specifica situazione soggettiva dei ricorrenti) i quorum deliberativi.

Di conseguenza, quanto meno nel caso di specie, una delibera che modifichi i soli quorum dell’assemblea ordinaria e straordinaria di una S.p.A. non costituisce giusta causa di recesso ai sensi dell’art. 2347 lett. g) c.c.