In memoria della pubblica udienza in Cassazione
di Andrea Giordano Scarica in PDFCass. civ, sez. VI, 2 marzo 2017, n. 5374
Giudizio di Cassazione – novella sul rito camerale – violazione dei principi eurounitari in materia di “giusto processo” – esclusione.
(C.p.c. art. 380- bis)
La novella sul rito camerale in Cassazione è compatibile con i principi eurounitari in materia di “giusto processo”.
CASO
Con avviso di accertamento, l’Agenzia delle entrate recuperava a tassazione gli importi corrispondenti ad IRES, IRAP e ad altri tributi dovuti in relazione all’anno di imposta 2007.
All’esito di ricorso del contribuente, si pronunciava, con sentenza di rigetto, l’adita Commissione tributaria provinciale; avendo il soccombente interposto gravame, la competente Commissione tributaria regionale confermava la decisione delle prime cure, operando – a proprio avviso – presunzioni gravi, precise e concordanti tali da indurre a ritenere il contribuente amministratore di fatto della società cui era stato rettificato il reddito di impresa.
Ricorreva per cassazione il contribuente; depositava, quindi, memoria con la quale formulava istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, in ragione della ritenuta incompatibilità della novella sul rito camerale in Cassazione con i principi eurounitari in tema di “giusto” o “equo” processo.
SOLUZIONE
Nel confermare la sentenza della Commissione tributaria regionale, per avere quest’ultima fatto buon governo dei principi in tema di valutazione del materiale indiziario, la sezione sesta della Corte di cassazione ha pregiudizialmente ritenuto infondata l’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.
QUESTIONI
La l. 25 ottobre 2016, n. 197, che ha eretto a regola il procedimento camerale in Cassazione, sottenderebbe – secondo la Corte – le «pressanti esigenze di semplificazione, snellimento e deflazione del contenzioso» imposte dai principi di «ragionevole durata del processo» e di «effettività della tutela giurisdizionale» di cui agli artt. 111 Cost. e 6 Cedu.
Nell’ottica del bilanciamento tra l’imperativo della speditezza ed il diritto alla difesa, la pubblicità delle udienze potrebbe essere – ad avviso del Giudice di legittimità – surrogata dalla facoltà delle parti di presentare memorie per illustrare le rispettive ragioni sia in relazione alle difese dei contraddittori sia alla proposta del relatore sulla sussistenza di una delle ipotesi di trattazione camerale (nello stesso senso, v. Cass. civ., sez. VI, ord. 10 gennaio 2017, n. 395 e Id., ord. 22 febbraio 2017, n. 4541, entrambe in www.dejure.it; in termini sostanzialmente coincidenti: G. Amoroso, La cameralizzazione non partecipata del giudizio civile di cassazione: compatibilità costituzionale e conformità alla Cedu, in D. Dalfino (a cura di), Il nuovo procedimento di Cassazione, Torino, 2017, 55 e ss.; contra, ad es., A. Carratta, Le più recenti riforme del processo civile, Torino, 2017, spec. 13 e ss., D. Dalfino, Il nuovo volto del procedimento in Cassazione, nell’ultimo intervento normativo e nei protocolli d’intesa, ivi, 1 e ss., G. Costantino, Note sulle misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di cassazione, ivi, 9 e ss., G. Scarselli, In difesa della pubblica udienza in Cassazione, ivi, 45 e ss., F. Cossignani, La sommarizzazione del giudizio dinanzi alla Corte di cassazione, in Eclegal, 13.12.2016).
Neppure verrebbe inciso il diritto alla difesa dall’avvenuta sostituzione della relazione del consigliere relatore, comprensiva della concisa esposizione delle ragioni, con la mera proposta contemplata dalla novella.
Ora, se è senz’altro vero che non esiste un astratto paradigma di processo conforme ai principi costituzionali ed eurounitari e che la pubblica udienza non è un dogma neanche secondo la giurisprudenza della Corte Edu (della quale il Supremo Collegio richiama, tuttavia, una sentenza – Corte Edu, 21 giugno 2016, Tato Marinho c. Portogallo – che non tratta invero la questione in discorso), è necessario chiedersi se le deroghe introdotte dalla l. n. 197 siano, effettivamente, suffragate dalle “particolari ragioni giustificative” “obiettive e razionali” che la stessa sesta sezione ricorda.
Ed il beneficio del dubbio è d’uopo averlo ove si riscontri, come, per espressa previsione dell’art. 375, u.c., c.p.c. la Corte si pronunci sempre, a sezione semplice, in camera di consiglio, ad eccezione delle circoscritte ipotesi in cui la trattazione in pubblica udienza sia resa opportuna dalla “particolare rilevanza” della questione in diritto oppure in quelle in cui l’apposita sezione muti, all’esito dell’adunanza, avviso rispetto alla valutazione iniziale della sezione sesta, ritenendo che non sussistano i presupposti per la decisione ai sensi dei nn. 1 e 5 dell’art. 375 c.p.c. (adde, come dovrebbe ritenersi, i casi in cui il collegio riconosca, all’esito dell’adunanza, la particolare rilevanza della questione in diritto – contra, tuttavia, Cass. civ., sez. I, 4 aprile 2017, n. 8869, in Eclegal, 20.6.2017, con nota di G. Chiappiniello –, oltre all’ipotesi in cui sia stato proposto ricorso per revocazione e lo stesso abbia superato il preliminare vaglio di ammissibilità).
Analoghe riserve dovrebbero sussistere ove alla “derubricazione” della pubblica udienza si combini la neointrodotta surroga della relazione del consigliere relatore con la mera proposta.
Il discrimen tra pubblica udienza e trattazione camerale dipende dalle discrezionali valutazioni dello stesso Giudice avanti al quale si celebra il processo; la concisa esposizione delle ragioni alla base delle riscontrate inammissibilità o manifesta fondatezza/infondatezza non ha più cittadinanza; le parti subiscono la proposta del relatore, dovendo difendersi per iscritto e ‘al buio’, senza sapere il perché dell’inammissibilità o della manifesta fondatezza/infondatezza (l’art. 5 del “Protocollo d’intesa tra la Corte di cassazione, il Consiglio nazionale forense e l’Avvocatura generale dello Stato sull’applicazione del nuovo rito civile – d.l. 168/16, convertito in l. 197/16 – Roma, 15 dicembre 2016”, che richiederebbe comunque la pur generica indicazione delle causali, non trova, infatti, sempre puntuale applicazione nella prima prassi: non sono infrequenti le proposte senza lo ‘sbarramento’ della casella inerente alla specifica ipotesi di trattazione camerale e/o l’indicazione dei precedenti rilevanti).
Ebbene, se gli artt. 6 Cedu e 111 Cost. concorrono a formare – anche in relazione al contenzioso tributario (così, ad es., A. Poddighe, Giusto processo e processo tributario, Milano, 2010, 162; contra: Corte Edu, 12 luglio 2001, Ferrazzini c. Italia) – un unico modello di giudizio ‘dovuto’ (la Cedu è, del resto, ‘fonte interposta’ – C. Cost., 12 ottobre 2012, n. 230, in Giur. cost., 2012, 3440), è difficile ritenere che sia, con lo stesso, compatibile la novellata fisionomia del giudizio di legittimità.
Come la riserva di legge osta a discrezionali valutazioni del giudicante (A. Proto Pisani, Il nuovo art. 111 Cost. e il giusto processo civile, in Foro it., 2000, 241; L. Lanfranchi, voce Giusto processo, 1) processo civile, in Enc. giur. Treccani, 2001, 9), così l’indipendenza implica la soggezione alla legge, e alla legge soltanto (F. G. Scoca, I principi del giusto processo, in Id. (a cura di), Giustizia amministrativa, Torino, 2009, 158); la ‘ragionevole durata’ ex art. 111 Cost. o il ‘termine ragionevole’ ex art. 6 Cedu non è sinonimo di astratta brevità dei tempi, ma di brevità compatibile con le esigenze difensive (quella «effettività della tutela giurisdizionale» che la stessa pronuncia che si annota, nelle premesse, richiama); alla pubblica udienza si può derogare solo per eccezionali, oggettive, ragioni (Corte Edu, 23 novembre 2006, Jussila c. Finlandia; analogamente: Cass. civ., 16 marzo 2012, n. 4268, in Foro it., Rep. 2012, voce Cassazione civile, n. 169), e non per soggettive valutazioni erette a generale regola di giudizio.
E se è, poi, vero che la civiltà di un ordinamento dipende dalla larghezza con cui fa luogo alle opposte ragioni (G. Calogero, Principio del dialogo e diritti dell’individuo, in Raccolta di scritti in onore di A. C. Jemolo, IV, Milano, 1963), concreto è il rischio che, con un tratto di pena, sia stato leso non solo il diritto alla difesa delle parti, ma la stessa funzione nomofilattica che avrebbe, da quelle “opposte ragioni”, tratto linfa.