21 Maggio 2019

Mediazione, rappresentanza della parte e condizione di procedibilità. Luci ed ombre della prima pronuncia della Cassazione sul punto

di Franco Stefanelli, Avvocato Scarica in PDF

Cass., Sez. III, Sent., ud. 6 febbraio 2019, 27 marzo 2019, n. 8473, Pres. Amendola – Rel. Rubino

[1] Mediazione obbligatoria – Comparizione personale – Procura sostanziale all’avvocato – Rappresentante sostanziale (cod. proc. civ., artt. 83 e 185; d.lgs. n. 28/2010, artt. 5 e 8)

[1] Nel procedimento di mediazione obbligatoria ex D.lgs. n. 28/2010, è necessaria la comparizione personale delle parti davanti al mediatore, assistite dal difensore; nella comparizione obbligatoria, la parte può anche farsi sostituire da un proprio rappresentante sostanziale, eventualmente nella persona dello stesso difensore che l’assiste nel procedimento di mediazione, purché dotato di apposita procura sostanziale.

[2] Mediazione obbligatoria – Condizione di procedibilità – Indisponibilità alla prosecuzione della mediazione (d.lgs. n. 28/2010, art. 8)

[2] In materia di mediazione obbligatoria, la condizione di procedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore, dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre.

CASO

Nel 2016, G.E.E. S.r.l. depositò dinanzi al Tribunale ricorso ex art. 447-bis c.p.c., rappresentando di aver concesso in locazione un’unità immobiliare a E. S.r.l. e chiedendo la risoluzione del contratto per mancata prestazione del deposito cauzionale, il rilascio dell’immobile e la condanna della controparte alle spese del giudizio. E. S.r.l. si costituì in giudizio, eccependo l’avvenuta costituzione, benché soltanto in corso di causa, del deposito cauzionale e l’improcedibilità della domanda per mancato previo esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione previsto dal d.lgs. n. 28/2010 e successive modifiche.

Il Giudice assegnò alle parti il termine di quindici giorni per l’avvio della procedura di mediazione ai sensi dell’art. 5 d.lgs. n. 28/2010, con conseguente differimento dell’udienza di discussione.

[1] [2] G.E.E. S.r.l. avviava la procedura di mediazione; al primo incontro fissato dall’Organismo di Mediazione, parteciparono solamente i procuratori delle parti, chiedendo un breve rinvio e, successivamente, questi comunicavano telefonicamente al mediatore l’impossibilità delle parti di raggiungere un accordo stragiudiziale. Il secondo incontro non ebbe mai luogo (né si fa riferimento, nel ricorso introduttivo o nella sentenza di primo grado, all’esistenza di un verbale di mancata conciliazione).

Alla successiva udienza il difensore di E. S.r.l. eccepì nuovamente l’improcedibilità della domanda promossa dalla ricorrente, sul rilievo che nel procedimento di mediazione non fossero comparse le parti personalmente ma solo i difensori, eccezione alla quale G.E.E. S.r.l. si oppose.

In sede di precisazione delle conclusioni, G.E.E. S.r.l., stante l’avvenuta costituzione (benché tardiva) del deposito cauzionale ad opera della controparte, rinunciò alla domanda di risoluzione del contratto e insistette soltanto per ottenere la condanna di E. S.r.l. alla rifusione delle spese legali, liquidate in base al principio della soccombenza virtuale.

Il Tribunale dichiarò cessata la materia del contendere, rilevando, in rito, che non si fosse verificata la condizione di procedibilità della domanda di cui al d.lgs. n. 28/2010, art. 5, comma 1-bis, con conseguente improcedibilità della domanda attorea. Compensò per intero tra le parti le spese di lite, osservando che «entrambe le domande di parte si sono alfine rivelate inammissibili per ragioni di rito».

[1] Avverso la sentenza di prime cure, propose appello G.E.E. S.r.l., assumendo che la mediazione obbligatoria si fosse effettivamente svolta, avendo le parti legittimamente partecipato al procedimento di mediazione a mezzo dei rispettivi difensori (in particolare asserì che il difensore di G.E.E. S.r.l. fosse munito di una procura speciale, conferente tutti i poteri per definire e trattare questioni giudiziali e stragiudiziali, e che pertanto lo stesso fosse dotato di rappresentanza formale e sostanziale) e contestando il capo relativo alle spese. E. S.r.l. si costituì in giudizio.

La Corte di Appello, rigettò l’appello, condannando G.E.E. S.r.l. al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio.

[1] In particolare, il Giudice d’appello affermava che l’art. 8 d.lgs. n. 28/2010 prevede la presenza personale delle parti, assistite dal proprio difensore (in tal senso deponendo l’uso della congiunzione “e”, laddove si precisa che il mediatore «invita le parti e i loro avvocati»), atteso che nel primo incontro informativo il mediatore necessita di contatto diretto con le parti sostanziali, al fine di verificare la fattibilità dell’inizio della procedura di mediazione vera e propria; che pertanto, pur potendo la parte farsi rappresentare dal difensore, non sia sufficiente a tal fine una semplice procura speciale alle liti rilasciata ex art. 185 c.p.c., contenente i poteri di transigere e conciliare la lite, trattandosi di procura con valenza processuale e non sostanziale, essendo necessaria una procura speciale notarile che conferisca al difensore la rappresentanza sostanziale della parte; [2] che nel caso di specie, peraltro, a prescindere dalla partecipazione personale delle parti, dovesse ritenersi che la mediazione non fosse mai iniziata essendovi stato un primo incontro informativo e preliminare, senza discussione di alcuna questione relativa alla controversia, alla sola presenza degli avvocati, mentre all’incontro successivo, fissato per lo svolgimento della mediazione in senso stretto, nessuna delle parti si era presentata.

Avverso la sentenza della Corte di Appello, proponeva ricorso per Cassazione, con due motivi, G.E.E. S.r.l.; E. S.r.l. non svolgeva attività difensiva in sede di legittimità.

[1] Con il primo motivo, la ricorrente deduceva la violazione degli artt. 5 e 8 d.lgs. n. 28/2010 e successive modifiche, nonché degli artt. 185 e 83 c.p.c. Sosteneva che la Corte di Appello, soffermandosi sul solo elemento testuale, avesse stravolto la finalità del tentativo di mediazione previsto a pena di improcedibilità della domanda giudiziale dall’art. 8, d.lgs. n. 28/2010 e che tale articolo non preveda un obbligo di partecipazione personale delle parti al procedimento di mediazione al fine di potersi ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità, prevedendo solo che la parte debba essere idoneamente informata sulla possibilità, o necessità, a seconda dei casi, di ricorrere alla procedura di mediazione e sulle agevolazioni fiscali che ne derivano, e che possa consapevolmente scegliere di delegare tale adempimento al proprio avvocato.

Aggiungeva che se effettivamente la norma imponesse la presenza personale di entrambe le parti, il convenuto sarebbe arbitro di decidere se e quando consentire il perfezionamento della condizione di procedibilità, potendo lo stesso farsi rappresentare dal proprio difensore anziché presentarsi personalmente.

[2] Evidenziava ancora che, se la sanzione prevista per il comportamento più grave della mancata partecipazione senza giustificato motivo è, ai sensi dell’art. 8 d.lgs. n. 28/2010, la condanna al pagamento del contributo unificato e la possibilità per il Giudice di trarre argomenti di prova dal suddetto comportamento, non potrebbe essere sanzionata con la più grave pena dell’improcedibilità la condotta più lieve della mancata comparizione personale.

Deduceva che la Corte di Appello finiva per avallare la tesi da essa stessa respinta laddove affermava che al primo incontro erano comparsi i soli difensori, ma al contempo sosteneva che “le parti” dichiarano di voler procedere con la mediazione (ciò significando, infatti, che gli avvocati avessero agito in rappresentanza delle parti); e che non si capiva perché al primo incontro la procedura di mediazione avesse potuto prendere avvio senza la presenza materiale di G.E.E. S.r.l. ed E. S.r.l., ma al successivo incontro fosse necessaria la loro presenza per poter dare atto dell’esito negativo del procedimento ex d.lgs. n. 28/2010.

La ricorrente contestava, inoltre, l’individuazione della fonte normativa della procura rilasciata al proprio avvocato nell’art. 185 c.p.c. rubricato «Tentativo di conciliazione» anziché nell’art. 83 c.p.c. Lamentava, infine, che, seguendo la tesi ex adverso propugnata, la Corte di Appello avrebbe potuto disporre essa stessa, ai sensi dell’art. 5 d.lgs. n. 28/2010, l’esperimento della mediazione ex lege.

[1] Con il secondo motivo, deduceva, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo indicato nella procura speciale alle liti, il cui testo non riproduceva, ma che indicava come prodotta nel giudizio di cassazione come allegato al ricorso, al n. 5.

La ricorrente deduceva che il difensore di G.E.E. S.r.l., in virtù della procura speciale notarile rilasciata allo stesso e depositata in giudizio, avesse non solo ricevuto procura per rappresentare G.E.E. S.r.l. in giudizio, ma gli fossero stati conferiti tutti i poteri di disporre dei diritti materiali di G.E.E. S.r.l. oggetto della causa, anche nelle procedure stragiudiziali qual è quella di cui al d.lgs. n. 28/2010 e quindi che fosse non solo una procura processuale, ma contenesse anche il conferimento di poteri sostanziali e che, pertanto, l’avvocato, munito di una tale procura, fosse legittimato a sostituire la parte nel procedimento di mediazione obbligatoria.

Al terzo punto del ricorso, la ricorrente, ad evitare che sulla questione si formasse il giudicato, riproponeva, fidando nell’accoglimento dei due precedenti motivi, la domanda di condanna alle spese del giudizio di appello dell’avversaria, sulla base della soccombenza virtuale della stessa, con eventuale esame della stessa da parte del giudice del rinvio.

SOLUZIONE

[1] La Suprema Corte, complessivamente rigettando il ricorso, ha però affermato che, nel procedimento di mediazione obbligatoria disciplinato dal n. 28/2010 e successive modifiche, sia necessaria la comparizione personale delle parti davanti al mediatore, assistite dal difensore e che nella comparizione obbligatoria davanti al mediatore la parte possa anche farsi sostituire da un proprio rappresentante sostanziale, eventualmente nella persona dello stesso difensore che l’assista nel procedimento di mediazione, purché dotato di apposita procura sostanziale.

[2] La Corte di cassazione, inoltre, ha ritenuto che la condizione di procedibilità possa ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre.

QUESTIONI

Ad oltre tre anni dall’ultima rilevante pronuncia in tema di mediazione (Cass., Sez. III, Sent., ud. 7 ottobre 2015, 3 dicembre 2015, n. 24629, per cui, v. CIPRIANI, Il procedimento di mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in eclegal.it), la Suprema Corte torna ad occuparsi in maniera diretta e specifica di mediazione. Come era prevedibile, stante l’inusitato (per la materia giuridica) “tifo da stadio” che contraddistingue, da una parte, i fautori della mediazione e, dall’altra parte, i detrattori dell’istituto, appare farlo (rectius, viene interpretata, dai primi commenti subito successivi al deposito della motivazioni, come averlo fatto) in maniera divisiva: in realtà, un’esegesi più pacata e scevra da condizionamenti partigiani ed interessi faziosi consentirebbe di enucleare dalla pronuncia principi ed affermazioni, i quali correttamente inquadrano l’istituto in guisa non atomistica, ma come porzione del complessivo (e complesso) ordinamento processuale, così come di porre nella giusta luce la forse poco perspicua ed ambigua affermazione frettolosamente dimessa relativamente alla procura, che più di un incertezza potrebbe suscitare nell’operatore del diritto (in senso critico nei confronti della pronuncia, senza pretese di esaustività, tra i primissimi commenti si segnalano: ORLANDI C.G., La Cassazione n. 8473/2019: una rondine che speriamo non faccia primavera, intervento tenuto il 09.04.2019 presso il Centre dì études juridiques européennes et comparées de l’Università Paris X Nanterre; MORICONI, Prime osservazioni alla Sentenza della Corte di Cassazione nr. 8473/19 del 7.3.2019, in mondoadr.it; LUCARELLI, La sentenza della Corte di Cassazione 8473/2019: un raro esempio di uroboro, in judicium.it; DI MARCO, La Cassazione ha abrogato la c.d. mediazione giurisprudenziale?, in quotidianogiuridico.it; in senso adesivo, MAGRINI, Mediazione Civile: Finalmente una Cassazione! (8473 del 27 marzo 2019), in adrintesa.it; MOSCATELLI, La Cassazione censura l’orientamento della giurisprudenza di merito sulla c.d. mediazione effettiva, in professionegiustizia.it; COCOLA e ZACCHEO, Cassazione n. 8473/2019: la presenza personale delle parti, modi e forme di rappresentanza, conseguenze processuali e sanzioni per la parte che rifiuta di mediare, in lanuovaproceduracivile.com).

[1] La prima questione, che viene in rilievo nella pronuncia che si annota è costituita dalla vexata quaestio della comparazione personale delle parti davanti al mediatore. In aderenza al dettato normativo, caratteristica che – peraltro, a sommesso avviso di chi scrive, “correttamente” – informa la sentenza n. 8473/2019 nella sua integralità, la decisione riconosce che «la necessità della comparizione personale non comporta che si tratti di attività non delegabile. In mancanza di una previsione espressa in tal senso, e non avendo natura di atto strettamente personale, deve ritenersi che si tratti di attività delegabile ad altri». A tale riguardo, è stato osservato con efficacia che l’impianto normativo necessariamente conduce alla soluzione adottata dalla Suprema Corte, per via di una duplice e convergente indicazione legislativa: sia mediane l’assenza di una previsione in senso contrario alla delegabilità della comparizione personale in mediazione, sia mediante una disposizione, la quale in senso positivo prevede che «le parti hanno accesso alla procedura senza essere obbligate a ricorrere a un avvocato o consulente legale senza che la procedura precluda alle parti il loro diritto di ricorrere al parere di un soggetto indipendente o di essere rappresentate o assistite da terzi in qualsiasi fase della procedura» contenuta all’art. 8 lett. b) della Direttiva 2013/11/UE (Direttiva sull’ADR per i consumatori), la quale, stando al Considerando (19) «è destinata a essere applicata orizzontalmente a tutti i tipi di procedure ADR, comprese le procedure ADR contemplate dalla direttiva 2008/52/CE» (in tal senso, COCOLA e ZACCHEO, cit.).

Condivisibile, pertanto, appare l’approdo conseguito dalla pronuncia in commento, secondo cui le parti possono farsi rappresentare in mediazione.

Naturale corollario dell’approdo testé illustrato è che l’avvocato che assiste la parte in mediazione e/o nella lite, cui il procedimento di mediazione eventualmente afferisce, possa anch’egli rivestire il ruolo di delegato alla comparizione in mediazione. Possa e non necessariamente debba essere il delegato consente anche di affermare come sia altamente probabile e prevedibile che, in una gran parte di situazioni, sia proprio il predetto avvocato, in quanto soggetto che tendenzialmente, in ragione delle incombenze proprie dell’attività defensionale, conosce i fatti di cui si discute, ad essere individuato quale delegato alla comparazione in mediazione. Posizioni in senso contrario all’opportunità che sia il difensore stesso a partecipare in veste di delegato non sono infrequenti (e.g., ORLANDI C.G., cit.), ma al di là dell’assertività, tradiscono una sfiducia immotivata nel ruolo difensivo, che non considera come, nell’ordinamento complessivamente inteso, il difensore, a condizione che siano rispettate determinate formalità a garanzia dell’autenticità e dell’effettività delle delega, è sovente individuato quale procuratore speciale della parte (i casi più eclatanti ovviamente attengono alla disciplina processual penalistica: si pensi alla procura speciale al difensore, per la scelta di un rito alternativo).

Tale ultima considerazione consente di affrontare l’ulteriore aspetto, invero, eccessivamente valorizzato nei primi commenti alla sentenza oggetto della presente nota, circa la forma che dovrebbe rivestire la “procura speciale sostanziale” per la comparizione in mediazione, cui fanno riferimento le motivazioni della pronuncia (invero, lo si dice, a nostra volta incidentalmente, il passaggio pare più un obiter dictum, che una effettiva statuizione della Cassazione). Afferma testualmente la Suprema Corte: «Allo scopo di validamente delegare un terzo alla partecipazione alle attività di mediazione, la parte deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto […]. Quindi il potere di sostituire a sé stesso qualcun altro per la partecipazione alla mediazione può essere conferito con una procura speciale sostanziale.

Ne consegue che, sebbene la parte possa farsi sostituire dal difensore nel partecipare al procedimento di mediazione, in quanto ciò non è auspicato, ma non è neppure escluso dalla legge, non può conferire tale potere con la procura conferita al difensore e da questi autenticata, benché possa conferirgli con essa ogni più ampio potere processuale.

Per questo motivo, se sceglie di farsi sostituire dal difensore, la procura speciale rilasciata allo scopo non può essere autenticata dal difensore, perché il conferimento del potere di partecipare in sua sostituzione alla mediazione non fa parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili direttamente dal difensore.

Perciò, la parte che non voglia o non possa partecipare personalmente alla mediazione può farsi liberamente sostituire, da chiunque e quindi anche dal proprio difensore, ma deve rilasciare a questo scopo una procura sostanziale, che non rientra nei poteri di autentica dell’avvocato neppure se il potere è conferito allo stesso professionista».

Le motivazioni sopra riportate appaiono abbastanza ambigue, a riprova che tale tematica non è oggetto specifico della pronuncia. Occorre considerare che la disposizione di un altrui diritto, in linea generale, non necessita di alcuna procura con sottoscrizione autenticata: si tratta di rappresentanza negoziale, per cui si applica l’art. 1392 c.c., il quale, sancendo che «la procura non ha effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere» determina la forma della procura per relationem. In una nota, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia (prot. n. 2019/2316 dell’11 aprile 2019, a firma del Consigliere Avv. Romolotti) ha acutamente rilevato inoltre che «Lo stesso art. 1967 del Codice Civile, che disciplina a prova del contratto di transazione (art. 1965 c.c.) – quanto di più vicino possa esistere rispetto all’accordo conciliativo in mediazione – prescrive la forma scritta solamente ad probationem con la conseguenza che il procuratore speciale (e ovviamente sostanziale) che partecipa all’incontro di mediazione potrà giustificare – e fare prova – del proprio potere di rappresentanza con la semplice esibizione della procura scritta, ma non necessariamente autenticata. In tale caso, considerato che la legittimazione ad impugnare il documento è riconosciuta solamente al falsamente rappresentato che ritenga la firma non autografa, né il mediatore né la controparte potrebbero eccepire nulla».

In conclusione, si può affermare che la Suprema Corte non abbia individuato ed indicato una forma particolare di procura, ma più debolmente abbia soltanto affermato che sia da escludersi la sufficienza di una procura a conciliare conferita in una con la procura alle liti (opinione sulla quale, peraltro, si potrebbero avanzare critiche probabilmente non completamente peregrine): è, dunque, da escludersi la necessità di una procura autenticata nella sottoscrizione, il che ovviamente non impedisce di formare in un unico atto una procura, che sia tanto sostanziale quanto ad litem.

[2] Il secondo tema affrontato dalla sentenza in commento è costituito dalla demolizione del  principio di c.d. “effettività della mediazione”; afferma la Suprema Corte, infatti, che «la condizione di procedibilità può ritenersi realizzata alla termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre».

Asprissimamente criticato tale approdo dai più fervidi sostenitori della mediazione, non sono mancate fin da subito pronunce di merito, che criticamente se ne discostano: deve «ritenersi che – sebbene l’effettività della mediazione, richiesta ai fini della procedibilità della domanda giudiziale, non implichi necessariamente il superamento del primo incontro ed il completamento della procedura – già nel corso del primo incontro di mediazione, superata e conclusa la fase dedicata all’informativa delle parti, si debba procedere ad effettiva mediazione» (in questi termini Trib. Firenze, 8 maggio 2019, decidendo su una fattispecie in tema di mediazione demandata).

Le ragioni della decisione della Cassazioni poggiano su un duplice ordine di motivi: il testo dell’art 8 d.lgs. n. 28/2010 (argomento letterale) e la necessità di interpretare l’ipotesi di giurisdizione condizionata in modo non estensivo, ovvero in modo da non rendere eccessivamente complesso o dilazionato l’accesso alla tutela giurisdizionale (argomento sistematico). In questa prospettiva, la parte onerata di esperire il tentativo di mediazione adempie a tale obbligo con il semplice avvio della procedura di mediazione e la comparizione al primo incontro davanti al mediatore, all’esito del quale, ricevute dal mediatore le necessarie informazioni in merito alla funzione e alle modalità di svolgimento della mediazione, può liberamente manifestare il suo parere negativo sulla possibilità di proseguire la procedura di mediazione. Analogamente, per quanto riguarda il chiamato in mediazione, la quale non proseguirà, quando lo stesso non compaia, o se comparso dichiari di non essere interessato alla mediazione.

L’unica conseguenza dei comportamenti predetti, che esprimono l’esercizio di diritti di fronte ai quali l’effettività della mediazione non può che risultare recessiva, è quella normata dal comma 4-bis dell’art. 8 d.lgs. n. 28/2010, essendo richiesto, ai fini del soddisfacimento della condizione di procedibilità, soltanto:

1) l’attivazione del procedimento di mediazione,

2) la scelta del mediatore,

3) la convocazione della controparte;

4) la comparizione personale (anche tramite delegato) davanti al mediatore;

5) la partecipazione al primo incontro.

Difficilmente contestabile è l’affermazione della Corte di Cassazione, in conclusione del motivo, secondo cui, al fine di ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità, non si può pretendere «dalla parte anche un impegno in positivo ad impegnarsi in una discussione alternativa rispetto al giudizio».

Insomma, la Cassazione, per il momento, non ha ancora abdicato alla funzione giurisdizionale.

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