Mediazione obbligatoria: non rileva il termine di quindici giorni assegnato dal giudice
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di VeronaCass., sez. II, 14 dicembre 2021, n. 40035, Pres. Di Virgilio – Est. Casadonte
[1] Mediazione – Condizione di procedibilità – Termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante – Irrilevanza (artt. 5 e 6, d.lgs. n. 28/2010)
Ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità di cui all’art. 5, comma 2, e comma 2 bis d.lgs. n. 28/2010, ciò che rileva nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l’utile esperimento, entro l’udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l’accordo, e non già l’avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l’ordinanza che dispone la mediazione.
CASO
[1] A seguito dell’avvenuta proposizione di opposizione a decreto ingiuntivo, la parte opposta si costituiva in giudizio formulando istanza di concessione della provvisoria esecutorietà del decreto.
L’adito Tribunale di Parma, dopo aver disposto consulenza tecnica d’ufficio, fissava udienza di comparizione delle parti prescrivendo alle stesse, successivamente al deposito della relazione, di esperire il tentativo di mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, 2°co., d. lgs. n. 28/2010, assegnando a tale scopo il termine di 15 giorni decorrenti dal deposito dell’elaborato peritale, con avvertimento alle parti che, in mancanza, il giudizio sarebbe divenuto improcedibile; inoltre, disponeva il rinvio della causa a una successiva udienza.
Una volta scaduto il predetto termine di 15 giorni, senza che nessuna delle parti avesse introdotto la mediazione, la parte opposta depositava istanza di anticipazione dell’udienza, accolta dal giudice istruttore.
Solo in data successiva a tale istanza, parte opponente introduceva la mediazione, formulando istanza di differimento della nuova udienza, motivata dalla necessità di concludere la mediazione: con successiva ordinanza, il giudice istruttore confermava così la data d’udienza originariamente fissata.
A tale udienza, il difensore della parte opposta produceva il verbale di mancata conciliazione nel procedimento di mediazione.
Il giudizio di primo grado proseguiva sino alla pronuncia della con cui il tribunale dichiarava l’improcedibilità della domanda con conferma del decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo.
L’adita Corte d’Appello di Bologna, ritenuta l’improcedibilità del giudizio di primo grado, rigettava l’appello proposto dalla parte opponente la quale, conseguentemente, chiedeva la cassazione della sentenza di seconde cure sulla base di quattro motivi: questi, seppur sotto diversi profili, riguardano tutti la medesima questione dell’operatività della mediazione demandata quale condizione di procedibilità ai sensi dell’art. 5, commi 2 e 2-bis, e dell’art. 6 del d.lgs.28/2010.
Nel dettaglio: 1) con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 152 e 154 c.p.c. in relazione all’art. 5, 2°co., del d.lgs. n. 28/2010, per avere la sentenza impugnata affermato la perentorietà del termine assegnato per l’instaurazione della mediazione: si contesta, cioè, che la corte bolognese abbia erroneamente ritenuto il termine previsto dall’art. 5, 2°co., d.lgs. 28/2020 quale termine endoprocessuale mentre, in realtà, ad esso non si applicherebbe la disciplina prevista dall’articolo 152 c.p.c. e l’effettivo esperimento del procedimento di mediazione varrebbe a sanare la sua eventuale tardività; 2) con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 152 e 154 c.p.c. per avere la corte territoriale erroneamente disatteso la censura proposta dagli appellanti in ordine al carattere indeterminato del termine di 15 giorni per l’avvio della mediazione, per essere stato, nel caso di specie, il termine agganciato non a una data certa ma a quella di effettivo deposito della ctu; parimenti si ritiene errata la conclusione che comunque la mediazione non risultava avviata neanche a seguito della comunicazione dell’ordinanza con cui si anticipava l’udienza di settembre, comunicazione che implicava l’avvenuto deposito della ctu; 3) con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 5, 4°co., lett. a), d.lgs. n. 28/2010 per avere la pronuncia della corte ritenuto che la parte onerata dell’avvio della procedura di mediazione delegata fosse l’opponente; 4) con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 5, 2°co., e dell’art. 6 del d.lgs. n. 28/2010 per avere la corte territoriale escluso il valore sostanziale della mediazione tardiva, ritenendo l’interpretazione proposta dagli appellanti fondata sulla radicale inutilità del termine legale, a prescindere dalla sua natura perentoria od ordinatoria.
SOLUZIONE
[1] La Cassazione ritiene fondate le censure avanzate, analizzate e risolte congiuntamente.
Anzitutto, la Suprema Corte ha ricordato le soluzioni interpretative vigenti in tema di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
In particolare, con la sentenza n. 8473/2019, la Corte ha affermato che la condizione di procedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre.
Inoltre, le Sezioni Unite, con sentenza n. 19596/2020, hanno poi chiarito che la parte onerata della presentazione della domanda di mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28/20210 nei casi di opposizione a decreto ingiuntivo, sia il creditore opposto.
In tale contesto viene affrontata la medesima questione, con riferimento tuttavia alla fattispecie della mediazione delegata: ritiene la Corte che, in tale evenienza, al fine di stabilire se si sia verificata o meno la condizione di procedibilità della domanda giudiziale, debba aversi riguardo alla specifica prescrizione di legge secondo la quale “l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda” (art. 5, 2°co., d.lgs. n. 28/2010) e che “quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo” (art. 5, comma 2-bis, d.lgs. n. 28/2010).
Secondo la Corte, tali indici normativi rappresentano univoche indicazioni con le quali il legislatore ha inteso riconnettere la statuizione giudiziale sulla procedibilità della domanda al solo evento dell’esperimento del procedimento di mediazione e non al mancato rispetto del termine di presentazione della domanda di mediazione.
Coerentemente, rilevato come, nel caso di specie, il procedimento di mediazione avesse indubbiamente avuto luogo entro l’udienza di rinvio fissata dal giudice, la Corte rileva come non potesse essere pronunciata l’improcedibilità della domanda; ne consegue l’accoglimento del ricorso proposto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa alla Corte d’Appello di Bologna.
QUESTIONI
[1] Il provvedimento che si commenta interviene sul tema dell’interpretazione della disciplina riguardante la mediazione obbligatoria ope iudicis o demandata dal giudice, ai sensi dell’art. 5, commi 2 e 2-bis, e dell’art.6 del d.lgs n. 28/2010, sotto il particolare profilo dato dalla verifica circa l’avveramento della condizione di procedibilità posta dalla legge.
La disciplina che viene in rilievo, come noto, è stata introdotta con il d.lgs. n. 28/2010 e aggiornata con il d.l. n. 69/2013 (conv. con modificazioni nella l. n. 98/2013), la quale, per le parti che qui interessano, prevede che: «Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione» (art. 5, 2°co.); «Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo» (art. 5, comma 2-bis); «Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a tre mesi. Il termine di cui al comma 1 decorre dalla data di deposito della
domanda di mediazione, ovvero dalla scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della stessa e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del sesto o del settimo periodo
del comma 1-bis dell’articolo 5 ovvero ai sensi del comma 2 dell’articolo 5, non è soggetto a sospensione feriale» (art. 6).
Per quanto di interesse ai fini del presente commento, è opportuno ricordare che sulla natura da riconoscere al termine di 15 giorni concesso dal giudice per l’instaurazione del procedimento di mediazione obbligatoria ope iudicis, la giurisprudenza di merito ha assunto diverse posizioni interpretative: in alcuni casi è stato ritenuto che il termine di quindici giorni sia ordinatorio (App. Firenze, 13 gennaio 2020, in www.ilcaso.it), in altri che sia perentorio (Trib. Padova, 18 aprile 2018, in www.ilcaso.it): è evidente che dalla soluzione che si scelga di adottare discendano risposte interpretative differenti circa le conseguenze derivanti dal mancato rispetto del termine in questione.
Nel provvedimento in commento, la Suprema Corte sceglie evidentemente di riconoscere natura non perentoria al termine di 15 giorni in discorso, coerentemente concludendo nel senso che l’avveramento della condizione di procedibilità vada ricollegata al solo evento dell’esperimento del procedimento di mediazione, e non al rispetto del termine per la presentazione della domanda di mediazione.
A sostegno di tale condivisibile conclusione possono senz’altro riportarsi le argomentazioni spese dalla Suprema Corte.
Anzitutto, la Cassazione ricorda come l’adozione della sanzione della decadenza dal compimento di una determinata attività giudiziale, in relazione al mancato rispetto di un termine, richieda una manifestazione di volontà espressa dal legislatore, non desumibile in alcun modo dalla disciplina sulla mediazione.
Inoltre, la ratio sottesa alla mediazione obbligatoria ope iudicis – e cioè la ricerca della soluzione migliore possibile per le parti, dato un certo stato di avanzamento della lite e certe sue caratteristiche -, mal si concilia con la tesi della natura perentoria del termine, che finirebbe per giustificare il paradosso di non poter considerare utilmente esperite le mediazioni conclusesi senza pregiudizio per il prosieguo del processo solo perché tardivamente attivate, escludendo in un procedimento deformalizzato qual è quello di mediazione l’operatività del generale principio del raggiungimento dello scopo.
Appare, pertanto, più coerente con la sistematica interpretazione delle disposizioni sulla mediazione e con la finalità della mediazione demandata dal giudice in corso di causa privilegiare la verifica dell’effettivo esperimento della mediazione. Tale verifica deve svolgersi all’udienza fissata dal giudice con il provvedimento con cui aveva disposto l’invio delle parti in mediazione: se in quella udienza risulta che vi sia stato il primo incontro dinanzi al mediatore conclusosi senza l’accordo (ex art. 5, comma 2-bis, d.lgs. n. 28/2010), il giudice non potrà che accertare l’avveramento della condizione di procedibilità e proseguire il giudizio.
Così intesa, la norma raggiunge lo scopo cui è rivolta, ossia quello di favorire, ove possibile e in termini effettivi, forme alternative ma altrettanto satisfattive di tutela mediante la composizione amichevole delle liti, e al contempo conferma il carattere di extrema ratio che il legislatore della mediazione riconosce, in prospettiva deflattiva, alla tutela giurisdizionale.
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