12 Marzo 2024

Mediazione obbligatoria esclusa per la domanda riconvenzionale: qualche fondata critica all’istituto da parte della Cassazione e qualche problema forse ancora irrisolt

di Franco Stefanelli, Avvocato Scarica in PDF

Cass., Sez. Un., Sent., ud. 21 novembre 2023, 7 febbraio 2024, n. 3452, Pres. D’Ascola – Est. Nazzicone.

[1] Mediazione obbligatoria – Esperimento quanto alla domanda principale – Domanda riconvenzionale rientrante nelle materie ex art. 5 comma 1 d.lgs. n. 28/10 – Applicabilità della mediazione obbligatoria alla domanda riconvenzionale – Esclusione (D.Lgs. 04/03/2010 n° 28, art. 5; cod. proc. civ., art. 36)

La mediazione obbligatoria ex art. 5 del d.lgs. n. 28/2010, quale condizione di procedibilità finalizzata al raggiungimento di una soluzione conciliativa, che scongiuri l’introduzione della causa, è applicabile al solo atto introduttivo del giudizio e non anche alle domande riconvenzionali, fermo restando che al mediatore compete di valutare tutte le istanze e gli interessi delle parti ed al giudice di esperire il tentativo di mediazione, ove possibile, per l’intero corso del processo.

CASO

La decisione trae origine da un rinvio pregiudiziale ai sensi del (nuovo) art. 363-bis cod. proc. civ. del Tribunale di Roma, che era stato adito dalla Alfa S.r.l., con la richiesta di accertamento della risoluzione del contratto di locazione concluso con il suo conduttore per avveramento della condizione risolutiva pattuita, per la perdita dei requisiti soggettivi ex l. n. 203/1991 o per scadenza del termine, con la condanna al rilascio del bene. Il conduttore resistente, costituendosi in giudizio, aveva domandato il rigetto delle domande o, nel caso di loro accoglimento ed in via riconvenzionale, la condanna di controparte alla restituzione del deposito cauzionale di € 900,00, con gli interessi legali.

La procedura di mediazione si era svolta regolarmente sulle domande principali, ma non sulla domanda riconvenzionale, pacificamente rientrante nel novero di quelle soggette a mediazione obbligatoria, in quanto materia locatizia.

Come detto, il Tribunale romano rinviava ex art. 363-bis cod. proc. civ., in ordine alla proponibilità della domanda riconvenzionale, quando la causa rientri tra quelle a mediazione obbligatoria ex art. 5 d.lgs. n. 28/2010 e la mediazione sia stata già effettuata, anteriormente alla prima udienza, in relazione alla domanda di parte attrice.

SOLUZIONE

[1] Partendo dalla questione di diritto, sollevata dal giudice a quo, se, ai sensi dell’art. 5 d.lgs. n. 28/2010, sussista l’obbligo di provvedere alla mediazione nel caso di proposizione di una domanda riconvenzionale, ove la mediazione sia stata già ritualmente effettuata, anteriormente alla prima udienza, in relazione alla sola domanda principale, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione affrontano in maniera critica l’istituto della mediazione e giungono alla conclusione dell’esclusione del tentativo obbligatorio di conciliazione quale condizione di procedibilità della proposizione della domanda riconvenzionale.

In primo luogo, gli ermellini ricordano la diversa natura delle domande riconvenzionali proponibili in giudizio, con la distinzione tra domanda riconvenzionale eccentrica e non (cioè collegata all’oggetto della lite).

Quest’ultima è ammessa, subordinatamente alla comunanza del titolo già dedotto in giudizio dall’attore o da quello che appartiene alla causa come mezzo di eccezione (art. 36 cod. proc. civ.), ma al solo fine di ritenerla devoluta al medesimo giudice della domanda attorea, in quanto entrambe rientrino nella sua competenza per materia o per valore. Analoga comunanza della lite è richiesta al fine dell’ammissibilità della domanda riconvenzionale, che pure non importi lo spostamento di competenza: invero, del pari, in tal caso la giurisprudenza di legittimità esige “un qualsiasi rapporto o situazione giuridica in cui sia ravvisabile un collegamento obbiettivo tra domanda principale e domanda riconvenzionale, tale da rendere consigliabile e opportuna la celebrazione del simultaneus processus” (Cass. 19 ottobre 1994, n. 8531; nonché, tra le tante, Cass. 14 gennaio 2005, n. 681; Cass. 4 luglio 2006, n. 15271; Cass. 15 gennaio 2020, n. 533; Cass. 4 marzo 2020, n. 6091).

Tale collegamento oggettivo, che rende opportuno il simultaneus processus, viene rimesso alla valutazione discrezionale del giudice di merito, al quale è richiesto unicamente di motivare al riguardo, in particolare ove ritenga la riconvenzionale inammissibile.

Resta, però, fermo in entrambi i casi ricordati – domanda riconvenzionale che ecceda, oppure no, la competenza del giudice della causa principale – il detto principio circa la necessaria esistenza di un collegamento oggettivo con l’oggetto che già appartiene al giudizio.

Di converso, con l’espressione “riconvenzionale eccentrica” si indica quella in nessun modo “obiettivamente ricollegabile all’oggetto” della causa.

Nella pratica quotidiana dell’esercizio della giurisdizione, la genericità dei termini ha reso, però, tutt’altro che rara l’estensione della lite fra le parti, proprio sul profilo se debba ritenersi sussistente il predetto “collegamento oggettivo”, mentre una pluralità di indici positivi, presenti nell’ordinamento, conduce a non differenziare affatto le due tipologie indicate, quanto agli effetti della sottopostone all’obbligo della preventiva mediazione, quale condizione di proponibilità della domanda riconvenzionale.

Le Sezioni Unite, però, come anticipato, individuano una serie di ragioni a fondamento dell’esclusione della mediazione obbligatoria per le domande riconvenzionali, partendo da un’analisi letterale del dato normativo contenuto nell’art. 5 del d.lgs. n. 28/2010, secondo cui “chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di (…) è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione”, quale “condizione di procedibilità della domanda giudiziale”; lo stesso art. 5 cit. poi prevede che l’improcedibilità sia “eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza. Il giudice, quando rileva che la mediazione non è stata esperita o è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6” ossia, tre mesi, più tre su accordo delle parti.

Tale condizione di procedibilità della domanda giudiziale è un presupposto processuale, il cui difetto è sanabile retroattivamente, qualora il giudice rilevi il mancato esperimento del tentativo o la sua pendenza, per permetterne la conclusione. Non si parla di sospensione in senso tecnico, trattandosi di un mero rinvio, ma questo comporta pur sempre un differimento della trattazione della causa, il quale – fanno notare correttamente le Sezioni Unite – non necessariamente sarà contenuto nei pochi mesi indicati dal legislatore, essendo “dopo la scadenza” previsione relativa solo al termine minimo, non massimo, il quale ultimo invece necessariamente seguirà le esigenze del calendario del giudice.

Per quanto concerne la c.d. riconvenzionale non eccentrica, dunque, la lettera e la ratio della disposizione inducono a ritenerla non sottoposta alla condizione della mediazione obbligatoria, in quanto si collega all’oggetto del processo già introdotto dall’attore. A tale riguardo, la pronuncia qui annotata osserva che la Legge non prevede espressamente

  • né che la riconvenzionale sia sottoposta a mediazione obbligatoria
  • né le modalità processuali di tale eventualità

nonostante il legislatore sia intervenuto anche di recente (d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), quando la questione in esame era già ampiamente emersa.

La mediazione è istituto processuale, che si inserisce in un contesto riformatore, esprimente la ratio di costituire “una reale spinta deflattiva e contribuire alla diffusione della cultura della risoluzione alternativa delle controversie” (in questi termini, la relazione illustrativa al d.lgs. n. 28/2010), al fine di preservare la risorsa della giurisdizione, nella “consapevolezza, sempre più avvertita, che, a fronte di una crescente domanda di giustizia, anche in ragione del riconoscimento di nuovi diritti, la giurisdizione sia una risorsa non illimitata e che misure di contenimento del contenzioso civile debbano essere messe in opera” (Corte cost. 19 aprile 2018, n. 77).

L’istituto, dunque, pone una condizione di procedibilità della domanda giudiziale, specificamente “con finalità deflattiva” (Corte cost. 20 gennaio 2022, n. 10 e 18 aprile 2019, n. 97) e mira a transigere le liti, evitando, con l’auspicata conciliazione, che il soggetto debba ottenere soddisfazione attraverso gli organi di giustizia, con elevati costi e tempi, che nocciono alla parte, come al sistema giudiziario nel suo complesso. Il fine, dunque, è l’auspicata non introduzione della causa, risolta preventivamente innanzi all’organo apposito, in via stragiudiziale.

Ciò induce – motivano le Sezioni Unite – a ritenere che la c.d. riconvenzionale non eccentrica non sia sottoposta alla condizione della mediazione obbligatoria: “La mediazione è stata già esperita senza esito positivo, prima del processo o nel termine concesso dal giudice, dall’attore: onde la condizione di procedibilità è soddisfatta e la lite pende ormai innanzi ad un giudice, che ne resta investito”. Infatti, la mediazione obbligatoria si collega non alla domanda sic et simpliciter, bensì al processo, che ormai è pendente, onde, essendo la causa insorta, la funzione dell’istituto viene meno, non avendo avuto l’effetto di prevenzione per la instaurazione del processo: in quanto essa si collega alla causa, non alla domanda come tale, in funzione deflattiva del processo, pertanto, una volta che la domanda principale sia stata regolarmente proposta dopo che la mediazione abbia già fallito l’obiettivo, una nuova mediazione obbligatoria relativa alla domanda riconvenzionale – pur volendo trascurare ogni previsione sulle sue possibilità di successo, che non rilevano a questi fini interpretativi – non realizzerebbe, in ogni caso, il fine di operare un “filtro” al processo innanzi ad un organo della giurisdizione. Il giudice è già investito della controversia introdotta dall’attore, di cui non verrebbe ormai spogliato, neppure se il tentativo sulla domanda del convenuto avesse esito positivo, dovendo il processo proseguire per la decisione sulla domanda principale e, dunque, al più, con una mera riduzione del suo oggetto.

Posto che l’istituto ha esclusive finalità di economia processuale, nel senso di evitare il proliferare di cause iscritte innanzi all’organo giudiziario, imporre un successivo, o più successivi ad ogni ulteriore domanda proposta nel giudizio, tentativi obbligatori di conciliazione, al contempo differendo la trattazione della causa per mesi ad ogni nuova domanda proposta in giudizio, è un effetto eccessivo non voluto dalla norma rispetto allo scopo deflattivo perseguito.

Ad analoghe conclusioni, pervengono le Sezioni Unite anche con riferimento alla c.d. riconvenzionale eccentrica, che allarga l’oggetto del giudizio senza connessione con quello già introdotto dalla parte attrice, ancorché sulla base di argomentazioni ulteriori.

In tale secondo caso, infatti, accanto alla ratio normativa di deflazione dei processi già richiamata per l’ipotesi della c.d. riconvenzionale non eccentrica, vengono in rilievo ulteriori criteri d’interpretazione, quali il principio della certezza del diritto, che si oppone alla causazione di ulteriore contenzioso sul punto, e quello della ragionevole durata del processo.

La pronuncia in commento, per quanto riguarda il primo profilo, fa presente, senza fare sconti, l’inadeguatezza delle soluzioni intermedie, al fine di preservare il bene della certezza del diritto, ricordando l’analoga questione in materia di controversie agrarie, per la quale, la Cassazione ritiene che il tentativo di conciliazione debba precedere anche la domanda riconvenzionale da parte del convenuto (da ultimo, Cass. 11 novembre 2022, n. 33379), soluzione quest’ultima che, però, proprio per gli inconvenienti sopra rammentati, che sono largamente percepiti nella pratica, hanno indotto a compiere una serie di distinguo, i quali, se riescono a scongiurare alcuni di quegli inconvenienti, sono forieri allo stesso tempo di un pregiudizio assai più rilevante all’ordinamento nel suo complesso, ossia la compromissione del principio fondante della certezza del diritto, il quale è essenziale espressione dello Stato costituzionale di diritto, a fini anche di uguaglianza.

In sostanza, si afferma la necessità del tentativo anche per la domanda riconvenzionale, ma con una nutrita serie di distinzioni casistiche, che rivela l’imbarazzo di ritardare il processo con ulteriori oneri, quando le parti comunque non siano addivenute ad un accordo bonario dimostrando una indisponibilità al riguardo: onde si palesa trattarsi di un adempimento non conforme al parametro di ragionevolezza, in quanto non funzionale allo scopo di evitare l’intervento della giurisdizione mediante un componimento bonario della lite. In tal modo, essa è foriera di eccessiva incertezza del diritto.

Diviene poi facile prevedere code e sviluppi contenziosi allorché, proposta la domanda riconvenzionale senza mediazione, si sostenga dall’una e dall’altra parte, secundum commoda, che la domanda riconvenzionale amplia l’ambito, si ricollega al contesto, concerne questioni intorno alle quali il tentativo si è svolto, si ricolleghi direttamente al contrasto tra le parti ed alle pretese fatte valere dall’attore, che nella domanda di conciliazione erano già esposti tutti i fatti, nonché la valutazione giuridica degli stessi o il convenuto abbia già dedotto le relative richieste nella procedura di conciliazione sperimentata dall’attore o che, con la sua nuova domanda, espone aspetti nuovi della controversia che, se conosciuti anticipatamente, avrebbero potuto condurre ad una definizione bonaria della controversia.

Chiosano le Sezioni Unite, ricordando che “molti possono essere i profili e le questioni dubbie, se il linguaggio resta vago ed i concetti controvertibili”, ma non è questo il senso del tentativo obbligatorio di mediazione o di conciliazione, ma proprio il fine opposto deflattivo delle liti giudiziarie, nell’an e nel tempus.

Imporre di valutare se la domanda riconvenzionale “investa aspetti nuovi che se conosciuti e valutati dalle parti unitamente a quelli per i quali vi è già vertenza, giudiziaria, potrebbero condurre ad una definizione bonaria della lite, evitando l’intervento del giudice” (Cass. 27 aprile 1995, n. 4651) è ancora più arduo: impingendo così il criterio, invero, in una valutazione dello stato psicologico e dell’intendimento soggettivo presunto o ricostruito ex post.

Con encomiabile autocritica, la Corte di Cassazione ricorda che ciò è avvenuto con evidenti forzature, come quando (Cass. 14 novembre 2008, n. 27255) si è ritenuto che, proposta domanda diretta a sentir dichiarare la validità ed efficacia del contratto di soccida inter partes, la domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento e di risarcimento del danno fosse ricompresa nella prospettazione attorea, avente ad oggetto “implicitamente, la verifica che nessun inadempimento si era verificato da parte dell’attore”, nonché fosse “irrilevante, al fine di pervenire ad una diversa conclusione, (è) la circostanza che solo nella riconvenzionale si invochino i danni assertivamente patiti dalla società convenuta a causa del comportamento di quella attrice, atteso – da una parte – che la richiesta di danni è consequenziale alla pronunzia di risoluzione, dall’altra, che … non è sufficiente un mero ampliamento del petitum perché sorga l’obbligo, per il convenuto in via riconvenzionale, di sollecitare un nuovo tentativo di conciliazione ai sensi della l. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46” e che neppure, “al fine di dimostrare come per effetto della riconvenzionale si sia avuto un ampliamento della materia del contendere è sufficiente considerare che l’esigenza di espletamento della c.t.u. si riconnette proprio alla domanda riconvenzionale e non a quella di pagamento formulata dalla soccidaria”, come invece reputato dal giudice di merito; per non parlare poi delle ulteriori complicazioni che si vengono a creare quando, pur trattando ogni questione in sede conciliativa, alla stessa partecipi il difensore di parte attrice, senza mandato, però, per la domanda riconvenzionale (cfr. Cass. 23 agosto 2013, n. 19501).

Sotto il secondo profilo, sussistono limiti, individuati dallo stesso legislatore positivo e dal giudice delle leggi, contro l’allungamento dei tempi dovuti alla mediazione obbligatoria ed altri simili istituti, in ossequio al principio di ragionevole durata del processo.

D’altra parte, l’esigenza di non cadere in soluzioni controproducenti emerge con chiarezza, invero, dalle regole positive dettate dal legislatore, nel testo normativo in esame ed il altri similari, sul piano della interpretazione teleologica e avuto riguardo allo scopo perseguito dal legislatore medesimo:

  • l’art. 23 comma 2 del d.lgs. n. 28/2010 stabilisce che “Restano ferme le disposizioni che prevedono i procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati, nonché le disposizioni concernenti i procedimenti di conciliazione relativi alle controversie di cui all’art. 409 del codice di procedura civile. I procedimenti di cui al periodo precedente sono esperiti in luogo di quelli previsti dal presente decreto”, così intendendosi escludere il concorso di analoghi istituti;
  • l’art. 3 comma 1, secondo periodo, del d.l. n. 132/2014 conv. in l. n. 162/2014 prevede la convenzione di negoziazione assistita per chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro, ma “fuori dei casi previsti … dall’articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28”;
  • la medesima prospettiva restrittiva emerge dall’art. 5 commi 3 e 6 del d.lgs. n. 28/2010, rispettivamente concernenti altre specifiche procedure e peculiari esclusioni.

L’eccesso di mediazione è un rischio conosciuto, temuto e scongiurato dal legislatore mediante le riportate previsioni, ed altre analoghe, che escludono l’ipotesi del concorso di diverse procedure di conciliazione o mediazione obbligatoria, o altre condizioni di procedibilità. D’altro canto, una diversa soluzione avrebbe comportato una gravosa duplicazione di costi superflui per le parti, attesa la necessità di assistenza difensiva in tutte le procedure, onde avrebbe finito per costituire, piuttosto, un serio ostacolo al raggiungimento di una soluzione conciliativa e causa di ritardo nella soluzione della lite insorta.

A ciò si deve aggiungere, ricordano ancora le Sezioni Unite, il disposto dell’art. 5 comma 2 secondo periodo del d.lgs. n. 28/2010, in forza del quale, pur nel favor per la soluzione alternativa delle controversie, è stata circoscritta la condizione di improcedibilità al rilievo d’ufficio o all’eccezione di parte entro un limite processuale assai ristretto (la prima udienza).

E nella stessa direzione milita la generale previsione di una durata massima del procedimento di mediazione – tre mesi, prorogabili di ulteriori tre mesi dopo la sua instaurazione e prima della sua scadenza con accordo scritto delle parti – ai sensi dell’art. 6 d.lgs. n. 28/2010 (termine neppure soggetto a sospensione feriale) ed ancora, espressamente l’art. 7 d.lgs. n. 28/2010 (pur nei limiti di Corte cost. 6 dicembre 2012, n. 272 e con tutte le note perplessità degli interpreti per il contrasto con l’art. 6 CEDU) si preoccupa del principio della ragionevole durata del processo, stabilendo che “Il periodo di cui all’articolo 6 e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell’articolo 5, comma 2 e dell’articolo 5-quater, comma 1, non si computano ai fini di cui all’articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89”.

La pronuncia qui in nota ricorda inoltre come, per la Corte costituzionale, la mediazione obbligatoria non violi il diritto costituzionale di azione, soltanto laddove risulti idoneo a produrre il risultato vantaggioso del c.d. effetto deflattivo, senza mai divenire tale da provocare un inutile prolungamento dei tempi del giudizio; le indicazioni del giudice delle leggi additano, in sostanza, una linea di equilibrio fra il principio di azione di ordine costituzionale e le deroghe che possono esservi apportate in funzione di interessi di estrema rilevanza, ma confermano il carattere eccezionale delle ipotesi limitative: ne deriva che le condizioni di procedibilità stabilite dalla legge non possono essere aggravate da una interpretazione che conduca ad estenderne la portata (Cass. 21 gennaio 2004, n. 967, con riguardo alla conciliazione lavoristica).

Analogamente – la sentenza in commento cita, a tal proposito, anche la relazione del Massimario – il principio della tutela giurisdizionale effettiva costituisce un principio generale del diritto comunitario, derivante dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, sancito dagli artt. 6 e 13 della CEDU oltre ad essere stato ribadito anche dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000. Viene in rilievo anche l’art. 67, par. 4, TFUE, secondo il quale “l’Unione facilita l’accesso alla giustizia, in particolare attraverso il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziali ed extragiudiziali in materia civile”.

Tutto ciò indica l’esistenza un bilanciamento degli interessi, già operato dal legislatore positivo e confermato come legittimo dal giudice delle leggi: se è vero che anche un ripetuto strumento conciliativo extragiudiziale potrebbe condurre, a volte, ad una soluzione favorevole della lite al secondo, al terzo o ulteriore tentativo, è pur vero che così si finirebbe per contraddire l’intento di rendere più rapida e meno onerosa per tutti la risoluzione della controversia, quando questa sia ormai comunque instaurata.

L’art. 5 d.lgs. n. 28/2010 estende a numerose materie la mediazione obbligatoria, al fine di evitare l’introduzione della lite ed assicurare una maggiore celerità al processo, non di ostacolarla oltre il ragionevole. Dovendosi dunque, piuttosto, secondo il legislatore pervenire al processo ordinario, una volta infruttuosamente esperito il tentativo di mediazione in via obbligatoria senza che esso sia andato a buon fine, quale condizione di procedibilità da applicare al solo atto introduttivo, non a tutte le domande proposte nel processo.

Con il fine di auspicata riduzione dei generali tempi di definizione del contenzioso civile si porrebbe in irrimediabile contrasto l’effetto di estendere alla domanda riconvenzionale un ulteriore e ripetuto analogo tentativo. Invero, l’art. 5 comma 2 terzo periodo d.lgs. n. 28/2010 prevede che il giudice, quando rileva che la mediazione non è stata esperita o conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di tre mesi (più tre, su accordo delle parti) di cui all’art. 6: con un inevitabile, ma dal legislatore ponderato, allungamento dei tempi processuali. In tal modo, se si reputasse obbligato anche il convenuto in riconvenzionale ad esperire la mediazione, i tempi si allungherebbero, però, in modo non prevedibile. Il differimento della trattazione, previsto dal legislatore quale strumento per contrastare l’elusione della condizione di procedibilità prescritta per la domanda introduttiva, si dilaterebbe oltre ogni modo: il rinvio necessariamente riguarderebbe non soltanto la trattazione della domanda riconvenzionale, ma l’intero giudizio, ivi compresa la domanda introduttiva, sebbene ormai procedibile, onde pure il pericolo di abusi ad opera del convenuto.

Ma la soluzione che volesse sottoporre la domanda riconvenzionale a mediazione obbligatoria dovrebbe – per coerenza – essere estesa ad ogni altra domanda fatta valere in giudizio, diversa ed ulteriore rispetto a quella inizialmente introdotta dall’attore: non solo, quindi, la domanda riconvenzionale, ma anche la riconvenzionale a riconvenzionale (c.d. reconventio reconventionis), la domanda proposta da un convenuto verso l’altro, oppure da e contro terzi interventori, volontari o su chiamata.

Del pari, potrebbero esperirsi tante successive mediazioni non simultanee, con una assai poco efficiente gestione separata dei conflitti, che difficilmente condurrebbe ad un proficuo ed unitario accordo fra tutte le parti; mentre il processo necessariamente vedrebbe una trattazione disordinata e disarticolata, in attesa dell’esperimento di tanti tentativi di conciliazione stragiudiziali.

In definitiva, concludono le Sezioni Unite, la mediazione obbligatoria ha la sua ratio nelle dichiarate finalità di favorire la rapida soluzione delle liti e l’utilizzo delle risorse pubbliche giurisdizionali solo ove effettivamente necessario: posta questa finalità, l’istituto non può essere utilizzato in modo disfunzionale rispetto alle predette finalità ed essere trasformato in una ragione di intralcio al buon funzionamento della giustizia, in un bilanciamento dal legislatore stesso operato, secondo una lettura costituzionale della disposizione in esame, affinché, da un lato, non venga obliterata l’applicazione dell’istituto, e dall’altro lo stesso non si determini una sorta di effetto boomerang sull’efficienza della risposta di giustizia.

Per ogni altro profilo, sussiste il compito generale del giudice, a fini di risparmiare risorse giurisdizionali e non emettere la sentenza, di tentare e proporre egli stesso la conciliazione (artt. 185, 185-bis cod. proc. civ.), dove il tentativo di conciliazione potrà avere svolgimento con maggiore probabilità di esito positivo.

Da ultimo, la sentenza fornisce un’indicazione di buon senso direttamente ai mediatori: spetta al mediatore, nel diligente adempimento del suo incarico professionale, esortare le parti a mettere ogni profilo sul tappeto, ivi comprese altre richieste del convenuto. Ciò, ai sensi dell’art. 8 comma 3 d.lgs. n. 28/2010: “Il mediatore si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia”, dunque l’intera lite tra di loro. L’accordo sarà ricompreso nella proposta di conciliazione ex art. 11 d.lgs. n. 28/2010, secondo cui, se è raggiunto un accordo amichevole, il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell’accordo medesimo, mentre, quando l’accordo non è raggiunto, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione; in ogni caso, il mediatore formula una proposta di conciliazione se le parti gliene fanno concorde richiesta in qualunque momento del procedimento.

Per tutte queste ragioni, infine, le Sezioni Unite pervengono alla enunciazione del sopra richiamato principio di diritto.

In conclusione, la soluzione delle Sezioni Unite, che si ricorda è difforme rispetto alla proposta che era stata formulata dal Pubblico Ministero, pare del tutto condivisibile, ma soprattutto si tratta di argomentazioni che fissano alcuni punti molto precisi:

  • quando la mediazione sia stata già ritualmente effettuata, in relazione alla sola domanda principale, non sussiste l’obbligo di effettuarne una ulteriore per la domanda riconvenzionale, anche per quella c.d. eccentrica, né nel caso di reconventio reconventionis o di riconvenzionale trasversale;
  • la ratio della mediazione obbligatoria è favorire la rapida soluzione delle liti ed il corretto utilizzo delle risorse pubbliche destinate alla giurisdizione, sicché l’istituto non può essere piegato ad utilizzi disfunzionali ed essere trasformato in una ragione di intralcio al buon funzionamento della giustizia.

I principi enunciati dalle Sezioni Uniti paiono estensibili anche al particolare procedimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo (cfr. art. 5-bis d.lgs. n. 28/2010), ma restano forse irrisolti alcuni casi specifici, che le motivazioni della sentenza qui in nota non affrontano:

  • come regolarsi nel momento in cui la domanda attorea non sia soggetta a mediazione, ma lo sia la domanda riconvenzionale? Forse in tale ipotesi, resusciterebbe l’obbligo di mediazione per la domanda riconvenzionale (e conseguentemente anche per la reconventio reconventionis e la c.d. riconvenzionale trasversale);
  • come regolarsi poi, quanto alla riconvenzionale, nel caso in cui sia il Giudice ad inviare le parti in mediazione, sul presupposto che la domanda attorea rientri nel novero di quelle soggette a c.d. mediazione obbligatoria, e l’attore si dimostri renitente all’ordine giudiziale? In tal caso, la domanda principale risulterebbe improcedibile, ma la domanda riconvenzionale patirebbe anch’essa la sanzione dell’improcedibilità? Stando alla pronuncia qui in commento, la domanda riconvenzionale non sarebbe soggetta a mediazione (ancorché rientrante nelle materie sottoposte ad obbligo di mediazione), ma perché, a monte, già dovrebbe esservi stato un procedimento di mediazione. Occorrerebbe poi forse distinguere tra riconvenzionale eccentrica e riconvenzionale non eccentrica, perché per quanto riguarda la prima, sarebbe forse più arduo far discendere una improcedibilità derivata dalla improcedibilità della domanda principale, per renitenza alla mediazione da parte dell’attore.

L’applicazione pratica del principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite forse offrirà risposte a tali quesiti.

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