13 Luglio 2015

Mediazione obbligatoria e nature del termine per l’attivazione del procedimento

di Mattia Polizzi Scarica in PDF

Trib. Como 12 gennaio 2015

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Procedimento civile – Termini ordinatori – Termini perentori – Mediazione civile e commerciale – Differenze
(Cost., art. 111; cod. proc. civ., art. 152, 154; d. leg. 4 marzo 2010, n. 28, Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, art. 5)

[1] La distinzione tra termini ordinatori – quale è quello previsto per l’instaurazione del procedimento di mediazione obbligatoria – e perentori non può essere ravvisata in una diversa forza cogente e, dunque, in conseguenze diverse in caso di mancato rispetto, bensì nelle differenti modalità con le quali operano sul piano processuale.

CASO
[1] Nel corso di un procedimento civile inerente materia ricompresa nel novero di cui all’art. 5, comma 2 bis, d. leg. 28/2010 il giudice, rilevato in prima udienza il mancato esperimento del procedimento di mediazione, assegna alla parte attrice il termine di cui all’art. 5, onde poter radicare il tentativo di mediazione.
Alla successiva udienza ex art. 183 c.p.c. il convenuto spiega eccezione di improcedibilità del giudizio, non avendo l’attore provveduto all’incombente di cui alla precedente udienza nel rispetto del termine assegnato; parte attrice si oppone, adducendo la natura ordinatoria del termine de quo.

SOLUZIONE
[1] Il Tribunale di Como accoglie l’eccezione di improcedibilità del giudizio, affermando che il mancato rispetto del termine previsto per l’instaurazione del procedimento di mediazione, di natura ordinatoria alla luce del disposto di cui al secondo alinea dell’art. 152 c.p.c. (in forza del quale i termini previsti dalla legge, salvo che sia diversamente disposto, debbono intendersi come ordinatori) non può non avere conseguenze sul piano processuale.In altre parole, gli effetti negativi derivanti dal mancato rispetto di un termine vengono ad esistenza indifferentemente dalla natura del termine medesimo, la quale influisce solo in riferimento alle relative modalità operative ed al momento in cui detti effetti pregiudizievoli sono prodotti: immediatamente, quanto al caso di violazione del termine perentorio; solo nel caso in cui non venga richiesta una proroga – ovvero altre gravi ragioni non spingano in tal senso – qualora si tratti di termini ordinatori. La decisione in epigrafe segue il consolidato orientamento della Cassazione che, facendo valere il già eloquente dato testuale dell’art. 154 c.p.c. esplicita che la possibilità di proroga del termine ordinatorio è subordinata ad una richiesta in tal senso ad opera della parte interessata che intervenga prima dello spirare del termine medesimo, ovvero qualora siano ravvisabili gravi motivi che impongano tale correttivo (v., ex pluribus, Cass. 21 febbraio 2013, n. 4448, Foro it., Rep. 2013, voce Prova civile in genere, n. 35; 17 novembre 2010, n. 23227, id., Rep. 2010, voce Termini processuali civili, n. 13).
QUESTIONI
[1] La sentenza del Tribunale di Como merita di essere segnalata non solo in ragione del corretto inquadramento dell’operatività pratica delle due categorie di termini previste dal codice di procedura civile, ma anche per la lucida ricostruzione della ratio sottesa ai due istituti.

Da un lato, difatti, la distinzione tra termini ordinatori e perentori non può essere ravvisata in una diversa forza cogente in quanto, diversamente opinando, la previsione di termini ordinatori risulterebbe del tutto priva di alcuna utilità.
Dall’altro, la soluzione adottata dal giudice si impone in forza di ragioni di natura sistematica, posto che in un sistema processuale come quello odierno, articolato per preclusioni, l’assenza di conseguenze inerenti l’inutile spirare di un termine rappresenterebbe un vulnus dell’intero sistema, qualificato dalla Carta fondamentale come giusto nella misura in cui presenti – tra l’altro – una durata ragionevole.

Infine, come osservato dal Supremo Consesso di legittimità, ritenere che i termini ordinatori possano essere prorogati in qualsiasi momento processuale subordinerebbe lo svolgersi del processo all’arbitrio della parte interessata alla proroga medesima (cfr. Cass. 19 gennaio 2005, n. 1064, id., Rep. 2005, voce cit., n. 16).