14 Maggio 2024

Mancato rinvenimento di documenti decisivi prodotti in primo grado e decisione dell’appello nel merito

di Valentina Baroncini, Avvocato e Ricercatore di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. III, 13 marzo 2024, n. 6645, Pres. Scarano, Est. Pellecchia

[1] Appello – Fascicoli di parte e d’ufficio – Mancato rinvenimento di documenti ritenuti decisivi dalle parti già prodotti in primo grado – Dovere del giudice di appello di decidere sul merito – Sussistenza – Condizioni – Onere della parte di assicurarne la disponibilità – Sussistenza.

Qualora, al momento della decisione della causa in secondo grado, non si rinvengano nel fascicolo di parte i documenti già prodotti in primo grado e su cui la parte assume di aver basato la propria pretesa in giudizio, il giudice d’appello può decidere il gravame nel merito se non ne è stato allegato lo smarrimento, essendo onere della parte assicurarne al giudice di appello la disponibilità in funzione della decisione, quando non si versi nel caso di loro incolpevole perdita, con conseguente possibilità di ricostruzione previa autorizzazione giudiziale.

CASO

[1] Il Ministero dell’Interno e la Presidenza del Consiglio dei Ministri convenivano, davanti al Tribunale di Roma, due soggetti per sentir dichiarare, nei loro confronti, l’inefficacia ex art. 2901 c.c. di due atti di compravendita aventi ad oggetto due immobili già gravati da sequestro conservativo disposto dalla Procura Regionale della Corte dei Conti; tali immobili, in particolare, erano stati alienati dai convenuti  successivamente alla condanna emessa a loro carico dalla Corte dei Conti per il risarcimento di una somma a titolo di responsabilità amministrativa.

Il Tribunale di Roma respingeva la domanda rilevando il difetto di legittimazione attiva in capo alle amministrazioni attrici. In particolare, secondo il giudice di primo grado, dalla lettura della sentenza della Corte dei Conti non si evinceva in alcun modo la qualifica di amministrazione danneggiata in capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri o al Ministero dell’Interno, giacché la sentenza si limitava a riferirsi al danno all’erario, specificando che esso era stato causato dalla sottrazione di fondi riservati del Sisde, iscritto in apposita rubrica nello stato di previsione della spesa del Ministero del Tesoro. Pertanto, il giudice del merito stabiliva che l’amministrazione danneggiata doveva individuarsi nel Ministero dell’Economia e Finanze, cui appartenevano i fondi distratti, e che solo tale amministrazione poteva ritenersi legittimata all’azione revocatoria a tutela del credito.

Avverso tale pronuncia, le attrici proponevano appello, sottolineando che il Sisde costituiva una struttura posta alle dipendenze del Ministero dell’Interno e che l’alta direzione, la responsabilità politica generale e il coordinamento della politica informativa e di sicurezza competevano al Presidente del Consiglio dei Ministri; che al Ministero dell’Interno competevano obblighi di controllo sulla gestione di tali fondi; che andava considerato anche il danno morale inferto all’amministrazione; che non poteva essere riconosciuta legittimazione attiva solo in capo al Ministero del Tesoro poiché il danno riguardava lo Stato italiano nel suo complesso.

La Corte d’Appello di Roma confermava, tuttavia, il difetto di legittimazione attiva delle amministrazioni attrici. Il giudice dell’appello, dopo aver premesso che gli appellanti non avevano prodotto il fascicolo di parte di primo grado – ove, stando alle indicazioni dell’atto di citazione, era stata allegata la sentenza della Corte dei Conti -, riteneva che, in difetto di detta produzione, non era stata posta in grado di verificare se il danno liquidato dalla Corte dei Conti fosse circoscritto alle somme distratte, ovvero investisse più ampi profili, in particolare quello del danno morale inferto allo Stato.

Avverso tale pronuncia, le appellanti proponevano ricorso per cassazione di cui, ai fini del presente commento, verrà esaminato il primo motivo. Con tale doglianza, le ricorrenti hanno denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 347 c.p.c., nonché dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3), c.p.c., lamentando che la corte di merito non avesse sollecitato la cancelleria a richiedere il fascicolo di primo grado, né avesse valutato le questioni di merito sollevate nell’atto di appello in merito all’azione revocatoria, stante l’assenza in atti della sentenza di condanna della Corte dei Conti.

SOLUZIONE

[1] La Suprema Corte ha giudicato tale motivo inammissibile, rigettando il ricorso per cassazione presentato.

La ratio decidendi posta a fondamento della sentenza impugnata si sostanziava, infatti, nell’affermazione secondo cui “il deposito in atti dell’atto introduttivo del primo grado sia necessario ai fini del decidere, essendo doveroso anche per il giudice dell’impugnazione valutare la rituale e valida proposizione della domanda”.

Nel caso di specie, al momento della decisione della causa in secondo grado, i giudici di merito non hanno rinvenuto, nel fascicolo della parte appellante, i documenti già prodotti nel giudizio di primo grado su cui la medesima parte aveva assunto di aver basato la propria pretesa dedotta in controversia (e, in particolare, la sussistenza della legittimazione attiva in capo a sé). La Corte d’Appello di Roma – aderendo a un consolidato orientamento giurisprudenziale -, ha affermato che tale situazione non fosse preclusiva della possibilità di decidere il gravame nel merito, specie mancando un’allegazione della parte circa lo smarrimento di tali documenti: e ciò in quanto è onere della parte stessa, quando non si versi nel caso dell’incolpevole perdita dì essi (con conseguente possibilità della loro ricostruzione previa autorizzazione giudiziale), assicurarne al giudice di appello la disponibilità in funzione della decisione.

Non risulta, nel caso di specie, che l’appellante abbia posto in essere tale condotta processuale, con la conseguenza per cui, legittimamente, la Corte d’Appello di Roma ha deciso il gravame sulla scorta dei documenti rinvenuti in atti. La correttezza della ratio decidendi fondata sulla mancanza della sentenza della Corte dei Conti e del fascicolo di parte di primo grado, idonea di per sé a sorreggere la decisione, ha così reso superfluo l’ulteriore esame delle censure mosse dal ricorrente.

QUESTIONI

[1] La questione affrontata dalla Cassazione attiene alla determinazione delle conseguenze derivanti dal mancato rinvenimento, nella fase decisoria del giudizio d’appello, dei documenti già prodotti in primo grado dalla parte appellante, e dalla stessa posti a fondamento della propria pretesa (nel caso di specie idonei, tra l’altro, a comprovarne la legittimazione attiva).

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Roma – come confermato dal provvedimento in commento – si è conformata a un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità. Ne sono espressione, tra le altre, Cass., 15 maggio 2007, n. 11196, la quale ha affermato che “il mancato rinvenimento, nel fascicolo di parte, al momento della decisione della causa in secondo grado, dei documenti già prodotti nel giudizio di primo grado su cui la medesima parte assuma di aver basato la propria pretesa dedotta in controversia non preclude al giudice di appello di decidere nel merito sul gravame, qualora non si alleghi che gli stessi siano stati smarriti, essendo onere della parte stessa, quando non si versi nel caso dell’incolpevole perdita di essi (con conseguente possibilità della loro ricostruzione previa autorizzazione giudiziale), assicurarne al giudice di appello la disponibilità in funzione della decisione”; e, ancor prima, Cass., 20 dicembre 2004, n. 23598, secondo cui “il mancato rinvenimento nel fascicolo di parte, al momento della decisione della causa, dei documenti su cui la medesima parte assume di aver basato la propria pretesa in giudizio (documenti non risultanti neppure indicati nel ricorso introduttivo o depositati in cancelleria ai sensi dell’art. 87 disp. att. c.p.c.), non preclude al giudice di appello di decidere sul gravame, qualora non risulti che il fascicolo di parte sia andato smarrito e che la parte abbia avanzato richiesta di ricostruzione del medesimo” (per un’applicazione al processo tributario, Cass., 19 maggio 2010, n. 12250; per un’affermazione più recente, Cass., 27 giugno 2016, n. 13218).

È possibile desumerne, allora, che dall’ipotesi sin qui esaminata sia da tener distinto il caso in cui il documento, che risulti essere stato ritualmente depositato, sia successivamente andato smarrito (circostanza, come visto, non denunciata nel caso in esame): per tale ipotesi si può richiamare, tra le molte, Cass., 11 maggio 2010, n. 11352, la quale ha chiarito che “nell’ipotesi di smarrimento del proprio fascicolo e dei documenti in esso allegati, la parte ha l’onere di richiedere al giudice il termine per ricostruirlo e, disposte infruttuosamente le opportune ricerche tramite la cancelleria, può depositare nuovamente i documenti, mentre il giudice può pronunciare sul merito della causa sulla base degli atti a sua disposizione soltanto in caso di inosservanza di detto termine. Pertanto, il mancato rinvenimento, al momento della decisione della causa, di documenti che la parte invoca, se il fascicolo risulta depositato per tale momento, comporta per il giudice l’obbligo di disporre la ricerca di essi con i mezzi a sua disposizione e la possibilità per la parte di ottenere di depositarli nuovamente ovvero di ricostruirne il contenuto, se erano stati ritualmente prodotti” (conf., Cass., 8 febbraio 2013, n. 3055).

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