Mancata ammissione al passivo del fallimento del credito dell’avvocato per inadempimento: tra parametri di diligenza e onere della prova
di Giulia Ferrari, Avvocato Scarica in PDFCass. Civ., sez. VI, 10.06.2021 n. 16324 – Pres. Ferro – Rel. Campese
Parole chiave: fallimento, ammissione al passivo, onere della prova, eccezione di inadempimento, adempimento prestazione professionale, compenso del professionista, diligenza professionale, ius novorum.
Massime:
Il giudizio di opposizione allo stato passivo malgrado la sua natura impugnatoria non è caratterizzato dalla preclusione di cui all’articolo 345 c.p.c. in materia di ius novorum.
In tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, il creditore che agisce per l’adempimento deve soltanto provare la fonte negoziale o legale del suo diritto e relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall’onere della prova del fatto estintivo della sua pretesa costituito dall’avvenuto adempimento.
Nel caso in cui nell’atto costitutivo del giudizio di opposizione allo stato passivo vengano formulate eccezioni nuove o vengano precisate eccezioni già sollevate in sede di verifica, il rispetto del principio del contraddittorio esige che sia concesso un termine all’opponente per dispiegare le proprie difese e produrre la documentazione.
Disposizioni applicate: art. 360 c.p.c., artt. 1176, 1460 e 2697 c.c.; artt. 98 e 99 R.D. 16 marzo 1942, n. 267.
CASO
In sede di formazione dello stato passivo del fallimento della società Alfa la Curatela aveva reso parere negativo all’amissione del credito dell’avvocato Tizio inerente alle competenze dello stesso maturate per aver assistito la società Alfa nella predisposizione di una domanda di concordato preventivo presentata dalla stessa società, in pendenza dell’istruttoria prefallimentare.
Le motivazioni della mancata ammissione espresse dalla Curatela e riprese dal Giudice Delegato nel provvedimento di approvazione dello stato passivo erano così formulate “esclusa prededuzione comunque escluso il compenso per l’attività di assistenza nell’attività di presentazione della domanda di concordato in quanto il ricorso alla procedura di concordato è stato configurato come abuso del processo e quindi in pregiudizio dei creditori inoltre è configurabile l’inadempimento del professionista incaricato della risoluzione della crisi d’impresa”.
L’avvocato Tizio formulava opposizione allo stato passivo ex art. 98 L.F. e solamente in sede di costituzione in tale giudizio di opposizione, la curatela aveva concretamente esplicitato in cosa fosse concretamente consistito l’inadempimento ascritto a Tizio, prima contestato solo genericamente, ossia la violazione del canone di diligenza prescritto nell’esecuzione dell’attività professionale.
L’avvocato Tizio formulava opposizione allo stato passivo ex articolo 98 L. F., opposizione che veniva rigettata dal Tribunale competente con decreto avverso il quale l’avvocato Tizio proponeva ricorso per Cassazione censurando lo stesso (i) per aver erroneamente posto a Carico di Tizio piuttosto che della curatela, l’onere della prova circa l’inadempimento (ii) in quanto la motivazione espressa dal Curatore in sede di redazione del progetto di stato passivo, poi ripresa in modo sostanzialmente identico dal Giudice delegato, doveva considerarsi assolutamente insufficiente a fondare il rigetto dell’istanza di insinuazione perché priva dell’indicazione seppur sommaria dei profili di inadempimento asseritamente imputabili allo stesso Tizio, tale circostanza poi aveva impedito all’opponente di formulare già con il proprio ricorso ex articolo 98 L.F. le necessarie istanze istruttorie e di indicare in modo specifico i mezzi di prova di cui intendeva avvalersi per dimostrare la correttezza della sua condotta professionale (iii) per la mancata concessione di un termine di difesa per la formulazione delle medesime istanze istruttorie.
SOLUZIONE
Il Giudice di legittimità ha solo parzialmente accolto il ricorso. Ha infatti ritenuto che le precisazioni circa le motivazioni dell’eccezione di inadempimento, rese nell’atto costitutivo del giudizio di opposizione, fossero “mere allegazioni difensive” e comunque non integrassero una nuova eccezione di inadempimento; ha ritenuto altresì che il decreto impugnato abbia fatto corretta applicazione della regola di ripartizione dell’onere probatorio ma ha invece censurato il tribunale di prime cure affermando che avrebbe dovuto concedere nel procedimento ex art. 98 L.F. all’opponente un adeguato termine di difesa.
La Corte di Cassazione ha quindi cassato il decreto impugnato con rinvio al tribunale in diversa composizione per il corrispondente nuovo esame.
QESTIONI
La sentenza in esame offre l’opportunità per una riflessione relativa alla natura del giudizio di opposizione allo stato passivo e alle conseguenti regole processuali ad esso applicate. Risulta poi particolarmente interessante per il contesto di fatto in cui si inserisce la vicenda dell’esclusione relativa all’inadempimento del proprio mandato da parte dell’avvocato che ha prestato la propria attività professionale in favore della società poi fallita per la redazione della domanda di concordato preventivo.
La pronuncia specifica che l’inadempimento sarebbe stato giustificato dalla violazione di doveri accessori espressivi dell’obbligo di diligenza come quello di informazione, di avviso e protezione della cliente alla quale l’avvocato non aveva fornito tutte le informazioni necessarie al fine di consentire di valutare i rischi insiti nella procedura concordataria.
Inizieremo questo breve commento partendo da questo secondo aspetto e da un inquadramento circa i profili generali relativi alla responsabilità professionale dell’avvocato che opera nell’interesse della società poi fallita nella fase prefallimentare.
La responsabilità professionale dell’avvocato è disciplinata dall’art. 1218 c.c. e presuppone la violazione del dovere di diligenza, parametrata, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, in base alla diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell’articolo 1176 comma 2 c.c., da commisurare alla natura dell’attività esercitata con attenuazione ove ricorra l’ipotesi di cui all’art. 2236 c.c.
L’obbligo di diligenza imposto all’avvocato, sia al momento del conferimento dell’incarico che durante tutto il corso del rapporto contrattuale, dal combinato disposto degli artt. 1176, comma 2, e 1218 c.c., include anche: “doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest’ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole” (cfr. Cas. Civ., 19.07.2019, n. 19520) proprio tali doveri sono stati violati dall’avvocato Tizio nel caso in esame, integrando l’inadempimento e giustificando l’esclusione.
Con riferimento specifico alla condotta che deve tenere il professionista che (come nel caso che ci occupa) assume l’incarico di assistere la società nell’ammissione alla procedura di concordato preventivo, esso è tenuto ad “utilizzare tutte le cognizioni tecniche a propria disposizione per presentare una domanda completa, esaustiva e ineccepibile, conforme al tipo legale o “in alternativa, dopo aver raccolto dalla propria cliente tutta la documentazione e le informazioni necessarie per poter accedere al beneficio”, informarla delle criticità connesse alla soluzione scelta, rappresentandole tutti i rischi e/o eventualmente dissuadendola dal presentare la domanda al fine di evitare la dilatazione dei tempi della procedura con aggravio di costi (Tribunale di Monza 20.6.2019, conf. Tribunale di Padova 1.6.2018) oltre che a verificare la fattibilità giuridica della proposta, ossia la sua non incompatibilità con norme inderogabili (cfr. da ultimo Cass. 1.2.2018 n. 4790).
La particolarità del caso giunto allo scrutinio della Suprema Corte riguarda il fatto che l’ammissione del credito del professionista al passivo del fallimento è stata dapprima esclusa sulla base di una “generica” motivazione di inadempimento. Solamente nell’atto di costituzione nell’ambito del giudizio di opposizione allo stato passivo la Curatela aveva dato concretezza al motivo di esclusione, qualificando l’inadempimento dell’avvocato nella violazione di doveri accessori espressione dell’obbligo di diligenza, come quello di informazione, di avviso e protezione della cliente alla quale non aveva fornito tutte le informazioni necessarie al fine di consentire di valutare i rischi insiti nella procedura concordataria. Conseguentemente, l’avvocato Tizio, per la prima volta nell’ambito di tale procedimento, veniva a conoscenza nel dettaglio dei comportamenti che secondo la valutazione della Curatela avrebbero determinato l’inadempimento. Nonostante questo, nell’ambito del citato procedimento, nessun termine di difesa era stato concesso all’opponente per replicare alle difese contenute nell’atto di costituzione della parte opposta.
Le questioni sollevate dalla fattispecie sono diverse e corrispondono ai motivi di ricorso. Una prima riguarda il fatto se l’eccezione di inadempimento svolta compiutamente solo in fase di costituzione della Curatela nel procedimento di opposizione allo stato passivo possa considerarsi ius novum e se la risposta fosse affermativa che rilievo esso abbia nel procedimento di opposizione; una seconda è relativa al fatto se la medesima contestazione sia sufficiente ad integrare i requisiti dell’onere della prova; una terza è relativa al fatto se la mancata concessione di un termine di difesa a favore dell’avvocato Tizio nel medesimo giudizio di opposizione non abba violato il suo diritto ad una difesa piena.
Per inquadrare correttamente la vicenda è necessario ricordare che, secondo l’orientamento dominante della giurisprudenza, il giudizio di opposizione allo stato passivo ha natura impugnatoria benché non possa configurarsi come un vero e proprio appello (cfr. da ultimo Cass. n. 17293/2016 e Cass. n. 9617/2016), da cui discende come corollario l’inoperatività del divieto dei nova ex art. 345 c.p.c., con conseguente ammissibilità delle eccezioni proposte dal Curatore per la prima volta nel giudizio di opposizione “in quanto il riesame, a cognizione piena, del risultato della cognizione sommaria proprio della verifica, demandato al giudice dell’opposizione, se esclude l’immutazione del “thema disputandum” e non ammette l’introduzione di domande riconvenzionali della curatela, non ne comprime tuttavia il diritto di difesa, consentendo, quindi, la formulazione di eccezioni non sottoposte all’esame del giudice delegato” (Cass. n. 19003/2017; Cass. Civ. 6.8.2019 n. 22386 e recentemente Cass. Civ. 21490/2020). Lo stesso vale anche, “posto che il più contiene il meno”, quanto alle specificazioni di eccezioni già solo genericamente proposte.
Con riferimento all’onere della prova nel giudizio di opposizione, in applicazione dei principi generali in tema di responsabilità contrattuale ed eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., incombe sul Curatore l’onere di allegare l’inadempimento e sul professionista quello di provare di aver diligentemente e peritamente adempiuto all’obbligazione assunta (cfr. Cass. Civ. 18.2.2020 n. 3996; Cassazione Civ. sez. unite n. 13533/2001). L’eccezione di inadempimento invocabile anche nell’ipotesi di prestazioni professionali (cfr. Cass. 5.7.2012 n. 11304), se è fondata, elide il diritto al compenso (cfr. Cass. Civ. 16.7.2018 n. 18858; Cass. 2.2.2007 n. 2257; Cass. Civ. 5928/2002).
Sulla scorta di tali principi, la Cassazione ha affermato che il decreto impugnato ha fatto corretta applicazione della regola della ripartizione dell’onere probatorio ed ha altresì affermato la natura di mera allegazione difensiva rispetto alle precisazioni sull’eccezione di inadempimento esplicitata dalla curatela solo costituendosi nel giudizio di opposizione ma già contenuta quale eccezione nel provvedimento di definitività dello stato passivo.
Gli Ermellini, nella sentenza in esame, hanno tuttavia censurato il giudice di prime cure che, essendone anche stato richiesto, non aveva concesso all’opponente termine di difesa dopo il deposito dell’atto costitutivo della curatela contenente le precisazioni inerenti l’eccezione di inadempimento, violando il principio del contraddittorio e il diritto ad una piena difesa. Così si sono espressi i Giudici di Legittimità “In queste ipotesi e solo in relazione ai contenuti e termini dell’eccezione nuova o come nella concreta fattispecie di quella (originariamente generica e solo dopo adeguatamente specificata) il rispetto del principio del contraddittorio esige che sia concesso termine all’opponente per dispiegare le proprie difese e produrre la documentazione probatoria idonea supportarle Cass. Civ. 22386/2019”. È stato altresì precisato che tale concessione si deve riferire solamente ai contenuti e termini dell’eccezione nuova proposta o specificata in sede di memoria di costituzione, poiché allargare ad altro orizzonte la difesa significherebbe in realtà eliminare dal tessuto normativo vigente la preclusione prevista dalla disciplina dell’art. 99 L.F. comma due numero 4, secondo la quale a pena di decadenza le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio nonché l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti devono essere contenuti nel ricorso.