Mancanza dell’esposizione sommaria dei fatti di causa ex art. 366, n. 3), c.p.c.
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass., sez. I, 1° marzo 2022, n. 6611, Pres. Cristiano – Est. Vella
[1] Omessa esposizione dei fatti di causa – Inammissibilità – Integrazione con gli atti di causa – Esclusione – Fondamento (art. 366 c.p.c.)
Massima: “Il ricorso per cassazione in cui manchi completamente l’esposizione dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato è inammissibile; tale mancanza non può essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si articola il ricorso, non essendone garantita l’esatta comprensione in assenza di riferimenti alla motivazione del provvedimento censurato, né attraverso l’esame di altri atti processuali, ostandovi il principio di autonomia del ricorso per cassazione”.
CASO
[1] Un cittadino nigeriano presentava al Tribunale di Napoli richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e del diritto a ottenere la protezione sussidiaria o quella umanitaria.
L’adito Tribunale rigettava tale richiesta ritenendo che il racconto svolto dall’istante fosse del tutto inattendibile, escludendo che la Nigeria versasse in una situazione di violenza indiscriminata, nonché per la mancata allegazione di profili di vulnerabilità del richiedente e di un suo percorso di integrazione in Italia.
Tale decreto di rigetto veniva impugnato per cassazione, sulla base di tre motivi, che è doveroso richiamare integralmente di seguito, allo scopo di poter valutare la decisione assunta dalla Cassazione.
Con il primo motivo – rubricato «mancata assunzione mezzi di prova; violazione art. 35 bis c. 10 lett. c) d.lgs. 25/08 in relazione all’art. 24 comma 2 Costituzione» – si lamentava, sostanzialmente, che «le incongruenze dell’audizione avrebbero meritato un approfondimento» e che l’attentato del 2016 nella chiesa [raccontato dall’istante a corroborare la propria richiesta] avrebbe potuto accertarsi tramite una richiesta di informativa al Dipartimento degli Affari esteri o alla competente Ambasciata in Italia.
Con il secondo mezzo – rubricato «violazione dell’art. 50 bis c. 2 c.p.c. in relazione all’art. 738 c.p.c.; mancata composizione collegiale udienza istruttoria» – ci si doleva che l’udienza istruttoria fosse stata tenuta in forma monocratica, mentre «il giudice relatore nominato nel rito camerale ai sensi dell’art. 738 c.p.c. ha la funzione di acquisire le informazioni sullo stato del procedimento per riferire al collegio», non già di disporre l’assunzione delle prove con «espropriazione dei poteri del collegio».
Con il terzo motivo si lamentava «violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 7 d.lgs. 251/07, anche in relazione alla violazione del diritto di difesa; difetto di motivazione», perché il tribunale avrebbe dovuto «citare le fonti consultate e l’anno di riferimento, anche al fine di verificare l’attendibilità delle stesse».
In via preliminare, la Suprema Corte rileva tuttavia la mancanza dell’esposizione sommaria dei fatti di causa richiesta dall’art. 366, n. 3) c.p.c.,
SOLUZIONE
[1] La Corte di Cassazione ricorda come tale requisito, ex art. 366, n. 3), c.p.c., sia essenziale poiché l’illustrazione dei fatti sostanziali e processuali della vicenda è funzionale alla comprensione dei motivi e alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte (in tal senso, Cass., nn. 10072/2018, 7025/2020 e 28780/2020).
Il provvedimento in commento richiama anche una pronuncia delle Sezioni Unite, le quali hanno precisato che la mancanza di tale requisito “non può essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si articola il ricorso, non essendone garantita l’esatta comprensione in assenza di riferimenti alla motivazione del provvedimento censurato, né attraverso l’esame di altri atti processuali, ostandovi il principio di autonomia del ricorso per cassazione” (il riferimento è a Cass., sez. un., 25 maggio 2014, n. 11308).
Conseguentemente, il ricorso presentato viene dichiarato inammissibile.
QUESTIONI
[1] La pronuncia in commento ritorna sulla definizione dei requisiti di ammissibilità del ricorso per cassazione, esprimendosi di nuovo sul principio di c.d. autosufficienza del ricorso.
La questione oggetto di decisione attiene, più precisamente, al requisito di cui all’art. 366, n. 3), c.p.c.
Tale norma, come noto dedicata al contenuto del ricorso per cassazione, richiede, al richiamato n. 3), che il ricorso debba contenere «a pena di inammissibilità: […] l’esposizione sommaria dei fatti di causa».
In generale, tutti i requisiti di forma del ricorso per cassazione prescritti dall’art. 366 c.p.c. sono previsti a pena di inammissibilità, rilevabile d’ufficio.
Con riguardo specifico al requisito di cui al n. 3), la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il ricorrente, per un verso, non possa limitarsi a fare rinvio a quanto contenuto nella sentenza impugnata sullo svolgimento del processo, senza ulteriore specificazione dell’esito del giudizio d’appello e delle ragioni della decisione (Cass., 29 marzo 2012, n. 5066) ma, per altro verso, non debba neanche ripetere tutte le circostanze della causa, essendo tale indicazione meramente strumentale all’esigenza di agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa, l’esito dei gradi precedenti con eliminazione delle questioni non più controverse e il tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura (Cass., 4 aprile 2018, n. 8245).
Per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che, come noto, mira ad assicurare che il ricorso contenga in sé tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità nella condizione di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, senza la necessità di accedere ad altre fonti e atti del processo (tra le tante, Cass., 4 aprile 2006, n. 7825) -, il requisito dovrà ritenersi soddisfatto solo quando, nel contesto dell’atto di impugnazione, si rinvengano gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella, asseritamente erronea, compiuta dal giudice del merito: senza che sia necessario attingere ad altre fonti per una immediata e precisa cognizione di simili circostanze, ivi compresa la sentenza impugnata, sì da acquisire un quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione censurata e i motivi delle doglianze prospettate (Cass., 29 settembre 2015, n. 19218).
La più recente giurisprudenza di legittimità che si è espressa sul requisito in discorso ha precisato, tra l’altro, che “per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366, comma 1, n. 3 c.p.c., il ricorso per cassazione deve indicare, in modo chiaro ed esauriente, sia pure non analitico e particolareggiato, i fatti di causa da cui devono risultare le reciproche pretese delle parti con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano in modo da consentire al giudice di legittimità di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto senza dover ricorrere ad altre fonti e atti del processo, dovendosi escludere, peraltro, che i motivi, essendo deputati ad esporre gli argomenti difensivi possano ritenersi funzionalmente idonei ad una precisa enucleazione dei fatti di causa” (così, Cass., 3 novembre 2020, n. 24432).
Sul punto è senz’altro opportuno richiamare la giurisprudenza della Corte EDU – cui fa riferimento anche il provvedimento in commento – la quale, in un caso dalla stessa deciso, ha riconosciuto la legittimità in astratto del requisito dell’autosufficienza del ricorso dinanzi alla Corte di cassazione pur essendo stato necessario attingere complessivamente agli atti di causa per colmare la carenza espositiva del ricorso medesimo (Corte EDU, 28 ottobre 2021, Succi ed altri c. Italia).
Neppure l’applicazione di tale orientamento, tuttavia, avrebbe consentito, nel caso di specie, di salvare il ricorso dalla sanzione dell’inammissibilità.
I singoli motivi articolati, infatti, non apparivano comunque in grado di superare tale vaglio: in relazione al primo, questo veicolava infatti una censura del tutto generica nei confronti dell’attività di valutazione degli elementi di fatto svolta dal Tribunale; il secondo motivo proposto, poi, difettava di specificità, non lasciando comprendere in cosa sia consistita, in concreto, la violazione processuale denunciata; il terzo motivo, infine, veniva giudicato come infondato e, di nuovo, come generico.
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