L’ufficiale giudiziario non può sindacare il titolo esecutivo e risponde dei danni in caso di rifiuto a dare corso all’esecuzione
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. III, 23 maggio 2024, n. 14478 – Pres. Travaglino – Rel. Fanticini
Esecuzione forzata – Titolo esecutivo – Provvedimento giurisdizionale spedito in forma esecutiva – Sindacabilità della natura di titolo esecutivo da parte dell’ufficiale giudiziario – Inammissibilità
Massima: “L’ufficiale giudiziario cui viene esibito un provvedimento giurisdizionale munito di formula esecutiva apposta dal cancelliere ai sensi dell’art. 153 disp. att. c.p.c. (nella versione precedente alle modifiche apportate dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149) non può sindacarne ovvero escluderne la natura di titolo esecutivo, sicché è illegittimo il rifiuto opposto all’esecuzione del pignoramento per asserita carenza di un valido titolo esecutivo”.
CASO
L’ufficiale giudiziario, cui era stata presentata un’ordinanza emessa dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 510 c.p.c. munita di formula esecutiva affinché procedesse al pignoramento mobiliare, ne rifiutava l’esecuzione, ritenendo che il provvedimento esibitogli non fosse sussumibile tra quelli ai quali l’art. 474 c.p.c. attribuisce efficacia esecutiva e che, pertanto, non costituisse titolo esecutivo.
La creditrice che si era vista negare l’esecuzione del pignoramento agiva nei confronti dell’ufficiale giudiziario per ottenere il risarcimento del danno e la domanda veniva accolta tanto in primo grado, quanto all’esito del giudizio d’appello.
L’ufficiale giudiziario proponeva, quindi, ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Potenza.
SOLUZIONE
[1] La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, affermando che l’ufficiale giudiziario non è un organo giurisdizionale, con la conseguenza che, da un lato, non può sovrapporre le proprie valutazioni a quelle che competono al giudice e, dall’altro lato, non è legittimato a sindacare l’accertamento compiuto dal cancelliere ai fini dell’apposizione della formula esecutiva ai sensi dell’art. 153 disp. att. c.p.c. (nella versione precedente alle modifiche apportate dal d.lgs. 149/2022), sicché è illegittimo il rifiuto del compimento dell’atto richiestogli sul presupposto che il provvedimento esibitogli dal creditore non costituisce titolo esecutivo.
QUESTIONI
[1] La Corte di Cassazione sancisce la responsabilità dell’ufficiale giudiziario che rifiuti di dare corso al pignoramento assumendo che quello esibitogli dal creditore non è un titolo esecutivo.
Il punto di partenza del ragionamento svolto dai giudici di legittimità è rappresentato dal corretto inquadramento della figura dell’ufficiale giudiziario: questi non è un organo giurisdizionale, bensì un ausiliario dell’ordine giudiziario, che, a termini dell’art. 1 D.P.R. 1229/1959, procede all’espletamento degli atti demandatigli, quando siano ordinati dall’autorità giudiziaria o richiesti dal cancelliere o dalla parte interessata.
L’ufficiale giudiziario, pertanto, è privo dei poteri giurisdizionali che competono al giudice e di un’autonoma sfera di iniziativa come organo giurisdizionale, sicché deve escludersi che egli possa sovrapporre le sue funzioni a quelle spettanti al giudice, ovvero che possa compiere valutazioni che appartengono alle prerogative di quest’ultimo.
Sempre in virtù dell’inquadramento del suo ruolo nell’ordinamento, l’ufficiale giudiziario non è nemmeno legittimato a sindacare le attività svolte dal cancelliere in forza dei poteri attribuitigli dalla legge: così, non è suscettibile di critica da parte sua l’accertamento compiuto dal cancelliere ai fini del rilascio della copia in forma esecutiva della sentenza o del provvedimento del giudice ai sensi dell’art. 153 disp. att. c.p.c. (nella formulazione anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. 149/2022, che ha abrogato la formula esecutiva, stabilendo che, per valere come titolo esecutivo, le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti dell’autorità giudiziaria, nonché gli atti ricevuti da notaio o altro pubblico ufficiale, debbono essere rilasciati in copia attestata conforme all’originale, salvo che la legge disponga altrimenti).
Da questo punto di vista, sebbene la formula esecutiva non valesse ad attribuire la natura di titolo esecutivo al documento privo dei requisiti sostanziali prescritti dalla legge per valere come tale (mentre, di converso, la sua assenza non inficiava l’efficacia di titolo esecutivo del documento cui doveva essere apposta), il cancelliere era tenuto ad apporla all’esito di un controllo sulla perfezione formale del titolo prescritto dall’art. 153 disp. att. c.p.c., valendo l’adempimento in questione a suggellare l’idoneità dell’atto a sostenere l’azione esecutiva.
In altre parole, considerata la riserva di legge contenuta nell’art. 474 c.p.c., attraverso la spedizione in forma esecutiva si verificava, da un lato, l’esistenza di una norma che conferiva all’atto la qualità di titolo esecutivo e, dall’altro lato, che lo stesso non fosse stato revocato, annullato o cassato, individuandosi altresì la parte che aveva diritto di utilizzare il titolo.
Questo duplice accertamento demandato dalla legge al cancelliere non può essere sostituito dalle valutazioni dell’ufficiale giudiziario richiesto di compiere un atto esecutivo, essendo egli privo di compiti o funzioni che a tanto lo legittimano: l’ufficiale giudiziario è organo esecutivo, chiamato a cooperare per dare concreta attuazione al comando contenuto nel provvedimento giudiziale e consentire così al creditore di conseguire soddisfazione in relazione al diritto accertato.
Pertanto, poiché la legge non prevede espressamente alcun controllo dell’ufficiale giudiziario in ordine alla perfezione formale dell’atto giudiziario, né stabilisce sanzioni analoghe a quelle irrogabili al cancelliere con riferimento alle attività inerenti alla sua spedizione in forma esecutiva, l’avvenuto rilascio della formula non può essere rimesso in discussione dall’ufficiale giudiziario.
Una volta esibitogli un provvedimento giudiziario munito di formula esecutiva, dunque, l’ufficiale giudiziario non è tenuto a esercitare alcun controllo in ordine al suo contenuto sostanziale, né può effettuarlo, ma deve limitarsi a una verifica di carattere strettamente formale, attinente alla ricorrenza di un titolo esecutivo inteso – nel sistema delineato prima dell’abrogazione della formula esecutiva – quale atto spedito in forma esecutiva, ovvero munito della formula esecutiva ai sensi dell’art. 475 c.p.c. (nella versione antecedente alle modifiche introdotte dal d.lgs. 149/2022).
In questo senso, l’ufficiale giudiziario non può anticipare valutazioni – in ordine all’effettiva sussistenza di un atto o di un provvedimento qualificabile come titolo esecutivo – che competono in via esclusiva al giudice dell’esecuzione o delle opposizioni esecutive.
È noto, infatti, che la verifica ex officio della ricorrenza di un titolo esecutivo che sorregga l’esecuzione forzata e, dunque, circa la sussistenza di un atto riconducibile a quelli elencati dall’art. 474 c.p.c. da cui risulti un diritto certo, liquido ed esigibile, compete al giudice dell’esecuzione; d’altra parte, anche prima dell’inizio dell’esecuzione forzata, ovvero a seguito della notifica dell’atto di precetto e anteriormente all’esplicarsi del potere officioso demandato al giudice dell’esecuzione, la verifica dell’esistenza di un valido titolo esecutivo munito dei requisiti formali prescritti dalla legge è attribuita al giudice investito di un’opposizione proposta ai sensi, rispettivamente, dell’art. 615, comma 1, c.p.c. e dell’art. 617, comma 1, c.p.c.
L’ufficiale giudiziario, in questo senso, ha – quale ausiliario di giustizia – una posizione di subalternità rispetto al giudice e può giustificare il rifiuto del compimento dell’atto demandatogli solo quando la richiesta non sia stata avanzata legalmente, ossia quando il documento esibitogli per l’avvio dell’azione esecutiva sia manifestamente carente dei requisiti formali prescritti e lo sia in maniera tale da impedire la sua astratta riconduzione a una qualsivoglia tipologia di titolo esecutivo: così, prima della riforma dell’art. 475 c.p.c., il controllo dell’ufficiale giudiziario era incentrato sulla presenza o meno della formula esecutiva in calce al provvedimento consegnato dal creditore. Si tratta, in definitiva, di un controllo di carattere meramente estrinseco, ossia limitato all’esistenza di un titolo esecutivo formalmente perfetto, vale a dire munito dei requisiti di forma prescritti dalla legge, che non si estende a quelli di carattere sostanziale, che valgono a qualificarlo come tale ai sensi dell’art. 474 c.p.c., visto che tale verifica è attribuita alla competenza esclusiva dell’organo giurisdizionale impersonato dal giudice dell’esecuzione o dell’opposizione esecutiva, attenendo al quomodo dell’esecuzione forzata.
Secondo la Corte di cassazione, pertanto, non può nemmeno ipotizzarsi un concorso tra una valutazione incidentale (e, per così, dire, preliminare) dell’ufficiale giudiziario e una (successiva e più compiuta) di carattere decisorio effettuata dal giudice.
L’ufficiale giudiziario che rifiuti l’esecuzione del pignoramento sostenendo la carenza di un titolo esecutivo, sebbene quello consegnatogli dal creditore istante sia formalmente perfetto, incorre quindi nell’omissione del compimento di un atto dovuto, sanzionabile ai sensi dell’art. 2043 c.c., giusta quanto stabilito dall’art. 60 c.p.c.
Ferma restando la ricostruzione dei poteri dell’ufficiale giudiziario operata dalla Corte di cassazione e la qualificazione come illegittimo del rifiuto opposto all’esecuzione del pignoramento, resta da chiedersi se la parte che si era vista negare l’avvio dell’espropriazione forzata avesse effettivamente diritto al risarcimento dei danni, come riconosciuto dai giudici di merito.
Dall’ordinanza annotata, infatti, si evince che la somma liquidata in favore della creditrice che aveva vanamente formulato l’istanza esecutiva ammontava a poche centinaia di euro e riguardava le spese del precetto andato perento.
Se si considera, tuttavia, che l’assenza di un valido titolo esecutivo – rilevata dall’ufficiale giudiziario e illegittimamente addotta a fondamento del rifiuto di dare corso al pignoramento – avrebbe nondimeno condotto alla declaratoria di improcedibilità (ovvero di estinzione atipica) dell’espropriazione avviata, indipendentemente da un’iniziativa in questo senso del debitore esecutato (trattandosi di questione rilevabile d’ufficio dal giudice dell’esecuzione), non vi è chi non veda come, in realtà, si fatichi a ravvisare un vero e proprio danno, dal momento che, a termini dell’art. 95 c.p.c., così come interpretato da una più che consolidata giurisprudenza, le spese sostenute dal creditore per avviare e coltivare un’azione esecutiva rivelatasi in tutto o in parte infruttuosa restano definitivamente a suo carico, in quanto e nella misura in cui non possano trovare copertura nel ricavato dalla vendita dei beni pignorati.
La – sia pure illegittima – iniziativa dell’ufficiale giudiziario, in verità, ha consentito al creditore di risparmiare non solo le spese da anticiparsi per l’esecuzione del pignoramento, ma pure quelle per la sua iscrizione a ruolo e per l’evasione dei successivi adempimenti prescritti dalla legge, che si sarebbero rivelate inutili a seguito della dichiarazione di chiusura anticipata del processo esecutivo che il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto emettere ex officio, sicché, a maggior ragione, riesce difficile ravvisare un danno suscettibile di risarcimento.
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