Lotta internazionale alla corruzione di impresa: nuovi scenari ed impatti sul modello 231
di Antonio Candotti Scarica in PDFIn Verrem è il nome che si dà ad una serie di orazioni risalenti al I secolo a.C. nelle quali Cicerone, in veste di procuratore, accusa dei reati di corruzione e concussione Gaio Licinio Verre, governatore della Sicilia.
Per quanto curioso, a distanza di duemila anni il tema della lotta alla corruzione, rientrante nel fenomeno più generale della criminalità d’impresa, costituisce ancora e, anzi, sempre più oggetto di discussione politica ed impegna non solo le agende delle Istituzioni nazionali, ma anche e soprattutto quelle sovranazionali, in sintonia con un sistema economico e legale sempre più globale ed interconnesso.
Emblematica, a tal proposito, risulta essere l’analisi delle principali fonti normative.
Il 21 Novembre 1997 viene siglata a Parigi la “Convenzione sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali” (OECD Convention on Combating Bribery of Foreign Public Officials in International Business Transactions) dalla quale emergono i principi ispiratori dell’azione di lotta alla corruzione da parte degli Stati Membri OCSE e gli strumenti da utilizzare per raggiungere l’obiettivo. La commissione OCSE, consapevole degli effetti distorsivi della Corruzione sul corretto funzionamento del sistema economico, sociale e politico nel suo complesso, impone agli Stati firmatari di considerare la corruzione di funzionari stranieri, per ottenere indebiti vantaggi nel commercio internazionale, reato punibile, sia in capo alla persona fisica che lo ha commesso, sia in capo alla persona giuridica a cui essa appartiene. Un atto di corruzione, ossia l’offerta, la promessa o il pagamento di una somma o di un’altra utilità non dovuta, anche in natura, è considerato un reato perseguibile in Italia, qualunque sia la cittadinanza del funzionario corrotto e l’organizzazione statale o internazionale cui questi appartenga. La Convenzione OCSE mira anche ad una efficacia “preventiva e dissuasiva” a sostegno delle imprese. Preventiva nel senso di sollecitare le imprese che operano sui mercati internazionali ad astenersi dal porre in essere, in tali mercati, pratiche che possano configurare il reato. Dissuasiva nel senso di consentire alle imprese di resistere meglio a richieste illecite, invocando il divieto, ora penalmente sanzionato in tutti i Paesi industrializzati di origine, di pagare somme di denaro o altre utilità non dovute. Nel caso specifico italiano la Convenzione, ratificata solo nel 2001, porta alla promulgazione del D.Lgs. 231 del 8 Giugno 2001, il quale non solo disciplina la posizione della Società rispetto al reato di corruzione, ma crea l’istituto stesso della responsabilità amministrativa degli enti, aprendo la strada a quel tertium genus di responsabilità che si pone a metà tra il mondo amministrativo, unico esistente fino a tale momento nell’ambito societario, e quello penale, applicabile alla sola persona fisica per definizione costituzionale. Tale istituto determina, in un certo senso, il tramonto del tradizionale principio contenuto nel brocardo “societas delinquere non potest” in favore del nuovo “societas puniri potest”.
Dopo un lungo periodo di inattività da parte dell’Organizzazione e di altre Istituzioni di egual rilievo politico, il 2016 ha visto un rinnovato interesse internazionale per il tema con conseguenti azioni di indirizzo, la cui attuazione concreta viene, come d’uso, demandata ai singoli legislatori e governi nazionali.
Il 16 Marzo del 2016 i Ministri e i Rappresentanti dei 41 Stati firmatari della Convenzione del ‘97 si sono riuniti a Parigi in un working meeting, presieduto dal Ministro della Giustizia Orlando, ed hanno riaffermato la loro ferma convinzione della necessità di contrastare l’illegalità d’impresa su un piano internazionale e l’impegno a perseguire la Giustizia ed il Bene Comune con strategie coordinate, supportate anche da una sempre maggiore condivisione di informazioni e conoscenze.
Due mesi dopo, a Londra, su iniziativa dell’ex primo ministro David Cameron, direttamente coinvolto nello scandalo internazionale dei Panama Papers, si è svolto un summit che ha dato origine ad una Dichiarazione (Anti-corruption Summit | London 2016: Communiqué) di 34 articoli esplicativi delle volontà, teoriche e pratiche, delle parti e a Statements dei singoli Stati sulle azioni specifiche che verranno intraprese.
Proprio nell’Anti-Corruption Communiqué si possono riscontrare le linee di sviluppo principali della lotta al malaffare imprenditoriale, che riprendono, peraltro, due documenti intergovernativi di fondamentale importanza quali le raccomandazioni del FATF (Financial Action Task Force) e la Convenzione ONU sulla Lotta alla Corruzione (United Nations Convention against Corruption). Esse si concretizzano nella promozione dei valori di Integrity, Transparency, Accountability e dell’informazione in ambito del Beneficial Ownership, in particolare verso le società fiduciarie e i trusts, fenomeni tipicamente anglosassoni. Temi complessi, questi, che richiedono trattazioni specifiche, tuttavia accomunati da una stessa matrice ontologica: trasparenza, veridicità e correttezza.
Infine, di grande importanza, il G20 Leaders’ Communiqué, pubblicato dopo il Summit del G20 di Settembre a Hangzhou, in Cina, nel quale si riprendono i principi sanciti dalle precedenti Dichiarazioni, qui citate, sottolineando la necessità di coordinare l’azione su un piano mondiale, con il costante rispetto della sovranità nazionale, da un lato, e l’allineamento dei diversi sistemi giuridico-legali dall’altro, ed accogliendo positivamente la proposta cinese di creare un centro di ricerca sui beni confiscati.
Sulla base, dunque, del quadro normativo internazionale di riferimento e degli obiettivi da esso fissati, risultano chiare e ragionevoli le possibili evoluzioni, sul piano nazionale, del D.Lgs. 231, che si articolano principalmente su due grandi macrotematiche: l’Asset recovery, che riguarda la tematica del sequestro e la confisca di beni aziendali, e la Capacity Building, che si concretizza nella ricerca di una sempre maggiore collaborazione interna per il buon funzionamento del Modello di Organizzazione Gestione e Controllo ai sensi del D.Lgs. 231/01 (“MOGC”).
Di notevole rilevanza per i suoi impatti non solo economici, ma anche culturali, risulta essere, infine, l’ipotetico sviluppo di un sistema informativo ed una banca dati societaria facilmente accessibile da tutti gli stakeholders e dalla cittadinanza nel suo insieme. Strumento, quest’ultimo, che ben risponde alle richieste internazionali di Transparency, ma che richiede un notevole sforzo di cambiamento sui vari piani nazionali.
Lungi dal diminuire, l’attenzione verso l’applicazione del D.Lgs. 231 attraverso l’attuazione del relativo MOGC ha acquisito e continua ad acquisire forza e significato crescenti.