4 Dicembre 2018

L’ordinanza con cui il giudice dichiara estinta la divisione endoesecutiva ha natura di sentenza, soggetta ad appello, non a reclamo al collegio ex art. 630 c.p.c.

di Erika M. Mauri Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. III, 23 agosto 2018, n. 20977 – Pres. Chiarini – Rel. D’Arrigo

In tema di esecuzione forzata immobiliare su bene indiviso, il provvedimento con il quale il giudice, per inattività delle parti, dichiara l’estinzione del giudizio di divisione del bene pignorato, instaurato ex artt. 600 e 601 c.p.c., anche se emesso in forma di ordinanza, ha natura di sentenza, determinando la chiusura del processo in base alla decisione di una questione pregiudiziale, con la conseguenza che esso è impugnabile con appello e non mediante reclamo dinanzi al collegio ex art. 630 c.p.c.

Espropriazione forzata di beni indivisi – Divisione endosesecutiva – Estinzione per inattività delle parti – Ordinanza del giudice dell’esecuzione – Mezzo di impugnazione – Reclamo ex art. 630 c.p.c. – Inammissibilità – Contenuto di sentenza – Appello – Ammissibilità (Cod. proc. civ. artt. 178, 307, 308, 600, 601 e 630)

CASO

Tizio avviava una procedura esecutiva immobiliare su bene indiviso. Ravvisata la necessità di instaurare un giudizio di divisione del bene pignorato, il Giudice dell’esecuzione sospendeva la procedura esecutiva e dava avvio al giudizio di divisione endoesecutiva, ordinando all’attore di procedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti dei comproprietari del bene e dei creditori ipotecari.

Regolarizzato il contraddittorio, il procedimento veniva interrotto per decesso di una delle parti e successivamente riassunto solo nei confronti dei comproprietari del bene e non anche dei creditori ipotecari, rimasti sin dall’inizio contumaci. Il Tribunale ordinava comunque di procedere all’integrazione del contraddittorio anche nei loro confronti e parte attrice vi provvedeva mediante notifica della sola ordinanza impositiva di tale obbligo e non anche dell’atto di riassunzione del procedimento anteriormente interrotto.

Ritenuta per tale motivo irrituale l’integrazione del contraddittorio, il Tribunale adito dichiarava l’estinzione del giudizio di divisione mediante ordinanza, che veniva tempestivamente impugnata da parte attrice con appello proposto innanzi alla Corte territorialmente competente. Ritenendo erroneo il mezzo di impugnazione prescelto (i.e. l’appello in luogo del reclamo), la Corte territoriale adita dichiarava il gravame inammissibile.

La pronuncia anzidetta veniva fatta oggetto di ricorso per Cassazione motivato, inter alia, dall’erroneità nella dichiarazione di inammissibilità dell’appello, data la natura di sentenza che avrebbe dovuto essere riconosciuta all’ordinanza di estinzione del giudizio di divisione endoesecutivo.

SOLUZIONE

 La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso e lo accolto.

Secondo il Supremo Consesso, infatti, il provvedimento con cui il giudice istruttore (quando nel corso del giudizio a cognizione piena opera come giudice monocratico) dichiara che il processo si è estinto non è soggetto a reclamo al collegio ex art. 630 c.p.c. e, siccome determina la chiusura del processo in base alla decisione di una questione pregiudiziale attinente al processo medesimo, ha natura e contenuto di sentenza, quale che sia la forma adottata, con la conseguenza che la parte che si ritiene pregiudicata da tale ultimo provvedimento può impugnarlo con gli ordinari mezzi d’impugnazione.

QUESTIONI

 Nel caso di specie la Corte di Cassazione è stata chiamata a occuparsi dei mezzi di impugnazione esperibili avverso il provvedimento di estinzione del procedimento per inattività delle parti e a sottolineare, nuovamente, la differenza tra le disposizioni di cui agli artt. 307 e 630 c.p.c..

Innanzitutto, la Suprema Corte ha chiarito che, prodromica al fine di individuare la disposizione applicabile al singolo caso è l’individuazione del procedimento della cui estinzione di discute.

Sebbene, infatti, il giudizio di divisione endoesecutiva venga instaurato, a norma degli artt. 600-601 c.p.c. e 181 disp. att. c.p.c. in seno al procedimento esecutivo, i due procedimenti rimangono ciò nonostante ben distinti sia per quanto attiene alla loro natura, sia per quanto attiene alle disposizioni applicabili.

Il giudizio di divisione endoesecutivo, ancorché affidato al medesimo giudice dell’esecuzione, è e resta comunque un giudizio ordinario di cognizione finalizzato alla dichiarazione di scioglimento della comunione insistente sul bene indiviso oggetto di esecuzione forzata. Di contro, il procedimento esecutivo è, come noto, avviato allo scopo di ottenere il soddisfacimento coattivo delle ragioni creditorie sui beni del debitore.

Data la radicale differenza esistente tra i due procedimenti, anche la disciplina ai medesimi applicabile (e, nello specifico, quella inerente alla loro declaratoria di estinzione e ai relativi mezzi di impugnazione) differisce nettamente.

Di talché, se correttamente l’ipotesi di omessa riassunzione o prosecuzione della procedura per inattività delle parti nell’ambito del procedimento esecutivo trova la sua disciplina nell’art. 630 c.p.c., la mancata tempestiva riassunzione a seguito di interruzione del giudizio di divisione è regolata dall’art. 307 c.p.c., il cui rinvio all’art. 178 c.p.c. richiede che la parte intenzionata a proporre gravame si accerti preventivamente della veste (di giudice monocratico o meno) nella quale il giudice istruttore opera nello specifico procedimento della cui estinzione si controverte.

Pertanto, la Corte, in conformità a propri precedenti orientamenti e muovendo dall’osservazione che il giudice istruttore opera quale giudice monocratico nel giudizio a cognizione piena qual è la divisione endoesecutiva, ha chiarito come in tal caso il provvedimento che definisce il giudizio, determinandone la chiusura in base alla decisione di una questione pregiudiziale attinente al processo (art. 279 cod. proc. civ., comma 2, n. 2), “ha natura di sentenza, anche se emesso in forma di ordinanza”. Esclusa, pertanto, l’esperibilità del reclamo ai sensi dell’art. 308 c.p.c., “esso è impugnabile con gli ordinari mezzi di impugnazione” (in senso conforme, ex plurimis, Cass. civ., Sez. III, 16 maggio 2012, n. 7633; Cass. civ., Sez. I, 11 novembre 2010, n.22917; Cass. civ., Sez. III,  27 giugno 2007 n. 14592; Cass. civ., Sez. III, 17 maggio 2007 n. 11434).

Ne discende, in definitiva, che la corretta selezione del mezzo di gravame esperibile nel caso concreto prescinde dal nomen iuris attribuito al provvedimento de quo, richiedendo, piuttosto, la precisa individuazione del procedimento al quale l’ordinanza di estinzione per inattività delle parti si ricollega, nonché il successivo e connesso accertamento della veste (di giudice monocratico o meno) nella quale il giudice adito concretamente ha operato, emanando la declaratoria di estinzione.

Alla luce di quanto precede, gli Ermellini hanno concluso per l’esperibilità dell’appello avverso l’ordinanza del giudice monocratico di tribunale che, a norma dell’art. 307 c.p.c., dichiara l’estinzione del procedimento di divisione endoesecutiva per inattività delle parti.