L’operazione di “ripianamento” di debito quale “semplice modifica accessoria di un’obbligazione”, originata da un “pactum de non petendo ad tempus”
di Federico Callegaro, Cultore di Diritto Commerciale presso l' Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass. Civ. Sez. 1, Sent. 9 settembre 2020[1], n. 1517, Pres. Genovese – Rel. Dolmetta
Parole chiave: Esclusione di credito ipotecario dal passivo fallimentare – nullità del contratto di mutuo per mancanza di causa – utilizzo delle somme erogate a ripianamento di pregressa esposizione.
Riferimenti normativi: Legge Fallimentare art. 67 comma 1 n.i 3 e 4 – Codice Civile artt. 1322. 1343, 1418, 1344, 1362, 2809 – 2810.
CASO[2]
La domanda di insinuazione in via ipotecaria, presentata dalla Banca mutuante, al passivo fallimentare della mutuataria non è stata accolta in accoglimento di quanto rilevato dallo stesso Curatore[3]:
- “nonostante nel contratto di mutuo sia prevista la destinazione della somma a investimenti immobiliari, l’importo mutuato è servito semplicemente a coprire un precedente scoperto di conto corrente chirografario senza creare una provvista autonomamente utilizzabile e cosi trasformando un debito chirografario in debito privilegiato in epoca in cui erano già presenti in contabilità debiti concorsuali; prova ne è che la somma relativa al mutuo è stata accreditata sul conto corrente ripianando la notevole debitoria”;
- derivandosene la «nullità del contratto per mancanza di causa ai sensi dell’art. 1418 cod. civ., con conseguente nullità delle ipoteche iscritte a garanzie la nullità della causa del contratto ex art. 1344 cod. civ. per essere state utilizzate le somme per il ripianamento di pregressa esposizione presso lo stesso istituto; la simulazione del contratto stipulato in frode alle ragioni dei creditori per avere trasformato un credito chirografario in un credito ipotecario”.
Il Tribunale, nel proprio provvedimento, nel ritenere la nullità dell’ipoteca iscritta a garanzia del mutuo:
- rileva: “in questo caso è provato inequivocabilmente che le parti hanno indicato uno scopo del tutto sin dall’inizio inesistente e anche illecito civilmente, perché è provato che le parti sapevano che non si trattava di un mutuo finalizzato a un investimento immobiliare, ma ad estinguere debiti pregressi di natura chirografaria”; ed
- afferma che la “ammissione in chirografo deriva dal fatto che è inequivocabilmente provato che con l’erogazione del mutuo le parti hanno per davvero voluto estinguere il debito sul conto corrente, hanno per davvero voluto contrarre un finanziamento a lungo termine e quindi non hanno simulato un mutuo non voluto, ma soltanto hanno simulato l’ipoteca”. Si osservi come il Giudice di Merito, abbia ritenuto novato il credito “originario” portato dal saldo debitore di un conto corrente sostituendolo ad ogni effetto di legge sostituito da quello “nuovo” – offendo sostanzialmente una chiave di lettura ben diversa da quella indicata dalla Pronuncia n. 7740 2020 della Corte di cassazione (cit.)[4] -;
- ne fa derivare essere “intervenuta una novazione perché la precedente obbligazione è stata sostituita da una nuova, assistita da una garanzia ipotecaria del tutto simulata e del tutto nulla per inesistenza e illiceità della causa”;
- escludendo il “rango di privilegiato del credito perché l’atto di costituzione di ipoteca volontaria contenuto nel contratto di mutuo è privo di causa sapendo fin dalla sottoscrizione entrambe le parti che lo scopo dichiarato, investimento immobiliare, era simulato e che l’erogazione del mutuo avrebbe estinto debiti pregressi di natura chirografaria attribuendo alla società un finanziamento a lungo termine” ammettendo di conseguenza, per l’effetto, il credito al chirografo.
SOLUZIONE
Avuto riferimento al pactum de non petendo ad tempus, giova sottolineare come il precedente n. 20896/2919 citata dalla Pronuncia in parola, chiarisca come escludendosi “ogni tratto di erogazione di somme a credito” si configuri una concretizzazione della figura del pactum de non petendo ad Tempus, percorrendo un filo logico che risulta di interesse qui riportare nei suoi elementi sostanziali:
- viene richiamato come la struttura contrattuale del mutuo implichi la consegna delle somme di denaro che ne costituiscono oggetto, la relativa “traditio deve per essere tale realizzare il passaggio delle somme dal mutuante al mutuatario”[5];
- si chiarisce come lungi dal realizzare spostamenti di danaro, trasferimenti patrimoniali e consegne, il «ripianamento» di un debito a mezzo di nuovo «credito», che la banca già creditrice metta in opera con il proprio cliente, sostanzi propriamente un’operazione di natura contabile[6].
La Corte, ponendo la questione “se la presenza della valuta, di cui alla nuova operazione concordata tra la Banca e il suo cliente, su un conto corrente in cui risulti appostata la somma da quest’ultimo attualmente dovuta integri, o meno, gli estremi di un’operazione di mutuo”, richiamando suoi recenti precedenti[7], la risolve in termini definitivi “la risposta non può che essere negativa” richiamando i propri precedenti (Cass., 5 agosto 2019, n. 20896[8]; Cass., 8 aprile 2020, n. 7740).
Quanto al cosiddetto “mutuo di scopo” la Corte:
- sottolinea trattarsi di “figura ben conosciuta” alla sua giurisprudenza” nelle sue varie espressioni declinate: a) versione in cui lo scopo è di origine legale “(in cui, cioè, le somme erogate sono per legge destinate all’effettuazione di una determinata, peculiare attività o al raggiungimento di un certo risultato specifico), b) con riferimento al caso di specie nell’ipotesi “in cui la «finalizzazione» del mutuo discende in via esclusiva dal contesto del contratto che viene stretto tra mutuante e mutuatario”;
- calandosi nel caso di specie, la Corte mette “in particolare evidenza” due aspetti distinti. Per il primo[9] (legale) “occorre che lo svolgimento dell’attività dedotta o il risultato da raggiungere risponda, nel concreto, a uno specifico interesse pubblico”, ovvero (convenzionale)[10] “ricomprenda o in ogni caso coinvolga … un diretto interesse (non solo del mutuatario, ma anche) proprio della persona del mutuante”;
- chiarisce occorra che “il testo contrattuale contenga un patto o clausola (c.d. di destinazione) da cui si desuma in modo chiaro (seppur certo non per il necessario tramite di enunciazioni di tratto formale o comunque condotte con codici semantici qualificati) che l’erogazione è vincolata a una data, specificazione utilizzazione” (come appunto rispondente allo scopo in concreto rilevante”[11];
- a tale proposito, richiamando “la regola per cui, nell’evenienza, la «dedotta illiceità attiene non ai motivi, ma alla causa del contratto»” e che la legge “qualifica la causa del negozio” richiama il derivare “il patto divergente dallo scopo intride l’operazione di illiceità; e così viene a rendere nulla l’intera operazione”[12], derivandone il principio per cui “Quando sia stato stipulato con l’accordo ab initio di un’utilizzazione del finanziamento per finalità diverse» da quelle stabilite dalla legge, il contratto è nullo”[13] precisa come “una simile regola non potrebbe certo essere estesa in via automatica alla variante che è rappresentata dal mutuo di scopo convenzionale”;
- indicandolo come espressione della “giurisprudenza di questa Corte” viene sottolineato come “la rilevanza, che nel concreto della fattispecie viene a contrassegnare lo scopo, risulta differenziare la relativa operazione dallo «schema tipico del mutuo»”, obbligandosi il sovvenuto “non solo a restituire la somma mutuata e a corrispondere gli interessi, ma anche a realizzare lo scopo previsto»; «nel sinallagma negozia le, quest’ultima prestazione assume rilievo essenziale in corrispettività dell’attribuzione della somma erogata»”[14].
La Corte, portandosi quindi ad escludersi che l’operazione intervenuta tra la Banca e la società poi fallita possa essere ricondotta alla figura del mutuo di scopo[15]:
- chiarisce come la “mera enunciazione, nel testo contrattuale, di una data destinazione delle erogande somme … non indica che la stessa ha carattere vincolante e anzi esclusiva”, precisando veppiù “come per contro pretende, in sé stessa, la figura del mutuo di scopo”. Si osservi come, così argomentando, venga delineato un rigoroso perimetro all’interpretazione dell’Istituto – con effetti in sede di sua valutazione di merito anche quanto alle prove da fornirsi a supporto del suo ricorrere o meno -;
- puntualizza che “nell’ambito della figura del mutuo di scopo convenzionale il mancato perseguimento dello scopo da parte del mutuatario non è destinato a incidere sulla validità della fattispecie negoziale, ma sull’esplicazione del sinallagma funzionale”.
In materia di ammissione di “quale credito” al passivo del fallimento del debitore, atteso come (supra) la Pronuncia assuma quanto accertato dal decreto impugnato, in punto avvenuto riposizionamento delle scadenze del debito pregresso fissandolo nel concreto a “lungo termine”, riconduce la fattispecie “vicenda di tratto esclusivamente contabile” all’ipotesi in cui si intenda rendere «contestuale» un’ipoteca costituita, nella realtà delle cose, a garanzia di debiti già in essere – precisando, la Corte, come ciò sia applicabile indipendente dalla loro natura di scaduti o non scaduti –[16].
La pronuncia richiama che “Nel sistema vigente il patto di modifica del termine di scadenza dell’obbligazione è accordo che determina una semplice «modificazione accessoria dell’obbligazione» e che, quindi, non comporta novazione”[17]. La conseguenza che ne viene tratta è la qualificazione di patto “per sé stesso inidoneo a supportare – da solo – una domanda di ammissione al passivo che abbia ad oggetto la restituzione di somme di danaro”; si osservi come la Corte indichi che la domanda di ammissione, in simile caso, non potrebbe che fare riferimento al titolo che “in origine è stato alla base dell’erogazione delle somme a credito” – nel caso di specie, quest’ultima, identificata nell’iniziale scoperto di conto).
Un aspetto che appare non oggetto di indagine della Corte di legittimità, sulla scorta dell’intervenuta attribuzione di un’efficacia contrattuale del “secondo atto” quale “patto di modifica del termine di scadenza” – espressione da ricondursi ad un accertamento della volontà delle Parti in tal senso – . Apparirebbe legittimo, quindi, chiedersi se proprio alla luce dell’attribuita efficacia, nei termini anzidetti, del secondo negozio giuridico rispetto allo “originario”, qualificato come riconducibile ad un “pactum de non petendo ad tempus”, non possa attribuirsi al pari efficacia alla concessione di garanzia ipotecaria, a questo punto e seguendo l’elaborazione fin qui offerta dalla Suprema Corte nelle varie sue ultime Pronunce (infra), in ragione del patto di dilazione stesso a presidio dell’originario finanziamento come variato ed integrato dal successivo Patto stesso. Ne deriverebbe come, a questo punto, il Tribunale sarebbe chiamato a valutare l’efficacia della garanzia secondo i canoni di inopponibilità alla massa fallimentare, in tale ipotesi applicabili[18].
La Corte, a conclusione dell’analisi effettuata, enuncia i seguenti principi di diritto:
- “la mera enunciazione, nel testo contrattuale, che il mutuatario utilizzerà la somma erogatagli per lo svolgimento di una data attività o per il perseguimento di un dato risultato non è per sé idonea a integrare gli estremi del mutuo di scopo convenzionale, per il cui inveramento occorre, di contro, che lo svolgimento dell’attività dedotta o il risultato perseguito siano nel concreto rispondenti a uno specifico e diretto interesse anche proprio della persona del mutuante, che vincoli l’utilizzo delle somme erogate alla relativa destinazione”;
- “Nel caso di mutuo di scopo convenzionale, il punto del necessario rispetto della destinazione delle somme erogate all’effettivo conseguimento dello scopo prefissato è assicurato sul piano dello svolgimento del sinallagma funzionale del rapporto, con la conseguenza che all’inadempimento del mutuatario seguirà la risoluzione del relativo contratto”;
- “L’operazione di “ripianamento” di debito a mezzo di nuovo “credito”, che la banca già creditrice realizzi mediante accredito della somma su un conto corrente gravato di debito a carico del cliente, non integra gli estremi del contratto di mutuo, bensì quelli di una semplice modifica accessoria dell’obbligazione, come conseguente alla conclusione di un pactum de non petendo ad tempus”.
QUESTIONI
È il caso sottolineare come la pronuncia, con riferimento al rinvio al credito originario quale elemento sostanziale di riferimento della domanda di ammissione al passivo fallimentare, che sarebbe stata da presentarsi a cure del creditore, apre uno scenario che presenta alcuni aspetti meritevoli di attenzione quanto alle scelte che, al ricorrere della fattispecie dianzi richiamata, potrebbero essere elaborate da parte della creditrice insinuante.
Da un lato vi sono le ipotesi espressamente previste dalla Legge in materia di ristrutturazione del debito[19] con effetti spiegati, anche quanto alle garanzie offerte dal debitore, nei confronti di eventuali fallimenti ed altre procedure concorsuali, per le quali l’efficacia del contratto “successivo” trova piena applicazione anche nei confronti di queste ultime – in quanto ricorrano tutti gli elementi soggettivi, oggettivi e contrattuali previsti dalle relative Disposizioni Normative -, che legittimano una domanda di ammissione al passivo di un credito fondato sul “successivo atto negoziale” ed assistito da un garanzia reale come contrattualizzata.
Dall’altro, nelle residue ipotesi, potrebbe valutarsi la strutturazione dell’atto negoziale in termini tali da attribuire allo stesso contenuto, connotazione, valenza e portata di pactum de non petendo ad tempus attraverso il quale, ove non già presente nell’originario contratto di finanziamento / affidamento, viene concessa al garante una garanzia reale anche in ragione della concessione, da parte della Finanziatrice, di una sostanziale dilazione di pagamento[20] che, in ambito creditizio, costituisce un “tecnico” aggravamento del rischio in quanto aumenta l’orizzonte temporale del periodo di ammortamento / utilizzabilità dell’affidamento precedentemente concesso.
[1] Data pubblicazione 25 gennaio 2021.
[2] Si rinvia, nei termini che qui rilevano, al commento (questa Rivista, Edizione di martedì 21 luglio 2020), a commento della Cass. civ. Sez. 3, Sent. 8 aprile 2020, n. 7740 – richiamata, infra, dalla Pronuncia in commento -.
[3] Deduzioni dichiarate in Atto “condivise” dal Giudice Delegato.
[4] Si richiama all’attenzione, aspetto certamente non secondario, come la Pronuncia Tribunalizia sia antecedente all’indirizzo della Suprema Corte n. 7740/2020, essendo stata resa il 30 maggio 2014.
[5] Si richiama all’attenzione come la Corte utilizzi, a rafforzamento del proprio pensiero, l’espressione “farle muovere dal patrimonio dell’uno al patrimonio dell’altro”, ne cui perimetro rientra anche “un’operazione di natura contabile (con una coppia di poste nel conto corrente – una in «dare», l’altra in «avere»”, come desumibile nel prosieguo del sillogismo espresso nella Pronuncia stessa.
[6] La pronuncia, ad ulteriore chiarimento, puntualizza “diverso, naturalmente, è il caso in cui la posta a credito sia di montante superiore al debito del cliente in essere sul conto, per la parte del supero l’operazione ben potendo allora iscriversi nel contesto tipologico del contratto di mutuo”.
[7] Cass., 5 agosto 2019, n. 20896 2 Cass., 8 aprile 2020, n. 7740 (supra)
[8] Richiamata dalla pronuncia 7740/2020, come riportato nel precedente dianzi richiamato intervento su questa Rivista.
[9] Ricorda la Pronuncia essere “frutto diretto, immediato, dell’elaborazione effettuata da questa Corte” e richiamando Cass., 22 dicembre 2015, n. 25783; Cass., 24 gennaio 2012, n. 943.
[10] Richiamando v. Cass., 18 giugno 2018, n. 15929; Cass., 19 ottobre 2017, n. 24699.
[11] Richiamando, in particolare, Cass., n. 24699/2017; Cass., 20 aprile 2007, n. 9511.
[12] Richiamando cfr., così, Cass., 3 aprile 1970, n. 896; e poi Cass., 2 ottobre 1972, n. 2796.
[13] Citando Cass., 10 giugno 1981, n. 3752; cfr. pure Cass., 8 aprile 2004, 8654.
[14] Richiamando anche in questo caso propri precedenti sul punto: Cass., 11 gennaio 2001, n. 317; Cass., n. 15929/2018; Cass., n. 26699/2017; Cass., n. 25783/2015.
[15] La Corte precisando come l’utilizzazione delle somme difforme dal convenuto determina la nullità del contratto per mancanza originaria della causa, indica che il Giudice di prime cure avrebbe dovuto, seguendo il percorso logico dallo stesso seguito, “dichiarare la nullità dell’intera operazione, non già della sola ipoteca” atteso come “La nullità dell’ipoteca consegue, cioè, dalla nullità del mutuo”.
[16] Principio che, mutatis mutandis, appare applicabile anche ad altre tipologie contrattuali oggetto di stipula tra Cliente a Banca / Intermediario Finanziario che prevedano la costituzione di una garanzia diversa da quella ipotecaria – si pensi, tra le altre, alle ipotesi previste e regolate dal Dlgs 21 maggio 2004, n. 170 “Attuazione della direttiva 2002/47/CE, in materia di contratti di garanzia finanziaria” -.
[17] Rinviando espressamente, a tale fine, alla norma dell’art. 1231 cod . civ.
[18] Si osservi, non da ultimo, come una simil prospettazione permetterebbe di mantenere la natura onerosa della concessione di garanzia, giustificata proprio dalla concessione, a sua volta da parte della finanziatrice, di una dilazione – in ragione dell’aggravamento del rischio che ne deriva per la Finanziatrice, rispetto all’originario piano di ammortamento -.
[19] Si pensi, oltre agli Accordi previsti e regolati dalla Legge fallimentare ed – allo stato in attesa della sua entrata in vigore definitiva – dal CCI, dalle “agevolazioni” previste dalla normativa emanata in ragione dell’insorgere e permanere dell’epidemia Covid-19, quale modalità di supporto economico-finanziario alle Imprese nonché quelle rivolte ai privati in materia di acquisto della prima casa.
[20] Termine, quest’ultimo, efferente le ipotesi riconducibili alle cosiddette “Misure di Tolleranza” (Forbearance) che originano, in ambito Bancario / Finanziario la classificazione Forborne in capo alla Finanziata.