L’operatività del principio della c.d. trattazione prioritaria all’esito di translatio dell’istruttoria prefallimentare
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass., sez. I, 24 ottobre 2024, n. 27611, Pres. Cristiano – Est. Pazzi
[1] Competenza civile – Regolamento di competenza – Conflitto (regolamento d’ufficio) – Conflitto positivo di competenza tra tribunali fallimentari – Risoluzione – Effetti – Primo fallimento dichiarato da tribunale incompetente – Caducazione – Esclusione – Prosecuzione del procedimento davanti al giudice competente – Necessità – Fondamento – Unitarietà del procedimento fallimentare – Configurabilità.
Massima: “A seguito della riassunzione del giudizio avanti al diverso tribunale ritenuto competente dalla Corte di cassazione, investita del ricorso avverso l’accoglimento del reclamo interposto contro la sentenza di fallimento resa da tribunale ritenuto però non competente in ragione di territorio, la trattazione del ricorso per l’apertura del fallimento va posposta a quella della domanda di concordato preventivo che, in esordio, il debitore aveva depositato. Non è di ostacolo a tale pregiudizialità né la originaria dichiarazione d’inammissibilità della citata domanda (ad opera del primo tribunale), né la mancata riproposizione di una domanda di concordato da parte del debitore anche avanti al tribunale alfine ritenuto competente: la rinnovazione del giudizio, per come disposta dalla Cassazione, non ha riguardo solo alla istruttoria del fallimento ma include di necessità anche quella sul concordato. La translatio iudicii che così s’instaura devolve infatti al tribunale competente tutte le domande e questioni già pendenti avanti al primo tribunale, nel caso con l’indicazione di priorità tendenziale di cui all’art. 161 l.fall. Ne consegue che risulta non corretto dichiarare direttamente il fallimento, senza prima aver concesso al debitore i termini sull’istanza di concordato, così dovendosi intendere la salvezza degli atti precedentemente compiuti di cui al comma 3 dell’art. 9-bis l.fall.”.
CASO
[1] Il Tribunale di Roma, dichiarata l’inammissibilità della domanda di concordato c.d. in bianco presentata da una s.r.l., procedeva, su istanza di vari creditori, alla dichiarazione di apertura del fallimento a carico della medesima.
Avverso tale pronuncia, la società proponeva reclamo ex art. 18 l.fall., accolto dalla Corte d’Appello di Roma, con correlativa revoca del fallimento, in ragione dell’erroneità della statuizione con cui il tribunale aveva dichiarato inammissibile la domanda di concordato preventivo.
La decisione veniva fatta oggetto di ricorso per cassazione sia dal curatore fallimentare, sia dalla società debitrice, la quale lamentava, in particolare, il rigetto dell’eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Roma a dichiarare il fallimento da essa sollevata, per essere la sede legale e amministrativa della società sita nel comune di Capena, ricompreso nel circondario di altro tribunale. La Cassazione accoglieva tale motivo di ricorso, dichiarando la competenza del Tribunale di Tivoli; conseguentemente, cassava la pronuncia impugnata e indicava detto tribunale quale giudice competente in primo grado, davanti al quale la causa doveva dunque essere riassunta.
Il Tribunale di Tivoli, a sua volta, dichiarava il fallimento della s.r.l., con decisione prontamente re-clamata dalla debitrice e da una SA svizzera, socia unica della debitrice medesima.
La Corte d’Appello di Roma riuniva e rigettava entrambi i reclami proposti, rilevando: a) che il giudice di legittimità avesse disposto la riassunzione dell’intero giudizio per la dichiarazione di fallimento dinanzi al Tribunale di Tivoli ritenuto competente e che quest’ultimo, in perfetta aderenza a tale statuizione, avesse correttamente provveduto a rinnovare il giudizio ed emettere la sentenza dichiarativa del fallimento previa valutazione della ricorrenza di tutti i presupposti dell’insolvenza; b) che l’invio dal Tribunale di Roma a quello di Tivoli di tutti gli atti della procedura non avesse comportato la reviviscenza della domanda di concordato c.d. in bianco proposta dalla S.r.l. davanti al tribunale romano, che la società avrebbe dovuto autonomamente riproporre dinanzi al tribunale dichiarato competente, trattandosi di istanza di parte non rientrante nel novero degli atti che restano salvi dinanzi al tribunale dichiarato competente nel senso previsto dall’art. 9-bis, comma 3, l.fall.
Avverso la decisione di seconde cure le reclamanti soccombenti proponevano due distinti ricorsi per cassazione, riuniti ex art. 335 c.p.c., mediante i quali, in particolare, denunciavano, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.: a) violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in quanto la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto della necessità di preferire la soluzione concordataria a quella fallimentare: secondo la ricorrente, accertata l’incompetenza del Tribunale di Roma a dichiarare il fallimento, di-nanzi al giudice dichiarato competente era stato riassunto l’intero procedimento già instaurato dinanzi al primo, con conseguente devoluzione al Tribunale di Tivoli di tutte le questioni (e le domande) originariamente pendenti dinanzi al Tribunale di Roma e, quindi, non solo dell’istanza di fallimento, ma anche della domanda di ammissione al concordato preventivo, alla quale il Tribunale di Tivoli avrebbe dovuto riconoscere la priorità, assegnando al debitore il termine per l’integrazione; b) violazione o falsa applicazione dell’art. 162 l.fall., per avere il Tribunale di Tivoli emesso la sentenza dichiarativa di fallimento prima della scadenza del termine per l’integrazione della domanda di concordato; e ciò, in quanto la Corte d’Appello di Roma aveva revocato il primo fallimento proprio perché la relativa sentenza era stata emessa prima dello spirare di detto termine, che quindi doveva ritenersi “riattivato”, con preclusione della possibilità di decidere solo sull’istanza di fallimento.
SOLUZIONE
[1] La Corte di cassazione esamina congiuntamente tali motivi di ricorso dichiarandoli fondati, con conseguente cassazione della pronuncia di secondo grado con rinvio al Tribunale di Tivoli per una nuova decisione.
In particolare, dopo aver richiamato alcune pronunce di legittimità in tema di conflitto positivo di competenza (eventualità, però, estranea al caso di specie) attestanti la vigenza, nel nostro ordinamento concorsuale, di un principio di unitarietà del procedimento fallimentare, la Suprema Corte ha poi correttamente affermato che il tribunale dichiarato competente (quello di Tivoli), a valle della riassunzione della causa operata, ha assunto la procedura nello stato in cui si trovava, attesa la salvezza degli atti precedentemente compiuti sancita dall’art. 9-bis, comma 3, l.fall., e dunque comprensiva anche della domanda di concordato c.d. in bianco originariamente proposta dalla società debitrice.
In seconda battuta, la Cassazione ha richiamato la celebre pronuncia di Cass. Civ., SS.UU., 15 maggio 2015, n. 9935, la quale, come noto, ha da un lato affermato che la pendenza di una domanda di concordato preventivo, ordinario o con riserva, impedisce temporaneamente la dichiarazione di fallimento sino al verificarsi degli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 l.fall., ma non rende altresì improcedibile il procedimento prefallimentare né ne consente la sospensione, ben potendo lo stesso essere istruito e concludersi con un decreto di rigetto, e, dall’altro, che tra la domanda di concordato preventivo e l’istanza di fallimento ricorre – trattandosi di iniziative tra loro incompatibili e dirette a regolare la stessa situazione di crisi -, un rapporto di continenza, con conseguente necessità di riunire i relativi procedimenti ai sensi dell’art. 273 c.p.c., se pendenti innanzi allo stesso giudice, ovvero di applicare le disposizioni di cui all’art. 39, comma 2, c.p.c., in tema di continenza, se pendenti innanzi a giudici diversi.
Facendo applicazione di tali principi, il provvedimento che si commenta ha correttamente affermato che il Tribunale di Tivoli avrebbe dovuto confrontarsi con la presenza, sulla scena processuale, di una domanda di concordato preventivo rimasta non esaminata, e in quanto tale idonea a precludere la possibilità di dichiarare aperta la procedura fallimentare.
QUESTIONI
[1] La questione affrontata dalla Cassazione attiene al rapporto tra l’istanza per la dichiarazione di fallimento e la domanda di ammissione al concordato preventivo, e, in particolare, alla sua idoneità a venire in rilievo anche davanti al Tribunale di Tivoli, dinanzi al quale il procedimento è proseguito dopo l’intervenuta dichiarazione d’incompetenza di quello romano.
Il punto rivelatosi dirimente nell’economia della decisione assunta dalla Cassazione attiene, in particolare, all’idoneità della translatio iudicii conseguente al rilievo dell’incompetenza del Tribunale che ha dichiarato il fallimento, poi revocato, a devolvere a quello identificato come competente anche la domanda di ammissione al concordato preventivo a suo tempo proposta davanti al primo, sì da imporre (anche) al secondo giudice il rispetto del noto principio della c.d. trattazione prioritaria, da accordare alle soluzioni negoziali della crisi d’impresa a discapito di quelle liquidatorie.
In primo luogo, la disposizione applicabile, ratione temporis, al caso in esame è l’art. 9-bis l.fall., il cui comma 1, per quanto qui interessa, prevede che «Il provvedimento che dichiara l’incompetenza è trasmesso in copia al tribunale dichiarato incompetente, il quale dispone con decreto l’immediata trasmissione degli atti a quello competente».
Ciò significa, allora, che, nonostante la pronuncia in commento discorra ripetutamente di riassunzione della causa davanti al tribunale identificato come munito di competenza, il testo normativo discorra piuttosto – distinguendosi in ciò, come noto, dall’ordinaria disciplina processualcivilistica – di trasmissione degli atti a favore di tale giudice: in altri termini, deve ritenersi esclusa la necessità di una riassunzione, ad onere della parte interessata, del procedimento davanti al tribunale indicato come competente, dovendo la procedura proseguire d’ufficio dinanzi allo stesso.
Trattandosi, allora, di prosecuzione disposta ex officio, e non di riassunzione ricollegata a un comune fenomeno di translatio iudicii, non dovrebbero venire in gioco le potenziali limitazioni legate alla formulazione dell’art. 125 disp. att. c.p.c., il quale, disciplinando il contenuto della comparsa di riassunzione (ad istanza di parte) della causa, postula un richiamo all’atto introduttivo del giudizio, senza necessità che siano specificamente riprodotte tutte le domande della parte, e innesca il dubbio circa l’idoneità della riassunzione effettuata dalla parte a determinare la translatio anche delle eventuali domande riconvenzionali proposte.
In altri termini, la prosecuzione ordinata d’ufficio del processo già pendente dovrebbe dimostrarsi idonea a determinare la trasmissione al tribunale dichiarato competente di tutte le domande pendenti in sede di istruttoria prefallimentare, ivi compresa la domanda di concordato c.d. in bianco ex art. 161, comma 6, l.fall., anche allo scopo di garantire un effettivo rispetto della priorità della soluzione concordataria su quella liquidatoria, da tempo riguardata come extrema ratio all’interno del nostro ordinamento concorsuale.
Tale conclusione dovrebbe valere, a maggior ragione, nell’odierno vigore del CCII e dei principi della trattazione c.d. unitaria e prioritaria espressamente consacrati all’interno del suo art. 7.
Così chiarito che la translatio iudicii disposta a favore del tribunale competente, successivamente alla intervenuta revoca, per motivi di merito, della sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata dal tribunale incompetente, ricomprende non solo l’istanza per la dichiarazione di fallimento, ma anche la domanda di concordato c.d. in bianco a suo tempo proposta, viene a ristabilirsi, davanti al Tribunale di Tivoli, quella situazione che, specie alla luce del rinnovato quadro normativo, è oramai ampiamente familiare agli operatori e agilmente risolta facendo applicazione del principio della c.d. trattazione prioritaria, oggi consacrato nell’art. 7, comma 2, CCII.
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia