L’operare della collazione in assenza di “relictum”
di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDFCassazione Civile, Sez. 6, ordinanza n. 509 del 14 gennaio 2021
DIVISIONE EREDITARIA – OPERAZIONI DIVISIONALI – FORMAZIONE DELLO STATO ATTIVO DELL’EREDITÀ – COLLAZIONE ED IMPUTAZIONE – Collazione – Presupposti – Asse da dividere – Esistenza – Necessità – Fondamento.
La collazione presuppone l’esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere, mentre, se l’asse è stato esaurito con donazioni o con legati, o con le une e con gli altri insieme, sicché viene a mancare un “relictum” da dividere, non vi è luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, salvo l’esito dell’eventuale azione di riduzione.
Disposizioni applicate
Articoli 724 e 737 cod. civ.
[1] In seguito alla morte dei propri genitori, Tizia conveniva in giudizio i propri fratelli ancora in vita ed i nipoti succeduti per rappresentazione in luogo dei fratelli premorti, lamentando che gli atti di donazione effettuati dal padre in favore di alcuni dei figli avessero leso la sua quota di legittima.
Per quanto qui di interesse, deve riferirsi come uno dei convenuti, Sempronio, chiamato alla successione per rappresentazione a seguito della rinuncia all’eredità operata dalla madre, nella propria comparsa di costituzione avesse chiesto che la madre facesse tutto quanto necessario al fine di conferire alla massa le donazioni dalla stessa ricevute in vita dal de cuius e che le altre convenute fossero condannate del pari a conferire gli immobili ricevuti in donazione a titolo di collazione, procedendosi quindi allo scioglimento della massa in tal modo formata.
Nel corso del giudizio l’attrice rinunciava alla domanda e la rinuncia era accettata da alcuni dei convenuti, con conseguente estinzione del giudizio limitatamente alle domande proposte nei loro confronti. Quanto, invece, alle domande spiegate da Sempronio, il Tribunale adito dichiarava inammissibili la domanda proposta nei confronti della madre e quella di scioglimento della comunione ereditaria con il rigetto di tutte le altre domande da lui formulate.
Tale sentenza veniva impugnata da Sempronio, ma la Corte rigettava l’appello.
Lo stesso, pertanto, proponeva ricorso in Cassazione, articolato su un solo motivo
[2] In particolare, Sempronio richiamava “il carattere automatico della collazione per effetto dell’apertura della successione, contestandosi l’affermazione del giudice di appello che ha negato l’operatività della stessa colazione (con la conseguente possibilità di ricreare una massa comune) per l’assenza di un relictum”.
La Corte d’Appello, effettivamente, aveva rilevato che “la collazione può operare solo se residui un relictum, sicché nella diversa ipotesi in cui l’asse sia stato completamente assorbito da donazioni, l’unico rimedio concesso all’erede, che sia anche legittimario, è quello dell’azione di riduzione.
Il Tribunale aveva rilevato che non vi era sostanzialmente relictum “ad eccezione di alcuni beni mobili non compiutamente individuati”, e tale affermazione era stata genericamente contestata dall’appellante, che non aveva indicato quali fossero le componenti attive ancora esistenti alla data del decesso.
Non era possibile far rientrare, tramite la collazione, beni donati dal de cuius, anche nel caso in cui i donatari abbiano poi rinunziato all’eredità.
Del pari priva di fondamento era la pretesa di far rientrare le donazioni effettuate alla madre dell’appellante, che aveva a sua volta rinunciato all’eredità.
In assenza quindi di una comunione ereditaria risultava superfluo anche accertare se vi fossero o meno altri eredi, posto che si tratta di accertamento funzionale ad una domanda di scioglimento della comunione che nella specie non poteva avere sfogo”.
Con la sentenza in commento, viene confermata la statuizione di secondo grado, ritenuta in armonia con il principio reiteratamente affermato dalla Giurisprudenza di legittimità secondo cui “la collazione presuppone l’esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere, mentre, se l’asse è stato esaurito con donazioni o con legati, o con le une e con gli altri insieme, sicché viene a mancare un “relictum” da dividere, non vi è luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, salvo l’esito dell’eventuale azione di riduzione”.[1]
Gli Ermellini puntualizzano, altresì, come non rilevi “ai fini dell’applicazione della collazione la circostanza che residui un relictum, di sia pur modico valore, elemento questo che potrebbe avere rilievo nel caso di specie, avendo i giudici di appello ritenuto irrilevante – in quanto non adeguatamente dettagliata – l’affermazione di parte appellante secondo cui sarebbero caduti in successione alcuni beni mobili non compiutamente individuati, con apprezzamento in fatto che non risulta contrastato dalla difesa di Sempronio”.[2]
Altro aspetto valutato dai Giudici riguarda la circostanza della rinuncia all’eredità operata, nel caso di specie, dai donatari/chiamati all’eredità. Sul punto, si afferma che “la collazione ereditaria, alla quale sono reciprocamente tenuti i coeredi discendenti, essendo diretta ad accrescere la massa che deve effettivamente dividersi tra costoro, ha luogo soltanto nei rapporti di quei coeredi che siano soggetti attuali della comunione ed abbiano, di conseguenza, titolo a concorrere nella divisione dell’asse”. Non poteva, pertanto, in alcun caso ritenersi che le convenute, avendo rinunciato all’eredità, partecipassero ad una ipotetica comunione ereditaria.
[3] La pronuncia della Suprema Corte conferma l’orientamento giurisprudenziale che può definirsi consolidato in materia: solo in presenza di una massa ereditaria può ritenersi operante l’obbligo di collazione delle liberalità in vita ricevute dai coeredi.
Tale opinione si fonda sulla considerazione che non sarebbe possibile parlare di collazione in assenza di una divisione; ed una divisione non può certo configurarsi in mancanza di un patrimonio. La collazione troverebbe ragione di essere, in ipotesi come quella oggetto della sentenza de qua, solo a seguito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione.[3]
Non può, tuttavia, sottacersi l’esistenza di una opposta tesi, sostenuta da numerosa ed autorevole dottrina.[4]
Tali autori ritengono che una comunione ereditaria possa sorgere anche in ragione della sola collazione: saranno proprio i beni oggetto di donazione a concorrere alla formazione della massa ereditaria. Requisito essenziale sarebbe, pertanto, non la presenza di un relictum, bensì “l’esistenza della delazione ereditaria e l’accettazione del chiamato”.[5]
La giustificazione di tale impostazione viene individuata nella considerazione che risulterebbe paradossale ed iniquo ammettere una divisione in caso di eredità caratterizzate dalla presenza di consistenti debiti ed una massa attiva esigua e, invece, escluderne l’ammissibilità nell’eventualità di assenza di relictum: in entrambi i casi, non si avrebbe una reale attribuzione di attività ai comunisti. Si evidenzia, inoltre, l’estrema rarità di ipotesi concrete di successioni con totale assenza di beni lasciati dal defunto.
Nonostante l’autorevolezza e consistenza delle argomentazioni sopra riportate, nel ribadire la netta e contraria posizione assunta dalla Giurisprudenza, preme evidenziare un aspetto per così dire “pratico”, a giudizio dello scrivente non di poco conto.
Se anche volesse accogliersi la tesi dell’operatività della collazione in ipotesi di mancanza di relictum, infatti, non potrebbe in ogni caso prescindersi (come anche evidenziato da alcuni fautori della summenzionata tesi) dall’accettazione dell’eredità da parte del chiamato/donatario; e, in assenza di una massa ereditaria, non saranno rinvenibili in capo al chiamato quella situazione di possesso dalla quale discende l’accettazione ope legis dell’eredità (art. 485 cod. civ.) ovvero il compimento di un atto che comporti accettazione tacita dell’eredità. Prima di poter agire in giudizio per ottenere la collazione e divisione ereditaria, sarà, dunque, probabilmente necessario ricorrere alla c.d actio interrogatoria ex art. 481 cod. civ., al fine di sollecitare una manifestazione di volontà (di accettare o meno) da parte del chiamato. E, inevitabilmente, lo stesso sarà portato a non accettare l’eredità, posto che le conseguenze di un acquisto della qualità di erede sarebbero per lui esclusivamente “negative”: parteciperebbe, pro quota, alla divisione di un bene che, allo stato, risulta interamente suo.
La tesi qui criticata, pertanto, non sembra effettivamente rispondere alle esigenze equitative che dichiara di voler soddisfare. Solo un operare effettivamente automatico dell’istituto in esame per il solo fatto materiale dell’apertura della successione garantirebbe una piena tutela degli interessi dei potenziali coeredi non beneficiari di attribuzioni a titolo liberale; ma una simile conclusione non è da alcuno ritenuta ammissibile, essendo pacifico, come detto, il sorgere dell’obbligo collatizio solo a seguito dell’accettazione dell’eredità.
[1] Così Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 15026 del 14/06/2013; si veda, altresì, Cass. Civ. Sez. 2, Sentenza n. 13660 del 30/05/2017. Come espressamente ricordato nella sentenza in commento, trattasi di affermazione che risale già a Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 543 del 05/03/1970, a superamento dell’opposta tesi espressa da Cass. Civ., sentenza n. 1988 del 06/06/1969
[2] In questo senso si veda Cass. Civ. Sez. 2, Sentenza n. 3935 del 25/11/1975: “la collazione presuppone l’esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere mentre, se l’asse sia stato esaurito con donazioni o con legati, o con gli uni e con gli altri insieme, si che manchi un relictum, non vi è luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, salvo l’esito dell’eventuale azione di riduzione. Né il fatto che, anche quando il defunto abbia donato in vita o legato tutte le sue sostanze, ciò nonostante, alla sua morte, rimane spesso un relictum, di sia pur modico valore, basta a far considerare l’esistenza di tale relictum come fatto di comune esperienza, tale da rendere sempre esperibile l’azione di collazione”
[3] In tal senso, Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 2704 del 09/07/1975: “L’obbligo di collazione e l’azione di riduzione concorrono entrambi al risultato di aumentare la massa ereditaria, rendendo inefficaci taluni atti di liberalità compiuti in vita dal defunto, ma la differenza tra i due istituti sta in ciò che, mentre la collazione sacrifica solo i donatari che siano anche coeredi discendenti, senza proteggere il legittimario come tale, invece l’azione di riduzione tende a reintegrare la quota di legittima anche con sacrificio del donatario non erede e non discendente. E poiché la collazione presuppone l’esistenza di una comunione ereditaria, essa può essere compiuta – quando manchi il relictum per avere il defunto donato o legato tutti i suoi beni – solo dopo che sia stata esperita l’azione di riduzione; ma, all’inverso, quando alla morte del de cuius già esista un relictum da dividere, ben può essere domandato l’adempimento dell’obbligo di collazione senza previo esperimento dell’azione di riduzione”.
In dottrina: PALAZZO, Le successioni; G. AZZARITI, Le successioni e le donazioni; CASULLI, voce Collazione delle donazioni, in Novissimo Digesto Italiano, vol. 3.
[4] MENGONI, La divisione testamentaria; FORCHIELLI, voce Collazione, in Enciclopedia Giuridica Treccani; MORELLI, La comunione e divisione ereditaria; BURDESE, La divisione ereditaria; CAPOZZI, Successioni e donazioni; ALBANESE, La collazione, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni diretto da G. Bonilini – vol. IV, Comunione e divisione ereditaria.
[5] Così Albanese, op. cit., pag. 440.
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