Lodo arbitrale e liquidazione giudiziale: opponibilità e limiti della tutela del curatore
di Francesco Tedioli, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. I, Ord., 5 febbario 2025, N. 2840 Terrusi – Presidente -Fidanzia – Relatore
Fallimento – Arbitrale rituale – Lodo – Opponibilità al fallimento – Decorrenza – Par condicio creditorum – Impugnazione per nullità
(artt. 824, 824-bis, 825 e 829 c.p.c.)
Massima: “Il lodo arbitrale rituale è pienamente assimilabile, dalla data della sua ultima sottoscrizione, alla sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria, e come tale opponibile alla procedura fallimentare, dalla suddetta data. Tale principio trova concreta attuazione nel caso di ammissione del credito oggetto di condanna, nello stato passivo del Fallimento”.
CASO
La vicenda trae origine da un lodo rituale, con il quale un collegio arbitrale aveva condannato la società, poi fallita, al pagamento di una rilevante somma, corrispettivo di un contratto di appalto. In particolare, la società creditrice, a seguito della dichiarazione di fallimento dell’appaltante, chiedeva l’ammissione, nel passivo fallimentare, del proprio credito, riconosciuto dal lodo arbitrale rituale.
Tuttavia, il giudice delegato e, successivamente, il Tribunale di Roma, in sede di opposizione allo stato passivo, rigettavano l’istanza di ammissione del credito, ritenendo il lodo inopponibile alla procedura concorsuale per mancanza di data certa. Secondo i giudici capitolini, la sottoscrizione degli arbitri – non riconosciuti “pubblici ufficiali” – non conferiva certezza alla data del provvedimento. Tale requisito, secondo la loro interpretazione, interviene con il deposito in cancelleria del lodo ai fini dell’exequatur (art. 825 c.p.c.), avvenuto, nel caso di specie, successivamente alla dichiarazione di fallimento.
La società appaltatrice proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che il lodo, in virtù dell’art. 824-bis c.p.c., ha la stessa efficacia di una sentenza. Secondo i ricorrenti, inoltre, la decisione del Tribunale seguiva un risalente orientamento della Suprema Corte, che, a suo tempo, negava la natura giurisdizionale all’arbitrato rituale, considerandolo una mera espressione di autonomia privata (Cass. 3 agosto 2000 n. 527). E ciò in contrasto con l’orientamento, ormai consolidato, delle Sezioni Unite (Cass. 25 ottobre 2013, n. 24153), che riconosce all’arbitrato rituale natura giurisdizionale.
SOLUZIONE
La Prima Sezione della Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la decisione del Tribunale di Roma e disponendo il rinvio per un nuovo esame. La Corte ha ritenuto fondati alcuni dei motivi di ricorso, dichiarandone inammissibili altri, ed ha enunciato principi di diritto rilevanti in materia di opponibilità del lodo arbitrale alla procedura fallimentare.
La decisione si inserisce nel solco della giurisprudenza che riconosce la natura giurisdizionale del lodo arbitrale, come confermato nella ratio della L. n. 25/1994 e del D.lgs. n. 40/2006 e dall’art. 824-bis c.p.c., secondo cui il lodo produce gli effetti della sentenza sin dalla sua ultima sottoscrizione. La Cassazione ha richiamato l’orientamento consolidato delle Sezioni Unite (Cass. sez. un. 25 ottobre 2013, n. 24153), che conferma la funzione sostitutiva della giurisdizione statale esercitata dall’arbitrato rituale.
La Corte ha precisato che, nel caso concreto, era necessario un ulteriore accertamento per valutare se il lodo del 2014, non impugnato entro il termine annuale ex art. 828 c.p.c., avesse effettivamente acquisito efficacia di giudicato prima della dichiarazione di fallimento, così da essere opponibile alla massa fallimentare. Il curatore, pur non avendo partecipato al procedimento arbitrale, è vincolato dal lodo, pur potendo esperire le impugnazioni specificamente consentite (nullità, revocazione, opposizione di terzo).
Inoltre, la Cassazione ha chiarito che la certezza della data del lodo deriva dalla sua sottoscrizione e non dall’intervento di un pubblico ufficiale, ribadendo che l’equiparazione alla sentenza è ontologica e non meramente funzionale. Tuttavia, ha escluso che il solo fatto della mancata impugnazione basti a rendere il lodo automaticamente opponibile alla massa fallimentare senza una verifica più approfondita delle circostanze del caso.
Alla luce di queste considerazioni, la sentenza è stata cassata con rinvio, demandando al giudice di merito il compito di riesaminare la questione alla luce dei principi enunciati.
QUESTIONI
La decisione della Corte di Cassazione, pur presentando una solida coerenza argomentativa, solleva rilevanti interrogativi in merito al rapporto tra arbitrato e procedure concorsuali, con particolare riguardo all’opponibilità del lodo arbitrale alla liquidazione giudiziale (ex fallimento) e alla sua compatibilità con il principio della par condicio creditorum. In particolare, il riconoscimento della natura giurisdizionale del lodo impone di valutare le sue implicazioni sotto il profilo della tutela della massa dei creditori e dei poteri del curatore.
Un primo profilo attiene all’equiparazione del lodo alla sentenza, principio che la Cassazione ribadisce in continuità con il consolidato orientamento inaugurato dalle Sezioni Unite (Cass. sez. un., 30 marzo 2021, n. 8776). Tale assimilazione, che riconosce all’arbitrato rituale una funzione sostitutiva della giurisdizione statale, trova fondamento nell’esigenza di garantire stabilità ai rapporti giuridici e nel rispetto delle garanzie processuali ex art. 6 CEDU. Tuttavia, nel contesto fallimentare, si evidenziano alcune criticità: da un lato, l’equiparazione assicura certezza ai crediti accertati in sede arbitrale; dall’altro, rischia di determinare una disparità di trattamento tra i creditori che hanno partecipato al procedimento arbitrale e quelli rimasti estranei. Il curatore, pur potendo impugnare il lodo per nullità ai sensi dell’art. 829 c.p.c., si trova spesso di fronte a provvedimenti ormai non più soggetti a impugnazione ordinaria, con il conseguente rischio di pregiudizio per la massa dei creditori.
Un ulteriore aspetto critico è la questione della data certa del lodo, che la Cassazione affronta in termini perentori, affermando che la sottoscrizione degli arbitri sia di per sé sufficiente a conferirle certezza, senza necessità di ulteriori formalità. Tale impostazione semplifica l’opponibilità del lodo al fallimento, ma apre interrogativi sulle sue implicazioni pratiche, soprattutto nei contesti di crisi d’impresa. L’assenza di un controllo preventivo da parte di un organo pubblico, come avviene per il deposito in cancelleria ex art. 825 c.p.c., potrebbe rendere più complesso per il curatore verificare la regolarità del procedimento arbitrale, specie quando il lodo sia stato emesso in prossimità della dichiarazione di fallimento. Sul punto, la giurisprudenza aveva già chiarito che il termine per l’impugnazione del lodo decorre dalla data dell’ultima sottoscrizione, momento in cui il provvedimento acquista efficacia (Cass. sez. un., 30 marzo 2021, n. 8776). Tuttavia, la sentenza in esame esclude qualsiasi possibilità di una verifica successiva, con il rischio di consolidare posizioni creditorie potenzialmente contrastanti con gli interessi della massa.
Un ulteriore problema riguarda i poteri del curatore fallimentare, che, sebbene possa impugnare il lodo per nullità, si trova di fatto limitato nei margini di intervento. La questione centrale è se, nell’ambito dell’impugnazione, egli possa sollevare vizi sostanziali del credito (es. inesistenza, illiceità della pretesa), oppure se il suo potere di contestazione sia circoscritto ai soli vizi formali del procedimento arbitrale. La Cassazione conferma che il curatore può impugnare il lodo nei limiti dell’art. 829 c.p.c., ma non approfondisce le conseguenze di questa restrizione, anche se la giurisprudenza ha già ribadito che il curatore non può rimettere in discussione il merito della controversia (Cass. 9 agosto 2023, n. 24436).
In conclusione, la sentenza in commento riafferma la piena efficacia del lodo arbitrale in ambito fallimentare, consolidando l’orientamento giurisprudenziale che equipara il lodo alla sentenza.
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