Locazione ultranovennale e clausola compromissoria
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, sez. I^, 27 ottobre 2020, n. 27320, Presidente Genovese, Estensore Iofrida
«Non richiede la specifica approvazione per iscritto la clausola compromissoria contenuta in un contratto ultranovennale di locazione predisposto da uno solo dei due contraenti, ma con riferimento ad una singola vicenda negoziale ed a seguito delle trattative intercorse tra le parti, non potendo tale negozio qualificarsi come un contratto per adesione cui si applica la disciplina delle clausole vessatorie.»
La definizione di contratti “per adesione” e la possibilità o meno di farvi rientrare anche il contratto di locazione, quand’anche predisposto da un solo contraente.
Con lodo arbitrale del 2/3/2913 veniva accertato il grave inadempimento della parte locatrice e conseguentemente risolto il contratto di locazione ultranovennale stipulato nel 2000 tra questa e la conduttrice, relativo ad un immobile di proprietà di un ente pubblico (Fondazione), cui in seguito era subentrata la società locatrice.
Avverso tale decisione, la locatrice aveva promosso impugnazione dinnanzi alla Corte d’Appello di Roma, la quale aveva respinto il ricorso in forza delle seguenti conclusioni: in primo luogo, la Corte aveva ritenuto infondata l’eccezione di nullità della domanda di arbitrato, della nomina dell’arbitro e del difensore, e quindi per l’effetto del lodo arbitrale, basata sulla mancata ratifica dell’operato dell’amministratore delegato da parte del Consiglio di Amministrazione della società conduttrice; infatti, stando al verbale del c.d.a. del 16/3/11 tale ratifica risultava espressamente conferita. Inoltre, la Corte aveva ritenuto infondata l’eccezione di inefficacia e nullità della clausola compromissoria prevista nel contratto di locazione, basata sulla mancanza di specifica approvazione scritta ex artt. 1341 e 1342 c.c.; infatti, la Corte territoriale aveva ritenuto non operante nel caso di specie la disciplina sulle clausole c.d. vessatorie, trattandosi di un contratto frutto di ampia negoziazione tra le parti originarie.
Infine, la Corte aveva ritenuto correttamente instaurato il contraddittorio, non potendo ritenere pretermessa la Fondazione, nuda proprietaria dell’immobile, in quanto soggetto estraneo al contratto in cui era subentrata la società usufruttuaria (dal 2017).
Avverso la suddetta pronuncia, veniva promosso ricorso per cassazione da parte della locatrice soccombente, la quale sostanzialmente ribadiva i motivi del gravame: con il primo motivo di ricorso, quest’ultima lamentava la mancanza dei poteri di rappresentanza legale in capo all’AD della società resistente per la nomina dell’arbitro e del difensore, essendogli stati delegati i soli poteri di ordinaria amministrazione e a nulla valendo la ratifica da parte del CDA, il cui verbale era stato per altro prodotto tardivamente; con il secondo motivo lamentava la mancata specifica approvazione della clausola compromissoria prevista dall’art. 15 del contratto di locazione, sottoscritta dal solo conduttore e non anche dal locatore; con il terzo motivo, infine, lamentava l’omessa integrazione del contraddittorio nei confronti della Fondazione, nuda proprietaria dell’immobile locato e, in quanto tale, obbligata ex lege ed ex contractu all’esecuzione dei lavori di manutenzione straordinaria e dunque litisconsorte necessaria nel giudizio arbitrale.
La Suprema Corte di Cassazione, valutate la prima e la terza censura inammissibili e la seconda infondata, respingeva il ricorso confermando la sentenza del giudice dell’appello, offrendo un rinvio alla propria giurisprudenza relativa alla definizione di contratti con predisposizione delle condizioni generali ad opera di un solo contraente – o “contratti per adesione”, in questo modo escludendo dall’ambito di applicazione della relativa disciplina il contratto di locazione oggetto della controversia de qua.
Nello specifico, gli ermellini hanno richiamato in sentenza la seguente massima “Possono qualificarsi come contratti “per adesione”, rispetto ai quali sussiste l’esigenza della specifica approvazione scritta delle clausole vessatorie, soltanto quelle strutture negoziali destinate a regolare una serie indefinita di rapporti, tanto dal punto di vista sostanziale (se, cioè, predisposte da un contraente che esplichi attività contrattuale all’indirizzo di una pluralità indifferenziata di soggetti), quanto dal punto di vista formale (ove, cioè, predeterminate nel contenuto a mezzo di moduli o formulari utilizzabili in serie), mentre esulano da tale categoria i contratti predisposti da uno dei due contraenti in previsione e con riferimento ad una singola, specifica vicenda negoziale, rispetto ai quali l’altro contraente può, del tutto legittimamente, richiedere ed apportare le necessarie modifiche dopo averne liberamente apprezzato il contenuto, nonché, a maggior ragione, quelli in cui il negozio sia stato concluso a seguito e per effetto di trattative tra le parti”[1].
A fronte di una così chiara e precisa descrizione della natura dei contratti per adesione, l’esclusione del contratto di locazione dalla fattispecie normativa è stata una palese conseguenza della natura stessa del contratto stipulato tra le parti in causa, permettendo quindi alla Corte di escludere l’applicazione della normativa in materia di clausole vessatorie al caso di specie, ivi non ricorrendo il presupposto per l’operatività della regola della specifica e separata approvazione scritta da parte dell’aderente.
Nel caso in esame, infatti, le risultanze istruttorie del processo di merito avevano dimostrato che la stipula del contratto di locazione ultranovennale era avvenuta in esito ad un’ampia trattativa negoziale tra le parti, come emergeva anche dalla espressa ammissione della ricorrente, ragion per cui il contratto necessariamente esulava dalla disciplina in materia di clausole vessatorie.
Una clausola compromissoria come quella contenuta nel contratto in questione, che sancisca una riserva di competenza in favore dell’arbitrato per la risoluzione delle controversie nascenti dal contratto (ai sensi dell’art. 808 c.p.c)[2], rientrerebbe senza dubbio, per espressa previsione di legge, nel novero delle cosiddette clausole vessatorie o onerose[3]; tuttavia, trattandosi di un negozio concluso mediante trattative intercorse tra le parti e volto a regolare un singolo rapporto, lo stesso non poteva rientrare nella definizione stringente fornita dalla giurisprudenza di legittimità circa i contratti per adesione, a nulla rilevando che il contenuto fosse stato per la maggior parte o interamente predisposto da un solo contraente.[4]
In definitiva, ciò che caratterizza questa tipologia di contratti, per i quali il legislatore ha dettato una disciplina normativa particolarmente cautelativa nei confronti del contraente cosiddetto “debole”, è proprio la loro natura di strutture negoziali destinate a regolare una serie indefinita di rapporti, tanto per mezzo di moduli o formulari utilizzabili in serie quanto attraverso la predisposizione unilaterale da parte di un contraente che esplichi attività contrattuale nei confronti di una serie indifferenziata di soggetti, in cui l’altra parte non potendo di fatto intraprendere delle trattative, può solo risolversi ad accettare o rifiutare in toto il contratto predisposto. In tali contratti, una parte (cd. parte “forte”) predispone interamente il contenuto del contratto, e l’altra parte (c.d. parte “debole”) si limita a prestare il suo consenso aderendo al contratto predisposto.[5]
Non occorre invece una siffatta specifica tutela, richiedente l’esplicita approvazione per iscritto delle singole clausole vessatorie, quando nel rapporto l’altro contraente è stato concretamente posto nella condizione di apprezzare liberamente il contenuto dell’accordo, oltre che di richiedere ed apportarvi le modifiche da egli ritenute necessarie, poiché in un simile caso la parità negoziale è ristabilita e non ricorre più l’esigenza di apprestare una maggiore tutela ad una delle parti, non essendo più soddisfatta la ratio alla base degli artt. 1341 e 1342 cod. civ.
Ulteriormente, la Corte di cassazione si è soffermata su un altro elemento che ha condotto al rigetto del ricorso, ovvero l’impossibilità per il contraente predisponente di far valere la mancata sottoscrizione delle clausole vessatorie nei confronti della controparte negoziale; infatti, anche a voler ammetter la natura di contratto per adesione della locazione di cui è causa, la Suprema Corte ha ribadito che «in tema di condizioni generali di contratto, essendo la specifica approvazione per iscritto delle clausole cosiddette vessatorie (nella specie: clausola compromissoria), ai sensi dell’art. 1341, secondo comma, cod. civ., requisito per l’opponibilità delle clausole medesime al contraente aderente, quest’ultimo è il solo legittimato a farne valere l’eventuale mancanza, sicché la nullità di una clausola onerosa senza specifica approvazione scritta dell’aderente non può essere invocata dal predisponente».[6] Quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità si pone perfettamente in linea con la summenzionata ratio dei contratti a condizioni generali, dove è chiaramente riscontrabile una parte “forte” ed una “debole”, per cui le norme a tutela vengono dettate solo in favore di quest’ultima per evidenti ragioni di disparità contrattuale e necessità di ovviarvi.
La successione soggettiva nel contratto di locazione tra proprietario e usufruttuario del bene immobile oggetto del rapporto
In merito alle altre questioni sottoposte, la Suprema Corte ha escluso che nel caso di specie fosse stato violato il principio del contraddittorio, non potendosi definire il rapporto sostanziale dedotto nel giudizio di merito un litisconsorzio necessario.[7]
Nello specifico, la Cassazione ha accolto quanto precedentemente stabilito dalla Corte territoriale circa l’estraneità al rapporto negoziale locatizio della Fondazione, mera nuda proprietaria dell’immobile locato, cui era subentrata la società usufruttuaria, titolare della posizione contrattuale di parte locatrice. A supporto della propria argomentazione, la Suprema Corte riporta una massima di legittimità in cui chiarisce come avvenga la successione soggettiva nel contratto di locazione, nel caso in cui venga meno la coincidenza tra le figure del locatore e del pieno proprietario: «supposta l’originaria coincidenza fra la posizione di titolare della piena proprietà di un bene e quella di locatore, ove successivamente la piena proprietà, per eventi di carattere dichiarativo o costitutivo venga a scindersi nel senso dell’attribuzione della nuda proprietà e dell’usufrutto rispettivamente a soggetti diversi, la qualità di locatore, in virtù delle disposizioni coordinate degli articoli 981, 984, 999 cod. civ., si concentra per tutti i riflessi, attivi e passivi, sostanziali e processuali, nel titolare dell’usufrutto, e ciò tanto nella costituzione dell’usufrutto per atto tra vivi, quanto nella costituzione mortis causa». Quanto così affermato è il risultato di un’interpretazione congiunta che la Cassazione offre delle norme del codice civile, ed in particolare degli art. 981, rubricato “Contenuto del diritto di usufrutto”, ai sensi del quale l’usufruttuario può trarre dal bene oggetto di usufrutto ogni utilità che questo può dare[8]; nonché dell’art. 984, rubricato “Frutti”, ai sensi del quale spettano all’usufruttuario i frutti (naturali e) civili della cosa per tutta la durata del suo diritto[9], norma quest’ultima che fa a sua volta rinvio all’art. 820, al cui comma 3 si legge che rientrano nella definizione di frutti civili anche i corrispettivi delle locazioni (art. 1571 c.c.); da ultimo, la Cassazione richiama l’art. 999 c.c., rubricato “Locazioni concluse dall’usufruttuario”, che prevede espressamente la facoltà dell’usufruttuario di concludere contratti di locazione aventi ad oggetto il bene nella sua disponibilità e godimento, benché non ne sia pieno proprietario[10], ed inoltre sancisce il perdurare di tali contratti anche oltre la cessazione dell’usufrutto (purché non oltre il quinquennio), implicando necessariamente il subentro del nudo proprietario nella posizione soggettiva di locatore nel contratto stipulato dall’usufruttuario con il terzo[11].
Dal combinato disposto di queste disposizioni, la Suprema Corte ricava la regola per cui, nel caso di immobile oggetto di locazione, è legittimo e pienamente efficace il subentro nella posizione contrattuale di locatore, originariamente assunta dal pieno proprietario del bene, dell’usufruttuario, il quale diviene unico titolare dei rapporti negoziali attivi e passivi derivanti dalla locazione nei confronti del conduttore, senza che i rapporti interni tra titolare del diritto di usufrutto e nudo proprietario possano avere alcun riflesso sulla locazione.
In proposito a quest’ultimo punto di riflessione, si dà atto che il rapporto nascente dal contratto di locazione ed instaurato tra locatore e conduttore ha natura personale, con la diretta conseguenza che chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederlo in locazione, sicché la relativa legittimazione è riconoscibile anche in capo al nudo proprietario del bene, che disponga dello stesso unitamente all’usufruttuario e senza l’opposizione di quest’ultimo.[12]
[1] Cass civ. n. 6753 del 2018; Cass. civ. n. 22’08 del 2002
[2] Art. 808 c.p.c. Clausola compromissoria “Le parti, nel contratto che stipulano o in un atto separato, possono stabilire che le controversie nascenti dal contratto medesimo siano decise da arbitri, purché si tratti di controversie che possono formare oggetto di convenzione d’arbitrato. La clausola compromissoria deve risultare da atto avente la forma richiesta per il compromesso dall’articolo 807.
La validità della clausola compromissoria deve essere valutata in modo autonomo rispetto al contratto al quale si riferisce; tuttavia, il potere di stipulare il contratto comprende il potere di convenire la clausola compromissoria.”
[3] Si veda precisamente il dettato dell’art. 1341 comma 2, c.c. Condizioni generali di contratto “In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità , facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’ esecuzione , ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze , limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria.”
[4] Corte di Cassazione, Sezione 1, Civile, Ordinanza, 30 novembre 2020, n. 27320
[5] Fra i vari contenuti dottrinali, si veda “Percorso di giurisprudenza – Contratti, Condizioni generali di contratto”, a cura di Avv. Federico Ciaccafava
[6] Cass. civ., n. 14570 del 2012; Cass. civ., n. 20205 del 2017
[7] Cass. civ., n. 3659 del 1968
[8] L’usufruttuario ha diritto di godere della cosa, ma deve rispettarne la destinazione economica.
Egli può trarre dalla cosa ogni utilità che questa può dare, fermi i limiti stabiliti in questo capo.
[9] I frutti naturali e i frutti civili spettano all’usufruttuario per la durata del suo diritto.
Se il proprietario e l’usufruttuario si succedono nel godimento della cosa entro l’anno agrario o nel corso di un periodo produttivo di maggiore durata, l’insieme di tutti i frutti si ripartisce fra l’uno e l’altro in proporzione della durata del rispettivo diritto nel periodo stesso.
Le spese per la produzione e il raccolto sono a carico del proprietario e dell’usufruttuario nella proporzione indicata dal comma precedente ed entro i limiti del valore dei frutti.
[10] Le locazioni concluse dall’usufruttuario, in corso al tempo della cessazione dell’usufrutto, purché constino da atto pubblico o da scrittura privata di data certa anteriore, continuano per la durata stabilita, ma non oltre il quinquennio dalla cessazione dell’usufrutto.
Se la cessazione dell’usufrutto avviene per la scadenza del termine stabilito, le locazioni non durano in ogni caso se non per l’anno e, trattandosi di fondi rustici dei quali il principale raccolto è biennale o triennale, se non per il biennio o triennio che si trova in corso al tempo in cui cessa l’usufrutto.
[11] Si veda però che tale subentro è limitato ad un periodo non superiore a 5 anni, per realizzare un equo contemperamento tra il diritto del nudo proprietario e quello del conduttore, al quale è così assegnato un congruo termine per reperire altro immobile. (Cass. civ., Sez. III, Sentenza 26 maggio 2011 n. 11602)
[12] Cass. civ., sez III, Sentenza 20 aprile 2007 n. 9493
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