Locazione: esercizio del diritto di riscatto e malafede del locatore e del terzo acquirente
di Francesco Luppino, Dottore in legge e cultore della materia di diritto privato presso l'Università degli Studi di Bologna Scarica in PDFCassazione civile, sez. III, sentenza 29 marzo 2022 n. 10136. Presidente R. Frasca – Estensore E. Iannello
Massima: “Il conduttore di un immobile ad uso non abitativo, se decaduto dal diritto di esercitare il riscatto di cui all’art. 39 della legge n. 392 del 1978, può domandare sia al venditore che al compratore il risarcimento del danno patito, a titolo di responsabilità extracontrattuale, per effetto della decadenza, a condizione che ne dimostri la rispettiva malafede, consistita nell’intento di tenerlo all’oscuro dell’avvenuto trasferimento; l’accertamento di detto intento fraudolento spetta al giudice del merito e non è sindacabile in sede di legittimità con riguardo alla ricognizione degli elementi di fatto che costituiscono il presupposto della dedotta responsabilità risarcitoria (salvo il limite ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.), mentre è suscettibile di sindacato la sussunzione del fatto accertato nella fattispecie astratta della responsabilità risarcitoria del locatore. (Nella specie, la S.C., rigettando il ricorso, ha statuito che i fatti accertati – l’inadempimento del locatore all’obbligo legale della “denuntiatio” e, poi l’inerzia, il silenzio o in genere la mancata cooperazione ai fini del succedaneo esercizio del diritto di riscatto – non possano, di regola, considerarsi fonte di alcun obbligo risarcitorio nei confronti del conduttore il cui eventuale interesse all’acquisto, con diritto di prelazione, dell’immobile locato rimanga inattuato)”.
CASO
Nel corso del rapporto di locazione di un immobile ad uso commerciale fra il locatore Tizio e il conduttore Caio, quest’ultimo manifestava alla propria controparte la volontà di acquistare l’immobile esercitando il diritto di riscatto previsto dall’art. 39 della legge 27 luglio 1978, n. 392, nel caso in cui l’immobile de quo fosse stato ceduto a terzi.
Successivamente Caio si accorgeva che il locatore Tizio aveva alienato l’immobile senza alcuna preventiva comunicazione finalizzata a rendere edotto il conduttore medesimo della imminente cessione affinché quest’ultimo potesse esercitare il diritto riconosciutogli dalla legge n. 392 del 1978, determinandosi così la violazione dell’art. 38 della legge citata.
Pertanto, Caio citava in giudizio con ricorso ex art. 447-bis c.p.c. il locatore Tizio innanzi al Tribunale di Civitavecchia chiedendo che il giudice accertasse la fondatezza nonché l’efficacia del riscatto, esercitato ai sensi dell’art. 39 della legge 27 luglio 1978, n. 392, in relazione all’immobile da esso condotto in locazione ad uso commerciale, con le conseguenti statuizioni, dichiarandosi disponibile a corrispondere il prezzo indicato nel rogito di compravendita; in subordine la condanna del locatore al risarcimento dei danni subìti.
Con sentenza il giudice di prime cure rigettava entrambe le domande del conduttore, in quanto riteneva che le comunicazioni inviate da Caio al locatore non potessero avere significato assimilabile all’esercizio del diritto di riscatto, mentre, circa la seconda domanda, riteneva che gli elementi addotti dal conduttore non fossero sufficienti per dimostrare che il mancato rispetto dell’obbligo di comunicazione da parte del locatore fosse dipeso da una condotta volta ad impedire volontariamente l’acquisto del bene da parte di Caio.
Il conduttore appellava la sentenza del Tribunale, ma la Corte d’Appello di Roma rigettava il gravame e confermava la decisione del primo giudice.
In particolare, per quanto concerneva la domanda risarcitoria, anche la Corte territoriale riteneva che mancasse la prova della mala fede del venditore e del terzo acquirente, ovvero che questi avessero volontariamente posto in essere comportamenti tali da indurre in inganno il conduttore circa l’avvenuta vendita dell’immobile anche omettendo di svolgere i controlli presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari.
Inoltre, il giudice del secondo grado riteneva che l’avvenuta conoscenza da parte di Caio dell’intenzione del locatore di alienare il bene dato in locazione e la mancata risposta di quest’ultimo alla lettera inviatagli avrebbero dovuto indurre il conduttore ad essere maggiormente vigile e ad effettuare una verifica presso l’Ufficio dei Registri Immobiliari per accertare la titolarità del bene.
Il conduttore impugnava anche la sentenza della Corte d’Appello capitolina proponendo ricorso per Cassazione composto da tre motivi.
Il locatore resisteva con controricorso.
La Corte di legittimità riteneva sussistente la rilevanza nomofilattica di alcune delle questioni che contraddistinguono il caso de quo, in particolare il quesito circa i possibili «effetti della mancata comunicazione della volontà traslativa sull’esercizio del diritto di prelazione».
SOLUZIONE
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 10136 del 29 marzo 2022, ha rigettato il ricorso presentato dal conduttore Caio, ma, in ragione dei profili di novità e della rilevanza nomofilattica della questione trattata, i giudici del Supremo Collegio hanno statuito l’integrale compensazione delle spese processuali sostenute dalle parti.
QUESTIONI
In seguito al deposito del ricorso il difensore di parte ricorrente con apposita memoria segnalava l’avvenuto decesso del suo assistito.
Tuttavia, il Collegio ribadiva che nel giudizio in Cassazione, nel quale, a differenza dei giudizi di merito, domina l’impulso d’ufficio e non delle parti, non trova applicazione l’istituto dell’interruzione del processo per uno degli eventi previsti dall’articolo 299 e ss. c.p.c., pertanto, una volta instaurato il contraddittorio con la notifica del ricorso, la morte del ricorrente non determina l’interruzione del processo[1].
I motivi oggetto del ricorso per Cassazione:
i) con il primo motivo il ricorrente denunciava la nullità della sentenza e del procedimento svoltosi innanzi alla Corte d’Appello di Roma, per omessa pronunzia dei giudici in relazione alla cessazione della materia del contendere e per non aver considerato le pattuizioni contenute in un accordo transattivo intervenuto fra le parti nelle more di tale giudizio.
Il ricorrente asseriva che in virtù di tale accordo le parti avevano già raggiunto un’intesa sulla cessione dell’immobile oggetto del contenzioso in favore dell’ex conduttore Caio a fronte di un corrispettivo pattuito con contestuale azzeramento di ogni debito pregresso, che la clausola finale di tale scrittura prevedeva espressamente la reciproca rinuncia delle parti a tutti i debiti e crediti derivanti dal contenzioso in atto e che la causa d’appello si intendeva transatta e abbandonata con compensazione di spese.
ii) Con il secondo motivo il ricorrente lamentava l’erronea valutazione effettuata dalla corte territoriale, la quale aveva ritenuto che il locatore e il terzo acquirente non avessero posto in essere condotte in mala fede tali da indurre in errore il conduttore in merito all’avvenuta vendita del bene. In sostanza, il ricorrente deduceva che il solo invio della lettera al locatore nella quale comunicava la propria intenzione di esercitare il diritto di prelazione a fronte della possibile vendita dell’immobile sarebbe dovuta essere stata considerata come prova univoca della menzionata condotta fraudolenta posta in essere dal locatore e dal terzo acquirente, poiché mentre Caio non poteva essere certo che l’immobile sarebbe stato alienato da Tizio, quest’ultimo, a fronte di tale dichiarazione scritta, doveva essere certo del fatto che il conduttore avrebbe esercitato il diritto di riscatto riconosciutogli dall’articolo 39 della legge 392/1978.
Inoltre, secondo il ricorrente, l’ennesima prova dell’intento doloso del locatore e del terzo acquirente si sarebbe dovuta trarre dal fatto che l’avvenuta vendita dell’immobile veniva comunicata solo dopo il decorso di un anno attraverso una lettera recapitata a Caio con la quale veniva restituito il canone annuale che nel frattempo era stato versato dal conduttore.
iii) Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente denunciava la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui i giudici della Corte d’Appello romana sostenevano che la conoscenza dell’intenzione del locatore di vendere il bene avrebbe dovuto indurlo a svolgere le opportune verifiche presso l’Ufficio dei Registri Immobiliari.
- I giudici del Supremo Collegio hanno ritenuto il primo motivo inammissibile e, ad ogni modo, manifestamente infondato.
Secondo i giudici di legittimità la sentenza impugnata si era già ampiamente dilungata con un’attenta motivazione e il ricorrente avrebbe ignorato il contenuto di quest’ultima proponendo ugualmente il ricorso per Cassazione.
I giudici della corte romana avevano considerato il documento al quale alludeva il ricorrente nel primo motivo di ricorso come una semplice lettera d’intenti con la quale il terzo acquirente si impegnava a vendere a Caio l’immobile in oggetto e quest’ultimo si impegnava ad acquistarlo ad un certo prezzo con rinuncia reciproca a tutti i crediti e i debiti fra loro esistenti e derivanti dal contenzioso giudiziario all’epoca in atto, non, invece, quale regolamento negoziale già vincolante per le parti, come dal canto suo intendeva il ricorrente.
Inoltre, i giudici della Corte territoriale erano stati costretti a decidere la causa d’appello nel merito, nonostante i numerosi rinvii finalizzati a permettere alle parti di raggiungere un accordo bonario, poiché queste ultime non erano riuscite a conciliarsi e, pertanto, non poteva essere dichiarata cessata la materia del contendere.
- Per gli Ermellini anche il secondo motivo di ricorso è da considerarsi infondato.
Se è pur vero che il conduttore di un immobile ad uso non abitativo, nel caso in cui sia decaduto dal diritto di esercitare il riscatto ai sensi dell’articolo 38 della legge 27 luglio 1978, n. 392, può domandare sia al venditore che al compratore il risarcimento del danno subito, a titolo di responsabilità extracontrattuale, per effetto della decadenza, il conduttore, però dovrà dimostrare la rispettiva malafede, consistita nell’intento di tenerlo all’oscuro dell’avvenuto trasferimento.
In sostanza, «la possibilità del riscatto concessa al conduttore non consente, in mancanza della dimostrazione di un intento fraudolento diretto a impedirne l’esercizio, di riconoscere un nesso di causalità tra l’inadempimento dell’obbligo di denuntiatio ed il pregiudizio dell’interesse del conduttore all’acquisto dell’immobile»[2] e la relativa valutazione costituisce un apprezzamento di fatto che è riservato al solo giudice di merito[3].
Nel caso di specie i giudici della corte territoriale avevano ritenuto insufficienti gli elementi fattuali addotti dal conduttore Caio, pertanto, non idonei a dimostrare la sussistenza di un intento fraudolento diretto a impedire l’esercizio del diritto di riscatto riconosciuto in capo al ricorrente, stante la pacifica insufficienza dell’inosservanza dell’onere di denuntiatio che la legge prevede in capo al locatore a fondare un obbligo risarcitorio nei confronti del vecchio inquilino.
Da parte sua, il conduttore contestava tale valutazione assunta dai giudici della Corte d’Appello insistendo nell’attribuire rilievo alla lettera da lui inviata al locatore per comunicare la propria intenzione di esercitare il diritto di prelazione (lettera che è stata ricevuta dal destinatario solo dopo il concretizzarsi della vendita) ed alla mancata risposta ad essa.
In particolare, nel proprio ricorso per Cassazione, Caio esponeva due condotte rilevanti: una positiva, posta in essere dal conduttore, ossia l’aver inviato la suddetta lettera; l’altra negativa da parte del locatore consistente nell’aver omesso di rispondere a quella lettera e il non aver fatto presente che la vendita dell’immobile si era già perfezionata.
Da tali condotte, almeno secondo il ricorrente, si sarebbe potuto e dovuto desumere, da un lato, la malafede del locatore che ha celato l’alienazione del bene in oggetto pur sapendo l’espressa volontà del conduttore di esercitare il proprio diritto di prelazione (quindi pur essendo a conoscenza della sua intenzione di riscattare l’immobile), dall’altro, l’idoneità di tale condotta realizzata dal locatore a giustificare il convincimento del conduttore che essa dipendesse dalla non ancora maturata volontà di vendere l’immobile.
Ed ecco che arriviamo al busillis, ovvero all’aspetto giudicato di maggior interesse dagli Ermellini, in quanto avente carattere nomofilattico.
I giudici del Supremo Collegio hanno infatti evidenziato che tale censura «non pone una quaestio facti», bensì «una quaestio iuris».
Secondo i giudici della Cassazione, il silenzio serbato dal locatore dopo la conclusione del contratto di vendita dell’immobile, a fronte dell’espressa manifestazione dell’interesse del conduttore ad acquisire tale bene, in realtà non viola alcun obbligo giuridico, poiché l’unico obbligo che la legge pone a carico del locatore nel caso in cui egli voglia trasferire a titolo oneroso l’immobile locato è, ai sensi dell’articolo 38 legge 27 luglio 1978, n. 392, quello di «darne comunicazione al conduttore con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario».
Secondo una consolidata interpretazione giurisprudenziale, la denuntiatio consiste in un «obbligo legale di interpello, vincolato nella forma e nel contenuto, diretto a mettere il conduttore nella condizione di esercitare il diritto di prelazione, ove ne sussistano i presupposti»[4].
L’interpello, però, deve concretizzarsi prima che si realizzi il trasferimento del bene locato pena l’inadempimento di tale obbligo legale.
La sanzione prevista dalla legge per tale inadempimento è unicamente[5] il diritto di riscatto riconosciuto in capo al conduttore da esercitarsi ai sensi dell’articolo 39 della citata legge, ossia entro sei mesi dalla trascrizione del contratto. In sostanza, nel caso in cui l’immobile sia ceduto a terzi, il conduttore pretermesso può riscattare l’immobile, mentre non esiste «un “rimedio attuativo” dell’obbligo di preferire che, in difetto dell’osservanza delle prescrizioni dell’art. 38 I. n. 392/1978, consenta al conduttore un trasferimento diretto, senza dover attendere il momento “sanzionatorio” dell’esercizio del riscatto»[6].
Dunque, gli Ermellini hanno evidenziato come nei casi in cui si siano verificati il mancato interpello e la vendita a terzi dell’immobile, la fattispecie rientra nell’orbita del possibile riscatto, quindi nella disciplina ex articolo 39 della citata legge, la quale non prevede, né tanto meno sanziona, un nuovo ulteriore obbligo in capo al venditore di comunicare al conduttore la già avvenuta vendita. La ratio iuris di tale scelta legislativa e interpretativa consiste nel fatto che il favor conductoris si risolve «solo nella previsione a vantaggio del conduttore di un diritto di prelazione e del succedaneo diritto di riscatto».
L’intenzione del legislatore non è stata quella di creare un diritto prevalente rispetto a un altro, bensì quella di creare un equo bilanciamento tra il diritto di riscatto riconosciuto in capo al conduttore da esercitare entro precisi limiti temporali e l’interesse del locatore e del terzo acquirente alla stabilità degli effetti del negozio appena concluso.
D’altra parte, già nel 1990 con la sentenza n. 228 dell’8 maggio, la Corte costituzionale aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 39, 1° comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, che era stata sollevata in relazione agli articoli 3 e 24 Cost., nella parte in cui tale norma fa decorrere il termine di decadenza di sei mesi per l’esercizio del diritto di riscatto dalla data di trascrizione del contratto di compravendita, per l’asserita riduzione della possibilità del conduttore di tutelare il proprio diritto e per l’irrazionalità della scelta dell’indicato dies a quo[7].
Da tali considerazioni gli Ermellini hanno statuito che «l’esercizio del diritto di riscatto è affidato esclusivamente ad una iniziativa del conduttore, senza la previsione di alcun onere fattivo di cooperazione del venditore (ex locatore) o dell’acquirente, e ciò anche nel momento dell’acquisizione della conoscenza dell’avvenuta vendita, presumendosi che ad ottenere la stessa sia sufficiente (oltre che necessaria) la sola trascrizione del contratto e, dunque, la loro libera consultazione da parte dello stesso conduttore, per tale motivo essendo ritenuta legittima anche la sua designazione quale dies a quo del termine semestrale di decadenza del diritto medesimo».
Pertanto, tornando al caso di specie, i giudici della Cassazione hanno affermato che la ricezione successiva alla vendita della lettera del conduttore non è in grado di modificare alcunché rispetto al quadro fino ad ora delineato e ai principi fin qui esposti. Tanto meno, se tale documento fosse stato ricevuto prima del concretizzarsi della vendita non avrebbe influito sull’obbligo legale di denuntiatio in capo al locatore, «allo stesso modo, la sua ricezione successivamente alla vendita non vale a costituire, in mancanza di alcuna previsione di legge, un obbligo giuridico in capo all’ex locatore-venditore (né tanto meno in capo all’acquirente) di informare il mittente della già avvenuta vendita».
Inoltre, quanto al profilo della responsabilità extracontrattuale pur sempre invocata dal ricorrente, i giudici del Supremo Collegio hanno evidenziato come il mancato adempimento dell’obbligo legale della denuntiatio da parte del locatore, così come «l’inerzia, il silenzio o in generale la mancata cooperazione ai fini del succedaneo esercizio del diritto di riscatto non possano, di regola, considerarsi fonte di alcun obbligo risarcitorio nei confronti del conduttore il cui (eventuale) interesse all’acquisto, con diritto di prelazione, dell’immobile locato rimanga inattuato».
E non potrebbe essere diversamente, dal momento che il meccanismo normativo fin qui descritto, anche alla luce della pronuncia della Corte costituzionale, prevede un bilanciamento tra diritti e interessi contrapposti e, in ogni caso, l’esercizio del diritto di riscatto è subordinato unicamente all’iniziativa e alla diligenza del solo conduttore.
Gli Ermellini hanno ribadito con fermezza che una possibile responsabilità risarcitoria del venditore può configurarsi, a titolo extracontrattuale, solo a condizione che a quel nesso di causa se ne sovrapponga un altro, che, comunque, dovrà essere dimostrato dal conduttore (ciò che di fatto non è avvenuto nel caso in esame) tale per cui l’inattuazione dell’interesse del conduttore possa considerarsi evento ricollegabile alla condotta preordinata a provocare l’evento medesimo, che, comportando un danno ingiusto, ha impedito l’esercizio di un diritto.
In altri termini, è necessario un quid pluris, ovvero un comportamento diverso e più articolato del semplice silenzio manifestato nel caso di specie dal locatore-venditore; è necessario che la condotta realizzata dal locatore (eventualmente in concorso terzo acquirente) sia in grado di «infondere oggettivamente e univocamente nel conduttore il convincimento che quella vendita non sia stata operata e comunque a indurlo a non attivarsi per effettuare le opportune visure».
- Infine, anche il terzo motivo non ha passato il vaglio di legittimità.
Con tale ultimo motivo il ricorrente denunciava la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata e invocava la nullità della decisione del collegio capitolino per mancanza di motivazione.
Tuttavia, secondo i dettami dell’articolo 132, 2°comma, n. 4, c.p.c., tale vizio è ammissibile solo in quattro casi: in assenza totale della motivazione in relazione all’aspetto materiale e grafico della stessa; quando essa contiene un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili»; quando «sia perplessa ed obiettivamente incomprensibile» e infine quando sia puramente apparente[8].
Nel caso in esame, gli Ermellini hanno ritenuto che la sentenza della Corte d’Appello di Roma «resiste ampiamente a tale pur inammissibile censura» e che non è ravvisabile la sussistenza di nessuna delle ipotesi limite richiamate.
[1] Ex multis Cass. civ., S.U., sentenza del 21 giugno 2007, n. 14385; Cass. civ., sez. I, sentenza 31 ottobre 2011, n. 22624; Cass. civ., sez. III, sentenza 3 dicembre 2015, n. 24635.
[2] Ex multis Cass. civ., sez. III, sentenza 30 agosto 2013, n. 19968; Cass. civ., sez. III, sentenza 3 luglio 2008, n. 18233.
[3] Sempre Cass. civ., sez. III, sentenza 3 luglio 2008, n. 18233.
[4] Cass. civ., S.U., sentenza 4 dicembre 1989, n. 5359.
[5] Non è sostituibile con una sanzione diversa.
[6] Cass. civ., sez. III, sentenza 26 ottobre 2017, n. 25415.
[7] Merita essere menzionato per intero il seguente passaggio della sentenza citata: «far decorrere il termine semestrale di decadenza del diritto di riscatto dalla effettiva conoscenza del conduttore dell’avvenuta compravendita a lui non denunziata o, se denunziata, con indicazione di prezzo maggiorato che lo ha distolto dall’esercitare il diritto di prelazione, significherebbe spingere il favor conductoris fino a creare incertezza e intralcio al traffico commerciale degli immobili, restando il terzo acquirente permanentemente esposto per un tempo indeterminato all’esercizio del diritto di riscatto del conduttore. Imporre d’altra parte al terzo acquirente un onere di comunicazione verso il conduttore a supplenza della mancata denuntiatio del locatore-venditore postulerebbe un vizio del trasferimento qualora esso non fosse adempiuto. Si tratta, come ognun vede, di operazioni di ricostruzione della norma che richiedono ponderazione di interessi sociali riservati al legislatore».
[8] Cass. civ., S.U., sentenza 7 aprile 2014, n. 8053.
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