11 Febbraio 2020

Locazione e condizione di procedibilità della domanda: l’omissione della mediazione obbligatoria non può essere rilevata in appello

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione  civile, Sezione 3^, rel. Dott. Scoditti, 13.12.2019 n.32797:

“L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza del giudizio di primo grado”. 

  1. L’espletamento della mediaconciliazione quale condizione di procedibilità della domanda.

Il Dlgs. N.28/10 all’articolo 5, comma 1, individua una serie di materie per le quali il legislatore ha previsto l’obbligatorietà del procedimento di mediaconciliazione, al quale le parti debbono necessariamente ricorrere, prima di interporre la domanda giudiziale e, per quanto ci occupa, tra esse è regolata anche la materia della locazione.

Non ci soffermeremo, per esigenze di sintesi nella redazione del presente contributo, sulle caratteristiche del procedimento[1], finalizzato ad in introdurre anche nel nostro ordinamento, un radicato sistema di deflazione del contenzioso, in ordine al quale e con un bilancio di oramai un decennio, può affermarsi che il legislatore non ha raggiunto lo scopo previsto; se è vero com’è vero che le statistiche indicano un moderato successo del procedimento nella materia che ci occupa.

In estrema sintesi, il procedimento – mutuato dall’esperienza di altri Stati europei e nella scia delle “alternative despute resolution”, consiste nella possibilità delle parti, di adire un mediatore “terzo ed imparziale”, per giungere in tempi rapidi ad un accordo consensuale di composizione della lite, nella materia dei soli diritti disponibili, come individuate dal legislatore ed escluse quelle riguardanti i diritti indisponibili: diritti della personalità, non patrimoniali su beni immateriali, diritti di famiglia.

Per effetto del D.L. 24 aprile 2017 n.50, convertito in L.21.06.2017  n.96, il legislatore è intervenuto dando definitiva stabilizzazione al procedimento, con opportune “limature” alle materia soggette all’obbligatorietà a pena di improcedibilità della domanda e garantendo, anche attraverso i successivi interventi giurisprudenziali correttivi[2] all’istituto: “l’effettività dell’incontro di mediazione”, non potendo le parti limitarsi ad un mero approccio formale, soltanto ai fini di scongiurare le sanzioni deterrenti inerenti alla mancata partecipazione al primo incontro.

Sempre per quanto ci occupa, la mediaconciliazione è esclusa ai casi di esperimento dei procedimenti di convalida do licenza o sfratto per finita locazione fino al mutamento del rito in caso di opposizione alla convalida, ricavandosi la “ratio” dell’esclusione, nella celerità che i procedimenti sommari con prevalente funzione esecutiva, già garantiscono in termini di assunzione delle decisioni giudiziarie e ridotti tempi del processo.

  1. Onere delle parti al deposito dell’istanza di mediazione nei procedimenti di convalida di sfratto in esito all’opposizione dell’intimato.

Nel corso dell’introduzione dell’istituto si è a lungo discusso sulla natura ordinatoria o perentoria del termine concesso con l’ordinanza di mutamento di rito in sede di opposizione alla convalida, sulla parte onerata all’introduzione della mediazione e sugli effetti della mancata introduzione.

La giurisprudenza, ancora una volta, ha colmato i vuoti del legislatore, assumendo posizioni “variabili”.

In un primo momento [3], alcune sentenze del tribunale di Mantova e di Milano, hanno sancito per la perentorietà del termine di introduzione della mediazione e per l’onere di deposito della stessa, da parte di chi ha introdotto il procedimento sommario, a pena di “perenzione” della domanda di convalida e con onere di rifusione alle spese legali dell’intimato (forse con eccesivo rigore formale…). Tuttavia e più di recente, pare essersi consolidato differente indirizzo giurisprudenziale [4], che riformando la sentenza di primo grado precedentemente citata in nota, ha riconosciuto che il termine assegnato dal giudice della convalida, in esito all’opposizione ed al mutamento del rito: “non ha natura processuale e quindi la ritardata presentazione dell’istanza, una volta esperita la mediazione con esito negativo, non comporta l’improcedibilità del giudizio e tantomeno determina effetti decadenziali”.

La Corte meneghina, in aderenza al tessuto normativo e scevra da rigorismi formali, ha fornito un’interpretazione costituzionalmente orientata, rilevando che risulterebbe compromesso il diritto d’azione, allorquando volesse ricondursi alla perentorietà del termine di introduzione della mediazione, con il che più propriamente, il temine assegnato deve intendersi quale ordinatorio.

  1. Effettività della partecipazione delle parti.

Per il successo del procedimento ed il raggiungimento dello scopo di effettiva “alternative despute resolution”, nel corso dell’esperienza di un decennio dall’introduzione dell’istituto, si è potuto concretamente sperimentare come soltanto l’effettiva partecipazione delle parti sin al primo incontro garantisca adeguate percentuali di successo.

D’altro canto che lo stesso legislatore avesse sin dall’origine di introduzione dell’istituto, collegato le probabilità di successo del medesimo all’effettività della partecipazione all’incontro, lo si legge già dagli effetti dell’articolo 8, c.4 bis del Dlgs 28/10:  “Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio; “ nonché dall’applicazione dell’articolo 96 cpc, terzo comma, inteso a scoraggiare l’eventualità che le parti possano impedire realizzare lo scopo precipuo dell’istituto deflattivo, ossia la creazione di un contatto diretto tra le parti in causa, attraverso l’eliminazione di rigidismi formali.

Un definitivo e puntuale approdo alla materia, lo si deve anche e recentemente a Cassazione civile 27.3.2019 n.8473, che ha definitivamente chiarito la portata e gli effetti dell’effettività della partecipazione personale delle parti ovvero attraverso loro delegato munito di idonea “procura speciale sostanziale”, ossia connaturata e specifica allo scopo e non generico mandato alle liti e/o delega al proprio difensore: “ la parte che non voglia o non possa partecipare personalmente alla mediazione può farsi liberamente sostituire, da chiunque e quindi anche dal proprio difensore, ma deve rilasciare a questo scopo una procura sostanziale che non rientra nei poteri di autentica dell’avvocato neppure se il potere è conferito allo stesso professionista”.

  1. La più recente interpretazione della Suprema Corte di Cassazione.

Il relatore dott. Scoditti, della 3^ Sezione della Suprema Corte, ripercorre a ragione nella motivazione l’excursus della materia riguardante la mediaconciliazione ed i definitivi approdi giurisprudenziali delle corti di merito e, la Suprema Corte, riforma la sentenza della Corte d’Appello di Ancona nella parte in cui riconosce anche al giudice dell’appello di rilevare la nullità della sentenza di primo grado per difetto di rituale mediazione, non rilevata dal giudice di prime cure, né oggetto di eccezione alla prima udienza da parte del convenuto.

In particolare, stante la natura di “autosufficienza” del ricorso in Cassazione e sui motivi riprodotti dal ricorrente, si sofferma sulla questione della procedibilità della domanda, partendo dall’assunto, condiviso dalla Corte[5]: “L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza del giudizio di primo grado”.

Laddove il convenuto non eccepisca l’improcedibilità ovvero il giudice d’ufficio non sollevi l’eccezione, rimarrà preclusa la questione dell’improcedibilità della domanda nel successivo grado d’appello.

Infine, sempre la sentenza in commento e per completezza di trattazione, in un certo senso, “fa rientrare dalla porta ciò che è uscito dalla finestra”, nella parte motivazionale in cui riconosce al giudice dell’appello la possibilità (rectius: “facoltà”) di costituire “una condizione di procedibilità alla luce di una valutazione discrezionale”, cioè allorquando quest’ultimo disponga la mediazione delegata, ai sensi dell’art.5, comma 2^ Dlgs 28/10, in quanto la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti”, lo consentano; in tale ipotesi di mediazione delegata e solo in tali ipotesi, il mancato esperimento della mediazione ANCHE IN APPELLO, è condizione di procedibilità della domanda.

[1] Bove M., La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali, Padova, 2011.

[2] Su tutte, Tribunale di Firenze, 19.3.2014 e 26.11.2014, filone dott.ssa Luciana Breggia.

[3] Tribunale Mantova 20.1.2015 e Tribunale di MIlano 27.11.2015.

[4] Corte Appello  Milano 24.5.2017, relatore Fiecconi.

[5] Cass. civ. 13.11.2018 n.29017; 13.4.2017 n.9557; 2.2.2017 n.2703.

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